DI GIORGIO DA GAI
Ilpiave.it
L’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria) o ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria) inizia a prendere forma nel 2004 in Iraq, nelle provincie a maggioranza sunnita dove combattono i militanti di Al Qaeda.
Il 13 ottobre del 2006, detta organizzazione si trasformerà in ISI (Stato Islamico dell’Iraq) a guidarlo sarà Abu Omar al-Baghdadi, che il 18 aprile del 2010 sarà ucciso in un operazione antiterrorismo delle forze statunitensi e irakene.
I rapporti tra il nascente Califfato e Al Qaeda si deterioreranno durante la guerra in Siria. Nell’aprile del 2013, Ayman al Zawahiri, attuale leader di Al Qaeda dopo la morte di Osama bin Laden (2.5.2011) sceglie l’organizzazione al Nusra come rappresentante di Al Qaeda in Siria, preferendola al Califfato. Questa decisione porterà alla frattura tra le due organizzazioni. (1)
Il 29 giugno 2014 nasce il Califfato, l’ISI si trasforma in ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) a guidarlo è Abu Bakr al-Baghdadi che si autoproclama califfo, successore del profeta Maometto, guida politica e spirituale di tutti i mussulmani. Abu Bakr al-Baghdadi nel 2009 fu rilasciato dal campo di detenzione americano di Camp Bucca in seguito al parere di una commissione che ne raccomandava il “rilascio incondizionato”. (2) Il sedicente sceicco vorrebbe unire tutti i mussulmani dell’Iraq e della Siria in un moderno Califfato, uno Stato governato dalla sharia.
Rispetto ad Al Qaeda, il Califfato non si costituisce come un organizzazione terroristica che opera a livello internazionale e dipende da finanziamenti esterni; ma come un vero e proprio Stato, che governa un territorio ben definito e sul medesimo esercita i poteri tipici di uno Stato, dalla riscossione delle imposte all’erogazione dei servizi pubblici, compresa l’amministrazione della giustizia.
Il territorio del “califfato” va dalla Siria orientale (Aleppo) all’Iraq centrosettentrionale (Falluja alle porte di Baghdad) e cerca di conquistare il Kurdistan iracheno, ricco di risorse petrolifere. L’ISIS, ha conquistato un vasto territorio che corrisponde alle dimensioni del Belgio, ma è intrappolato: a est ha l’Iran e a nord la Turchia, nazioni con le quali non può competere militarmente; può espandersi solo in direzione sud-ovest, verso la Siria, nazione fragile dilaniata dalla guerra civile. La caduta del regime siriano darebbe all’ISIS la possibilità di allargare e consolidare il suo potere in Medio Oriente.
Lo sviluppo dello Stato Islamico è legato a cause interne ed esterne.
Le cause interne che hanno favorito lo sviluppo del Califfato
Primo, la fragilità dello Stato irakeno. L’Iraq è nato dall’accordo franco-inglese “Sykes-Picot” (1916) che voleva unire in un’unica nazione gruppi etnico – religiosi diversi e potenzialmente ostili: sciiti (che sono la maggioranza) sunniti e curdi. (3) L’unità di questo fragile Stato fu mantenuta grazie all’autorità degli inglesi, che lo governarono fino alla fine della seconda guerra mondiale; nel dopoguerra, la neonata nazione, fu governata fino al 1958 dalla monarchia (principe Faisal di Hijaz) e poi da regimi militari come quello di Saddam Hussein. Nel 2003, l’invasione americana e la conseguente caduta del dittatore, ha tolto all’Iraq un potere forte e autorevole, capace di mantenere unita una nazione eterogenea e potenzialmente conflittuale, la deriva balcanica fu la conseguenza.
Secondo, la scarsa resistenza che l’esercito irakeno ha opposto alle milizie del Califfato. Nell’attuale esercito irakeno militano molti soldati che servirono Saddam Hussein; truppe ostili al governo sciita del presidente al Maliki, in carica dal 2006 e sostenuto dagli Stati Uniti. Un governo, che con il sostegno statunitense, ha escluso la minoranza sunnita dalle leve del potere irakeno.
Terzo, le capacità militari delle milizie del Califfato, un esercito di oltre 30.000 uomini difficile da annientare; perché composto di unità mobili, bene addestrate e armate, sostenute dalla guerriglia sunnita ostile all’attuale governo iracheno e all’occupante americano. L’esercito del Califfato può ora contare su migliaia di ex bahatisti fedeli a Saddam Hussein e alle milizie delle tribù sunnite. (4) L’esercito del Califfato non può essere fermato solo con i bombardamenti degli Stati Uniti e dei loro alleati, è necessario un intervento di terra e le uniche truppe disponibili sono i “peshmerga” curdi. (5) Coraggiosi soldati che combattono per salvare il loro popolo dal genocidio e per la nascita della nazione curda, nelle provincie del Kurdistan iracheno. Una soluzione sostenuta dagli Stati Uniti, che della futura nazione vorrebbero sfruttare le risorse petrolifere e la posizione strategica, per installare le basi militari e quelle della CIA. Così il futuro Kurdistan rischia di diventare una “colonia” statunitense, come lo è oggi l’Italia. Questo sarà il prezzo che i curdi dovranno pagare per ottenere l’indipendenza.
Quarto, lo Stato Islamico ha ingenti risorse umane e finanziarie. Risorse finanziarie come le donazioni provenienti dalle fondazioni di carità dei Paesi del Golfo Persico (Arabia Saudita, Qatar e Kuwait); (6) la vendita del petrolio raccolto nei giacimenti irakeni, poi venduto alla Turchia e alla Giordania a un prezzo che è circa la metà di quello di mercato; la tassazione della popolazione delle zone conquistate (commercianti e camionisti). Alle risorse finanziarie si aggiungono quelle umane, l’afflusso di migliaia di volontari provenienti da tutto il mondo mussulmano e dall’Europa, Balcani compresi. Europei emarginati o perfettamente integrati, che abbracciano il radicalismo islamico: perché stanchi di vivere in una società priva di valori (quella occidentale) o di vivere in una situazione di emarginazione sociale, come quella degli immigrati di seconda o di terza generazione.
Le cause esterne che hanno favorito lo sviluppo del Califfato
La politica statunitense e quella dei loro alleati (Unione Europea Turchia, Arabia Saudita e Qatar) ha permesso la nascita del Califfato e l’ascesa dell’islamismo radicale in tutto il mondo mussulmano. Una politica cinica e ipocrita, finalizzata ad abbattere i governi ostili, ma non a portare la pace o la democrazia: l’Afghanistan filosovietico, l’Iraq di Saddam, la Libia di Gheddafi e la Siria di Assad. Questi regimi non erano democrazie, ma hanno garantito alla loro popolazione condizioni di vita dignitose, permesso l’accesso all’istruzione delle donne e dei ceti più poveri e hanno fatto da argine alla diffusione dell’islamismo radicale. La loro caduta ha trascinato detti Paesi nel baratro della guerra civile e aperto le porte all’islamismo radicale. Vediamo alcuni esempi di questa scellerata politica.
In Afghanistan negli anni 80 furono gli Stati Uniti, il Pakistan e l’Arabia Saudita appoggiarono i mujaheddin in funzione anti sovietica, tra questi vi erano anche i talebani con Osama bin Laden. La sconfitta dell’armata rossa (1989) e la caduta del regime filocomunista di Mohammad Najibullah (1996) consegnò l’Afghanistan ai talebani. Questi ultimi imposero all’Afghanistan un regime dispotico e confessionale, dove trovò rifugio Osama bin Laden e la sua rete terroristica. Gli Stati Uniti intrattenevano ottime relazioni con i talebani dai quali speravano di ottenere il controllo degli oleodotti che dall’Asia centrale portano il gas e il petrolio alla Cina e all’India La costruzione di detti oleodotti doveva essere affidata all’impresa statunitense UNOCAL. (7) Gli accordi fallirono e la protezione fornita dai talebani a Osama bin Laden, (ispiratore degli attentati del settembre 2001) fu il pretesto per l’invasione americana dell’Afghanistan (ottobre 2001). Dopo tredici anni di occupazione americana l’Afghanistan è un Paese diviso dalla guerra civile, i talebani non sono stati sconfitti e il 93% dell’oppio presente nel mercato mondiale è prodotto in Afghanistan. (8)
Nei Balcani – Bosnia (1992 – 1995) gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, la Turchia e l’Unione Europea appoggiarono i mussulmani bosniaci nella guerra contro i serbi. In gioco c’erano l’allargamento a est della Nato e il controllo di un’area geografica strategica per il passaggio degli oleodotti che portano il gas e il petrolio dall’Asia Centrale all’Europa, senza passare per l’Ucraina, ieri legata alla Russia e oggi instabile a causa della guerra civile. Tra i mussulmani sostenuti dall’Occidente e dai suoi alleati, militavano anche migliaia mujaheddin provenienti dall’Asia e dall’Africa Settentrionale, che porteranno il radicalismo islamico nei Balcani, prima in Bosnia e poi anche in Kosovo. (9) Il 3% della popolazione bosniaca oggi si dichiara wahabita e varie operazioni di antiterrorismo hanno portato a centinai di arresti in Bosnia e Kosovo, l’Al Qaedaspagnola (responsabile degli attentati di Madrid) era composta di mujaheddin addestrati nei campi presso Zenica, l’attentato all’ambasciata americana di Sarajevo del 28 ottobre del 2011.
In Iraq nel 2003, l’invasione degli Stati Uniti determinò la caduta del regime di Saddam Hussein, il Paese finì nel caos e divenne un terreno fertile per l’ascesa del Califfato.
In Libia nel 2011, l’intervento degli Stati Uniti e degli alleati europei (Francia e Gran Bretagna) provocarono la caduta di Gheddafi; ora il Paese in preda all’anarchia e all’islamismo radicale.
In Siria, nella guerra civile che dal 2011 insanguina il Paese, gli Stati uniti e i loro alleati appoggiarono l’opposizione, compresa quella jihadista, senza preoccuparsi delle conseguenze. Un sostegno non solo finanziario, ma anche militare e logistico. Armi come quelle provenienti dalla Croazia e donate dall’Arabia Saudita ai ribelli siriani: fucili d’assalto, lanciarazzi controcarro, lanciagranate, granate, munizioni, ecc). Basi militari, come quelle presenti in territorio turco e giordano, nelle quali si rifugiano e si addestrano i ribelli jihadisti che combattono in Siria contro Assad. Aiuti “non letali” come i “pick up” Toyota Hilux come quelli forniti dal Dipartimento di Stato americano ai ribelli siriani. (10)
Va ricordato che tra l’opposizione siriana prevalgono le organizzazioni islamiste che vorrebbero imporre nel Paese la sharia ed eliminare le minoranze etnico – religiose (alawiti, cristiani e curdi).
L’intervento degli Stati Uniti e dei loro alleati contro le milizie dell’ISIS potrebbe rappresentare un pretesto per intervenire direttamente nella crisi siriana e abbattere Assad. Non sarebbe una sorpresa, se consideriamo quella che è la politica americana e quella dei suoi alleati.
Le milizie islamiste sono funzionali agli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati. Sono una forza militare spietata ed efficiente che gli Stati Uniti e l’asse sunnita (Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Giordania ed Emirati) utilizzano per colpire l’asse sciita (Siria, Iran e Hezbollah). In gioco c’è il controllo del Medio Oriente, strategico per le risorse energetiche e per la posizione geografica. Una regione che si estende su tre continenti: l’Europa con la Turchia, l’Africa con l’Egitto e l’Asia con l’Iran.
La Turchia cerca di affermare il ruolo di potenza regionale entro i confini di quello che fu l’Impero Ottomano, la politica neo – ottomana del ministro degli esteri Davutoglu. (11) Attualmente lo Stato Islamico non rappresenta una minaccia per Ankara, anzi una possibile risorsa. Ankara spera che le milizie del Califfato cancellino lo Stato curdo che in Iraq sta nascendo; perché, la neonata nazione potrebbe scatenare un effetto domino tra i curdi di Turchia, che da anni lottano per l’indipendenza. Infine, la Turchia, spera che il Califfato attacchi l’Iran e continui a colpire la Siria, nazioni che ostacolano le sue mire espansionistiche nella regione. La Turchia non ha mai voluto colpire l’ISIS. Infatti: dal confine turco passano i volontari jihadisti che vanno a combattere in Iraq e in Siria; lo dimostrano i documenti d’identità appartenenti ai miliziani dell’ISIS, che i “peshmerga” hanno ritrovato nelle basi dell’ISIS conquistate. Inoltre, è nel territorio turco che i miliziani dell’ISIS si rifugiano e si addestrano, per colpire Iraq e Siria. (12)
I Paesi del Golfo Persico, governati da monarchie vili e dispotiche, sostengono il radicalismo islamico per ragioni di affinità religiosa (sono wahabiti sunniti) e per timore di perdere il lusso in cui vivono. Uno scontro con le milizie islamiste, metterebbe fine alla loro condizione di privilegio in un mondo arabo segnato dalla miseria; riportandoli a quello che erano, un deserto abitato da miserabili beduini, che solo il petrolio e la protezione degli Stati Uniti, ha potuto arricchire oltre i limiti del buon gusto e della giustizia.
Gli Stati Uniti e i loro alleati combatteranno il radicalismo islamico solo quando si sentiranno direttamente minacciati dallo stesso. Ora la “feccia islamista” rimane uno strumento utile agli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati. Non importa se cristiani, curdi, yazidi e sciiti sono massacrati e ampie parti dell’Iraq e della Siria sono controllate da fanatici assassini ai quali non è possibile riconoscere la dignità di uomini. Nella guerra al radicalismo islamico ogni forma di pietà è inopportuna; il radicalismo islamico va eliminato con qualsiasi mezzo, gli islamisti sono un nemico spietato che cesserà di minacciarci solo quando sarà morto.
La guerra all’ISIS e al radicalismo islamista, può essere vinta solo se gli Stati Uniti e i loro alleati cesseranno di destabilizzare il Medio Oriente e di minacciare l’asse sciita con la loro politica scellerata. Discorso analogo vale per il Caucaso, dove i terroristi islamisti cercano di creare un loro Califfato, unendo Dagestan e Cecenia, sostenuti dall’Arabia Saudita. Terroristi che l’Arabia Saudita appoggia con il tacito assenso di Washington, il fine è colpire la Russia.
Gli eserciti dell’asse sciita e le milizie curde sono le uniche fanterie disponibili per battere il Califfato. I soli bombardamenti degli Stati Uniti e dei loro alleati non sono sufficienti a sconfiggere le truppe del Califfato, ma solo ad indebolirle. La strategia militare, insegna che per vincere una guerra, è necessario l’intervento della fanteria; è quest’ultima snida il nemico casa per casa e prende possesso del territorio. (13)
L’Europa prossimo fronte della jihad?
Oggi l’Islam è l’unica religione che minaccia la pace e la libertà dei popoli. Un islam radicale di fede sunnita rappresentato:
– da governi confessionali fondati sulla sharia o legge islamica (Qatar, Emirati, Arabia Saudita, Kuwait, Pakistan, l’Afghanistan dei talebani, ecc.) che discriminano le donne (velo, poligamia, i pari diritti tra uomo e donna), che calpestano i diritti umani (lapidazione) e la libertà di fede e di espressione (reato di proselitismo, di apostasia e di blasfemia, la censura della stampa, la repressione del dissenso) che non proteggono i loro cittadini cristiani dalle violenze dei connazionali mussulmani (i cristiani in Pakistan e i copti in Egitto)
– da movimenti politico – religiosi che vogliono introdurre la sharia nei Paesi mussulmani, anche con l’uso della violenza (Salafiti in Algeria e in Tunisia, i Fratelli Mussulmani in Egitto)
– da organizzazioni terroristiche fanatiche e sanguinarie (l’ISIS, Boko Haran, al Qaeda con le sue ramificazioni in tutto il mondo, Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), le corti islamiche, ecc.) che massacrano le minoranze religiose (cristiani, curdi, sciiti, yazidi, animisti africani) e che scatenano la guerra civile in Africa (Libia, Nigeria, Somalia, Kenia, Sudan) in Medio Oriente (Iraq e Siria) nel Caucaso Settentrionale (Daghestan, Cecenia, Inguscezia, Ossezia Settentrionale o Alania) in Asia (in Cina – Turkestan Orientale e nelle Filippine – Isola di Mindanao) che vorrebbero scatenare la jihad in Europa. In questo sono sostenuti dalle loro reti terroristiche e da numerose moschee e centri di cultura islamici, trasformati in centri di formazione, di finanziamento e di arruolamento della jihad.
L’islamismo radicale non è quindi sostenuto da una minoranza di esagitati; ma da milioni di persone che vi aderiscono, anche in buona fede. La stessa “buona fede” che spinse milioni di europei ad aderire al nazismo e al comunismo. Alcuni si pentirono, ma riempirono le fosse con milioni di morti.
Le componenti dell’islamismo radicale sono un mondo eterogeneo e spesso entrano in conflitto per ragioni strategiche e di potere (Arabia Saudita contro Qatar, Al Qaeda contro il Califfato, i Fratelli Mussulmani contro i Salafiti), ma operano in un’unica direzione: imporre un Islam intollerante e assassino e conquistare l’Europa. Una conquista che l’Islam sta realizzando con la colonizzazione economica e demografica della stessa: economica, l’acquisto di aziende europee da parte dei fondi sovrani controllati dalle ricche monarchie del Golfo; demografica, l’immigrazione e l’entrata della Turchia in Europa. Morirà l’Europa e nascerà “l’Eurabia”, un continente sottomesso all’Islam, come lo fu parte dell’Europa nei secoli scorsi? Questa è la tesi sostenuta da Giselle Littman, Oriana Fallaci, Daniel Pipes e molti altri. (14) Un progetto di conquista che gli islamisti manifestano nei loro deliranti proclami e che non dispiace alla Turchia e ai Paesi del Golfo Persico, che vedono nel nostro continente una potenziale “terra di conquista”: indebolita dalla crisi economica e demografica, priva di valori per i quali combattere e morire, abitata da milioni di mussulmani di fede sunnita. Un “boccone” facile.
La conquista dell’Europa sarà un processo doloroso come lo fu nel passato. Oggi l’Islam è condizionato da movimenti fanatici e assassini che potrebbero trasformare l’Europa nel futuro fronte della jihad. Tutto dipenderà dall’aggravarsi della crisi economica, dalla capacità di proselitismo dei movimenti integralisti e dall’attività dei jihadisti con passaporto europeo. Quest’ultimi oggi combattono in Siria e in Iraq, ma potrebbero rientrare in Europa per combattere qui la loro guerra, forti dell’esperienza maturata e del sostegno delle proprie organizzazioni e di nazioni compiacenti. Questo fenomeno viene definito dagli esperti “terrorismo di ritorno” e allarma i governi europei. In Siria e in Iraq combattono oltre 3000 europei e il loro numero aumenta di giorno in giorno. (15) Il nemico non è già tra noi e presto o tardi potrebbe colpire.
Crisi economica e di valori, veterani e predicatori radicali, sono una miscela esplosiva che potrebbe fare da detonatore alla situazione di emarginazione in cui vivono milioni d’immigrati. Immigrati, che potrebbero aderire in massa al radicalismo islamico con tragiche conseguenze. Per l’Europa si profilerebbe un futuro “balcanico”, segnato da attentati terroristici e da rivolte dove il disagio sociale si mescola con il radicalismo religioso. Le rivolte nelle “banlieue” francesi (2005) o gli attentati in Gran Bretagna (2004), in Spagna (2007). Attentati terroristici difficili da prevenire, perché compiuti da soggetti isolati, come l’eccidio del museo ebraico di Bruxelles, il 24 maggio 2014, che causò la morte di 4 persone; (16) oppure l’attentato al parlamento canadese che provocò di due persone. Gli attentati compiuti da soggetti isolati, non vanno considerati meno letali di quelli compiuti dalle organizzazioni terroristiche, come dimostra il caso del norvegese Behring Breivik, (estremista di destra) che da solo fece 77 morti con due attentati. Poteva farne più vittime, il marocchino Mostafa Chaouki, che il 28 marzo 2004 si voleva far esplodere il Mc Donald’s di Brescia, con la sua macchina piena di bombole di gas, fortunatamente morì solo lui. (17) Questi fatti potrebbe rappresentare l’avvisaglia di uno scontro di ben più vaste dimensioni. Le Brigate Rosse, con poco più di cento membri operativi e il triplo di fiancheggiatori, riuscirono a mettere in crisi l’intero Paese (sequestro di Aldo Moro). Immaginate cosa potrebbero fare gli islamisti che sono molto più numerosi, spietati e forti.
Il radicalismo islamico non minaccia l’Europa solo con azioni di tipo eversivo, ma anche attraverso i flussi migratori. Milioni di disperati che fuggono da Paesi in guerra e che arrivano in Europa. Le nazioni europee sovrappopolate e in crisi economica, non sono nelle condizione di accettare questa marea umana e se lo faranno, gli effetti sulla loro situazione politica, sociale ed economica saranno solo deleteri.
Fonte: www.ilpiave.it
Link: http://www.ilpiave.it/modules.php?name=News&file=article&sid=9653
24.11.2014
NOTE
1) Sulla nascita dell’ISIS vi consiglio la lettura di questi articoli:
– ISIS, lo Stato Islamico: origini, obiettivi e finanziamento. In: http://www.rainews.it
– Rivka Tal: “Mistero ISIL”. Combat Arms – CAFF Editrice, ottobre – novembre 2014, pp. 42 – 49
– Elena Zacchetti: “Che cosa è l’ISIS, spiegato bene”. In: http://www.ilpost.it/2014/06/19/isis-iraq/
– Il Fatto Quotidiano 20.8.2014 : “Iraq, cos’è Isis: nato da Al Qaeda nella guerra in Siria, ma più ricco e organizzato”. In: http://www.ilfattoquotidiano.it
2) Jon Greenberg: “Fox’s Pirro: Obama set ISIS leader free in 2009”. In: http://www.PolitiFact.com
3) Stipulato in segreto fra Francia e Gran Bretagna nel marzo del 1916, aveva l’obiettivo di sancire la spartizione dell’Impero Ottomano, designando le nuove aree di influenza fra le potenze che stavano vincendo sul campo la Grande Guerra, così come la nascita di nuovi stati e relativi confini.
Ai britannici l’Iraq, l’Iran e la Giordania mentre ai francesi la Siria e il Libano più il libero accesso al porto di Haifa. Ma per il Regno Unito anche un’unità di intenti con una nuova rampante dinastia, i Saud, nuovi padroni dell’Arabia Saudita e futuro architrave della strategia britannica in Medioriente insieme agli Hascemiti in Giordania. Per i francesi invece la garanzia di poter contare su una cospicua minoranza cattolica a cavallo del Levante fra Siria e Libano. In calce al patto anche la promessa del sostegno alla nascita di uno stato o di una confederazione di stati arabi, per favorire appunto una “rivolta araba”, una sollevazione nazionalista in chiave anti-ottomana.
Quei confini sono rimasti stabili, mentre le influenze di Francia e Gran Bretagna nell’area sono rimaste evidenti a dimostrazione dell’onda lunga della colonizzazione.
Di esempi sul ruolo delle due potenze coloniali nell’area se ne contano a decine: dalla rimozione di leader scomodi (Mossadeq in Iran) passando alle ambiguità e alle responsabilità del governo britannico e francese durante i primi conflitti fra arabi e israeliani (come nella crisi di Suez) arrivando ai protettorati della seconda metà del Novecento, i governi britannici e francesi hanno sempre considerato il Medioriente come il proprio “cortile di casa”.
Cent’anni dopo però i confini tracciati fra gli stati sembrano obsoleti: a partire dall’intervento americano in Iraq nel 2003, la situazione è cambiata. Nel più classico degli schemi imperialisti, si è favorito il “divide et impera” che ha riacceso conflitti di natura etnico – religiosa.
Filippo Petrocelli: C’era una volta l’accordo Sykes – Picot. Una nuova forma per il Medio Oriente”.
In: http://www.instoria.it/home/accordo_sykes_picot.htm
4) Bernardo Valli: “L’ombra lunga di Saddam” da La Repubblica del 4.9.2014
5) I peshmerga sono l’esercito del Kurdistan, uno Stato che ancora non esiste. Il loro nome nella traduzione letterale significa “colui che si trova di fronte alla morte” (pesh: prima, merga: morte).
6) Secondo il dr. Günter Meyer, direttore del Centro di ricerca sul mondo arabo presso l’Università di Mainz, Germania: «La prima fonte di finanziamento del SIIL finora proviene dai Paesi del Golfo, soprattutto l’Arabia Saudita, ma anche Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti » da Deutsche Welle: “Who finances ISIS?” 19.6.2014.
7) Ahmed Raschid: “Talebani: Islam, petrolio e il grande scontro in Asia centrale”, Feltrinelli 2001.
8) Silvia Bettiol: “L’Oppio in Afghanistan”. Eurasia 8.4.2014. In: http://www.eurasia-rivista.org
9) l’Islam balcanico si è sempre distinto più per le ambizioni politico-nazionali che per quelle religiose; ma ora le cose stanno cambiando, il radicalismo islamico ha raggiunto anche nei Balcani, grazie all’opera di proselitismo degli iman sauditi, delle organizzazioni umanitarie islamiche e dei mujaheddin durante la guerra.
– J. R. Schindler: “Jihad nei Balcani Guerra etnica e al-Qa’ida in Bosnia (1992-1995)”, Editrice Goriziana, 2009.
– Stefano Giantin: “Fa paura il ritorno a casa dei ribelli balcanici in Siria” da Il Piccolo 20.12.2013
– Violeta Hyseni Kelmendi: “Kosovo estremismo religioso in crescita”. da Osservatorio Balcani e Caucaso 22.8.2014. In: http://www.balcanicaucaso.org/
– Paolo Fantauzzi: “I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo Le esecuzioni postate su Facebook” da L’Espresso 20.9.2014. In: http://espresso.repubblica.it/
– Andrea Rossini: “La fucina dei terroristi” da Osservatorio Balcani e Caucaso 12.9.2014.
In: http://www.balcanicaucaso.org/
– Eldina Pleho: “Wahabiti bosniaci” da Osservatorio Balcani e Caucaso 17.5.2010.
In: http://www.balcanicaucaso.org/
10) Molte sono le fonti che denunciano il sostegno degli gli Stati Uniti e dei loro alleati, all’ISIS e alle milizie islamiste che combattono in Siria.
– La Pbs, la tv pubblica americana denuncia in un servizio gli addestramenti americani ai ribelli http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/foreign-affairs-defense/syria-arming-the-rebels/syrian-rebels-describe-u-s-backed-training-in-qatar/
– La Stampa: il Qatar finanzia l’Isis http://www.lastampa.it/2014/08/21/esteri/iraq-lislamismo-da-esportazione-del-qatar-per-il-califfo-un-tesoro-di-due-miliardi-UfDueKARAxYnPOuEhOTfoM/pagina.html
– Il quotidiano israeliano Haaretz: gli americani armano i ribelli in Siria: http://www.haaretz.com/news/middle-east/1.597856
– La Reuters se n’è occupata: http://www.reuters.com/article/2013/09/10/us-syria-crisis-usa-rebels-idUSBRE9891EZ20130910
– Susan Rice (Consigliere per la sicurezza nazionale del governo Obama) ammette alla Cnn: armiamo i ribelli http://mobile.rawstory.com/all/2014-06-06-obama-advisor-susan-rice-hints-at-lethal-aid-to-syrian-rebel#1
– Lo scoop del Daily Beast che ha svelato il viaggio segreto del senatore americano Mc Kain in Siria: http://www.thedailybeast.com/articles/2013/05/27/exclusive-john-mccain-slips-across-border-into-syria-meets-with-rebels.html
– Marcello Foa: L’altra verità sconvolgente sull’ISIS e i suoi aguzzini. In www.ilgiornale.it, 20.8.2014
– Michel Chossudovsky: “Contro” lo Stato islamico, chi c’è dietro il Califfato? In: www.ariannaeditrice.it
Sarah F: “Siria: armi ai ribelli dalla Croazia. Paga l’Arabia Saudita”. In: http://www.rightsreporter.org/siria-armi-ai-ribelli-dalla-croazia-paga-larabia-saudita/
– Manlio Dinucci: “La balcanizzazione dell’Iraq”, “Il Manifesto” 17.06.2014
11) Ahmed Davutoglu: “Profondità strategica. Il mondo secondo Ankara”. Limes – Rivista italiana di Geopolitica, 4/2010, pp. 29 – 46.
12) Gian Micalessin: “Qamishli, i curdi accusano la Turchia: «Aiuta l’ISIS»”. In http://www.ilgiornale.it 5.11.2014.
13) Giuseppe Cucchi: “Boots on the ground: contro lo Stato Islamico serve la fanteria” Limes – Rivista Italiana di Geopolitica 9/2014.
14) Sul concetto di “Eurabia”:
– Giselle Littman:“Eurabia: Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale antiamericana, antisemita”. Lindau, Torino 2007
– Alessandro Gnocchi: “Una voce scomoda contro la nuova inquisizione”. Libero 1.12.2005. In: http://www.informazionecorretta.com
– Il sito ufficiale in lingua italiana di Daniel Pipes: http://it.danielpipes.org/
15) Guilles De Kerchove, capo dell’anti-terrorismo Ue lancia l’allarme: “Ci sono più di 3.000 europei nella jihad” 26.9.2014. In: http://www.huffingtonpost.it/
16) Si tratta del primo attacco terroristico in Europa perpetrato da un reduce dalla guerra in Siria. Mehdi Nemmouche, 29 anni, arrestato pochi giorni dopo a Marsiglia, portava ancora con sé il mitra con cui aveva ucciso a sangue freddo quattro persone al museo ebraico di Bruxelles.
17) Magdi Cristiano Allam: “Kamikaze made in Europe”, Mondadori editore 2004