Il Governo degli Incolti

La democrazia è una buffa illusione, quello che conta è la coniugazione di cultura, scienza e tecnologia.

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Di Franco Maloberti per ComeDonChisciotte.org

Il Principio di Peter è stato introdotto dallo psicologo canadese Laurence J. Peter che nel suo libro “Il principio di Peter” descrive con toni semi-umoristici i disastri della politica e della burocrazia. La formulazione originale del principio dice:

In una struttura gerarchico amministrativa le persone tendono a essere promosse fino a raggiungere il primo livello d’incompetenza.

Il principio assume che in ogni organizzazione i nuovi assunti abbiano una buona capacità di base e che partano di bassi livelli gerarchici; man mano che dimostrano abilità sono promossi a un livello di qualificazione e retribuzione superiore. Il processo prosegue fino a quando il soggetto raggiunge una posizione dove non riesce più a dimostrare competenza, ovvero è incompetente. A questo punto la vischiosità del sistema, generata da protezioni eccessive (sindacali o di clan), impedisce un’opportuna “rigenerazione”. Come eccezione c’è il caso abbastanza improbabile che chi arriva al vertice sia veramente capace. Il risultato, comunque, è che molti alti livelli, specie nella politica e nella burocrazia, siano occupati da incompetenti.

Gli studi che si sono sviluppati attorno al “Principio di Peter” osservano che persone incompetenti causano un rallentamento evolutivo e grande inerzia. Come ovvio, aver raggiunto, pur solo ai vertici, il limite delle capacità operative significa incontrare difficoltà nel progredire. Peraltro, anche nei sistemi evoluti e adattativi si lotta per la sopravvivenza e, nonostante la spinta evolutiva, la barriera dovuta all’incompetenza del vertice non viene rimossa ma, semplicemente, il vertice si adatta alle nuove condizioni al contorno. Il complicato concetto porta poi alla legge:

L’evoluzione di strutture gerarchico amministrative che operano in un sistema dinamico dipende dal confine fissato della loro incompetenza adattativa.

La teoria del principio e la sua evoluzione logica sono complesse e, in aggiunta, il tutto dipende da un assunto di base: il reclutamento presume adeguate capacità in chi entra ai bassi livelli della gerarchia. Inoltre, si suppone che la scalata verso l’alto dipenda dal merito. Questo è vero nei sistemi normali che iniziano a non funzionare, come indica Peter, solo alla fine del processo: verso l’ultimo scalino, quando si richiede il massimo delle capacità individuali.

In un sistema al contrario le capacità personali, sia nella selezione che nella promozione ad ogni livello, sono una variabile indipendente o spesso dipendente in modo inverso dalle capacità. La promozione dipende da fattori mutevoli (parentela, amicizia, fedeltà all’apparato, servizio di volantinaggio, misura dei fianchi, del busto, o volume del petto) e praticamente mai dalla competenza. Impiegare una persona esperta o addirittura promuoverla a responsabilità superiori non vuol dire un maggior valore aggiunto all’organizzazione, ma creare un elemento di disturbo che, agli occhi degli attori dominanti, è un preoccupante sovvertimento dell’ordine costituito. La scelta di una “new entry” deve attenersi alla regola che questa deve essere un po’ meno capace del selezionatore e al di sotto della media del branco. Questo, al fine di assicurare lo “status quo”. Il problema è che molti, per riuscire ad entrare in quell’ambiente, si atteggiano a incapaci: invece di magnificare la propria preparazione come si faceva tempo fa con un dettagliato curriculum e lettere di supporto, mascherano il proprio valore. Per questo, c’è una certa probabilità che il selezionatore che dovrebbe scegliere un “peggiore” scelga invece, o meglio coopti, un “migliore”.

Un tale meccanismo di cooptazione è stato anche studiato da Ferdinando Adornato che espresse un concetto analogo dicendo all’incirca:

In Italia chi coopta sceglie uno più stupido di lui e il sistema peggiora. Però, dopo molte cooptazioni chi sceglie è così stupido che, sbagliando, sceglie uno bravo. Allora, il sistema si rigenera.

Ovviamente, se la bravura diventa una variabile inessenziale, allora tutta la teoria di Peter cade miseramente: l’incompetenza non si manifesta solo al vertice ma diventa una caratteristica diffusa in tutta la struttura organizzativa, con nascoste capacità che sono sparpagliate casualmente, ma i bravi sono certamente espulsi quando raggiungono i vertici della piramide. La furbizia dei virtuosi, opportunamente mimetizzati, consente loro una salita in sordina verso la sommità, ma al di sopra di un certo livello diventa impossibile rimanere celati. Gli incapaci sono sì impreparati, ma riescono presto a individuare i virtuosi che sono giunti ad alto livello e questo, senza dubbio, è una seria minaccia per la sopravvivenza dell’organizzazione.

La descritta situazione, pur illustrata in modo burlesco, non solo vale per entità burocratico amministrativo dove, casomai, si finge una parvenza di meritocrazia con valutazioni di produttività e premi di “raggiunto obiettivo” elargiti indistintamente, ma anche, e in particolare, nelle organizzazioni politiche. Questo è vero in Italia ma anche nella cosiddetta Unione Europea.

L’Italia e l’Europa si vantano di essere entità democratiche, ovvero posti dove si gode del privilegio di scegliere i propri governanti in modo libero. Questo lo si fa eleggendo i propri “rappresentanti” scelti tra una serie di candidati indicati dai partiti. Democrazia, boh? La possibilità di essere eletti dipende dai pochi che fanno le liste; quindi, la democrazia è solo una buffa illusione. Come detto, i partiti scelgono in base alla fedeltà e non le capacità.

Per venire selezionati, bisogna soddisfare in maniera quasi rigorosa la regola “Adornato”. I bravi devono allora sperare solo in una eccelsa stupidità del selezionatore. Se si analizzano le nostre compagini si può verificare che in parlamento c’è sì un certo numero di “alta” gente (avvocati, pochi laureati in discipline scientifiche, molti “scienziati” politici e, ahimè, pseudo-giornalisti), ma di “bassa” gente ce n’è in gran quantità.

Abbiamo, ad esempio, un geometra che discetta di clima e ambiente, un sottosegretario perito serico con delega all’innovazione tecnologica, un diplomato in agraria con delega alla programmazione economica, una sottosegretaria all’economia con diploma di istituto tecnico commerciale, un ragioniere che è vicepresidente della Camera, un diplomato e una diplomata di liceo scientifico (di coalizioni opposte, per par condicio), un diplomato di istituto tecnico per periti aziendali, uno con la licenza media, uno con diploma di istituto tecnico commerciale, un altro diplomato di liceo scientifico che fa il capo gruppo, un diplomato alberghiero, e cosi via.

Non dico che non ci siano persone che si sono fatte da sole, ma, statisticamente, sembra difficile pensare che siano molti i fatti da solo/a, specie se, andando un po’ più a fondo, si scopre che moltissimi sono stato folgorati, modello San Paolo sulla via di Damasco, dalla politica appena usciti dall’età teen.

In Europa troviamo molti che, pur avendo passato il test Adornato, non hanno trovato uno strapuntino in patria e si devono adattare a faticosi viaggi, ben compensati da un discreto stipendio. Al top dell’unione ci sono i commissari. Questi sono, tipicamente, i re o le regine dei trombati in patria. A loro vengono date responsabilità che nulla a che fare con la loro precaria conoscenza. Tanto, poi ci sono i lobbisti che li sostengono.

Si dice che la meritocrazia sia non democratica. Ne consegue che per i posti dove serve competenza si fanno quote colorate per combattere presunte discriminazioni. Ora siamo solo alle quote rosa, ma certo avremo tra breve il ciclamino, il senza-colore, e altre amenità simili. Sembra ormai assodato che la competenza sia inutile, un optional o un triste retaggio del passato; c’è la tecnologia al suo posto, un’efficace e competente stampella dell’ignoranza. Basta schiacciare dei tasti, seguire semplici procedure e tutto va liscio come sull’olio! Oppure no?

Consideriamo ora i paesi che privilegiano la meritocrazia. Sono le nazioni che l’occidente “democratico” considerano assolutiste o, perlomeno, dittatoriali. Mi riferisco, in particolare, alla Cina e alla Russia, paesi che erano meritocratici un tempo e che ora sembrano tornare alla disdicevole pratica di tenere in conto le capacità di chi li governa. Da una piccola analisi si può osservare che in entrambe le realtà la cultura e le tradizioni sono quello che sottintendono il merito.

Per quanto riguarda la Russia, la storia, la vastità e la posizione geografica, la religione e gli influssi degli usi e costumi sia orientali che occidentali sono gli elementi hanno forgiato la cultura, manifestatasi negli anni in tanti sublimi scrittori e filosofi. La Russia ha eccelso nella matematica, nella fisica del plasma, l’astrofisica, le tecnologie spaziali e alcuni rami della medicina. Ha anche consolidate tradizione nella musica, nel ballo e nel teatro.

La Cina è una cultura millenaria con solidi valori che derivano dal confucianesimo e dal taoismo. Il confucianesimo fu il pensiero che guidò i governi imperiali per millenni. Nella Cina degli imperatori i funzionari dovevano superare esami che accertavano la conoscenza dei testi classici confuciani e dovevano mostrare capacità di dotta composizione oltre che possedere le competenze richieste dall’incarico. Durante la dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) si stabilì un sistema di esami statali, metodo che fu la via per accedere e avanzare in carriera sotto la dinastia Tang (618-907 d.C.). In questo modo si creò un apparato burocratico fatto da persone dotate e capaci, assicurando anche un continuo rinnovamento della classe dirigente. I valori morali e la correttezza delle relazioni sociali erano la base degli insegnamenti di Confucio. Essi derivavano dall’educazione, dallo studio e dalla profonda conoscenza del patrimonio culturale passato, delle usanze e dei principi etici.

All’inizio del secolo scorso c’è stato nel mondo un declino culturale dovuto alla guerra e a sconvolgimenti politici. Allo stesso tempo, rozze società anglosassoni fondate sulla sopraffazione e la ruberia di risorse altrui, svilupparono la conoscenza tecnologica. Raffinarono le scoperte scientifiche del secolo precedente e le resero essenziali per le loro conquiste egemoniche. Sicuramente, per sopravvivere i prodotti della tecnologia hanno bisogno di energia e, per questo, le razzie anglosassoni si sono concentrate nelle aree ricche di idrocarburi. La conoscenza tecnologica ha messo in ombra la cultura, quella millenaria, l’arte, la pittura e la musica, e le ha sostituite con la pseudo-cultura Hollywoodiana, con figurazioni di zuppe in lattina (A. Warhol), e strepiti amplificati dall’elettronica. Queste operazioni di sostituzione hanno portato a una forma di vassallaggio delle nazioni che erano state indebolite dalla guerra e che ora si trovano dominate militarmente e culturalmente.

Da pochi decenni stiamo assistendo al risveglio della antica fierezza nazionale in Cina e in Russia. Il ricordo del secolo delle umiliazioni, ovvero le interferenze straniere che vanno dalla fine della guerra dell’Oppio (1839) al 1949 quando venne fondata la Repubblica Popolare, ha portato in Cina, dopo un periodo confuso, alla consapevolezza della necessità di un governo forte che stabilisca rapporti paritari e di rispetto reciproco tra i paesi. Una evoluzione analoga, ma molto più rapida, c’è stata in Russia. L’Unione Sovietica è stata una delle più importanti potenze del ventesimo secolo ma nel 1991 si è dissolta per le contraddizioni create dalle politiche di trasparenza e ristrutturazione. Si può allora parlare, in questo caso, di decennio delle umiliazioni. Recentemente, come noto, c’è stata una reazione di dignità, stimolata anche, come ha spiegato il Papa, dall’abbaiare della Nato alle porte di Mosca.

È con queste condizioni al contorno che la cultura, rimasta latente, ha ripreso il suo ruolo di guida dello sviluppo. È la cultura quello che conta, assieme, ovviamente, agli avanzamenti tecnologici. Serve un equilibrio: se la tecnologia si oppone e deprime la cultura, allora si precipita nella mancanza di identità, in profonda debolezza sociale e morale. La cultura genera coscienza, cognizione, consapevolezza, intelligenza, capacità di interagire con altri per scambiare sapienza. La cultura è anche un antidoto, non totalmente efficace, per precludere la disonestà e il malcostume. Invece, la scienza ha disdegnato la cultura e, purtroppo, in questi giorni si ha la dimostrazione di quanto l’occidente sia caduto in basso. Si sventolano le lucine dei cellulari davanti a uomini e donne vestiti e tatuati da primitivi e, nel contempo, si assiste con indifferenza agli stermini, anzi li si giustificano, di popolazioni con un livello di pietà e rispetto per l’uomo che corrispondono agli invasori barbarici o a Gengis Khan.

Quale è lo strumento principale per cancellare le umiliazioni? È la selezione di chi governa. C’è bisogno di persone che pensino, che guardino avanti e sappiano prendere decisioni per il benessere e il progresso di tutti e che, allo stesso tempo, garantiscano una barriera alla invasione egemonica di chi usa la scienza e la tecnologia per lo sfruttamento. In effetti questo è quanto accade in realtà assolutiste. Serve certamente essere fedeli al partito unico (anche se, in realtà, il partito non è proprio unico, almeno in Russia) ma, in aggiunta, si deve passare attraverso selezioni stringenti. Esami continui in Cina e, in Russia, la necessità di essere inclusi nella nomenklatura (ovvero: elenco di nomi). Esistevano, ed esistono ancora, seri fenomeni di malcostume che limitano l’efficacia, ma, globalmente, le classi dirigenti di quelle dittature possiedono una cultura superiore alla media e questo è quello che fa la differenza.

Si deve concludere che quanto detto da Churchill: se è vero che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora, è bene che diventi un vizio, nella speranza che sia difficilissimo poi smettere, non è l’obiettivo a cui si deve tendere. La democrazia è una buffa illusione. Quello che conta è la coniugazione di cultura, scienza e tecnologia. I paesi in cui la democrazia porta al governo gli incolti sono destinati all’oblio, mentre le popolazioni con governi, pur autoritari, ma colti crescono e prosperano.

Di Franco Maloberti per ComeDonChisciotte.org

19.02.2024

Franco MalobertiProfessore Emerito presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Informatica e Biomedica dell’Università di Pavia; è Professore Onorario all’Università di Macao, Cina, dove è stato insignito della Laurea Honoris Causa 2023.

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