DI LEONARDO MAZZEI
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Leonardo Mazzei compie una circostanziata analisi di quanto fatto dal governo Conte, anche considerando quanto detto e/o promesso di fare dai suoi esponenti di punta. Lo scritto si compone di cinque capitoli:
1. La politica economica
2. La politica sociale (e ambientale)
3. La politica estera
4. L’immigrazione
5. La democrazia
6. E adesso?
Ne vien fuori un quadro di grande interesse per capire la natura, le aporie ed i limiti del governo. Un’analisi che mentre smonta la campagna di satanizzazione del governo da parte dei poteri forti italiani ed europei—governo tacciato come d’ estrema destra se non addirittura fascista — sottolinea come esso provi davvero ad operare una positiva inversione di marcia rispetto alla politiche seguire negli ultimi decenni.
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Cento giorni sono un nulla, un soffio nella vita di una nazione. Per i governi, invece, i primi cento giorni sono importanti, il momento in cui mettere in vetrina i simboli della propria politica. Così è nella società dello spettacolo, dove l’apparenza conta più della sostanza. Lo è un po’ meno per lo strano “tripartito” nato il 1° giugno scorso.
L’importanza dell’apparenza è infatti inversamente proporzionale al peso della sostanza. Se un governo è pura continuità rispetto al precedente, si può star certi che metterà subito in bella mostra la propria inutile ma rilucente mercanzia. Pensate a Renzi e capirete di cosa sto parlando.
Se invece un governo porta con sé un vero, per quanto contraddittorio, programma di cambiamento, il discorso cambia. Il peso dell’apparenza si riduce di molto, mentre i riflettori saranno tutti puntati sulla sostanza. E’ giusto e naturale che sia così. In questi casi al tipico gioco delle parti tra maggioranza ed opposizione parlamentare si sostituisce bruscamente lo scontro immediato.
Mai si era vista nell’intera storia d’Italia, cioè dall’ormai lontano 1861, un governo accolto dalla totale opposizione dell’establishment. I grandi poteri economici, la Confindustria, la grande stampa all’unisono, spalleggiati ovviamente dall’intera oligarchia eurista, hanno subito dichiarato guerra alla maggioranza gialloverde, i cui ministri (tranne quelli di stretta nomina mattarelliana) sono stati qualificati come incapaci ed irresponsabili, portatori di visioni irricevibili, antiliberiste (vedi la discussione sulle nazionalizzazioni) piuttosto che nazionaliste.
Del governo Conte la stampa sistemica dice tutto e il contrario di tutto. Che tradirà giocoforza il suo programma, ma che se lo realizzasse sarebbe ancora peggio: un vero disastro per il Paese. Gli stessi organi di informazione riescono ad attaccarlo perché troppo statalista, ma pure troppo liberista per la proposta della flat tax. Insomma, un vero mostro dalle multiformi fattezze, ma mai con un lato buono.
E già quest’assenza di “lati buoni” per lorsignori dovrebbe renderlo interessante per chiunque voglia provare a costruire un’alternativa al regime dell’ultimo quarto di secolo: quello basato sull’ideologia mercatista, su un mix di neo ed ordoliberismo, dove liberalizzazioni ed austerità si sono fuse in quel tutt’uno che ha precipitato la vita di milioni di persone nella precarietà e nella diffusa povertà dell’oggi.
Su tutto ciò la nostra posizione è nota. Pensiamo, fino a prova contraria, che l’attuale governo – aprendo di fatto lo scontro con l’Unione europea – rappresenti un passo avanti verso la strada della liberazione nazionale, premessa di quell’alternativa sociale – per noi il socialismo – di cui in tanti cominciano a riscoprire una nuova attualità. Pensiamo questo nonostante le enormi contraddizioni presenti nella maggioranza M5S-Lega, e nonostante il compromesso di fine maggio (per noi sbagliato) che ha permesso ai poteri sistemici di infiltrare il governo con una vera e propria Quinta Colonna capitanata dal ministro Tria.
E’ quest’ultimo fatto – sempre dimenticato sia dai media mainstream che dall’opposizione di “sinistra” – che ci fa parlare di “tripartito”. E la ragione di tale dimenticanza è semplice. Alle forze sistemiche serve a dire che M5S e Lega non riescono a realizzare il loro programma, senza dire mai che il primo freno all’azione di governo viene proprio da quella Quinta Colonna loro amica. Per la sinistra sinistrata il giochino è simile. Fingendo di non vedere lo scontro interno all’esecutivo essa ama presentare il governo Conte come se fosse in continuità con quelli precedenti. Dato che Tria non è poi tanto diverso da Padoan, essi concludono che Di Maio e Salvini sono come Renzi e Gentiloni.
Un errore, a nostro modesto avviso, semplicemente catastrofico.
Sarà in larga misura la prossima Legge di Bilancio a fare chiarezza sulle prospettive politiche, ma certo non è inutile dedicarsi intanto ad un primo bilancio dell’azione del governo. Torniamo così ai primi cento giorni da cui siamo partiti, tentando di vedere luci ed ombre, limiti e potenzialità di una situazione politica che ognuno può qualificare come vuole, ma di cui nessuno può negare l’assoluta novità nel panorama europeo.
Per comodità espositiva dividerò questo bilancio in cinque categorie: la politica economica, la politica sociale, la politica estera, l’immigrazione, la democrazia. In ultimo, solo in ultimo, il tema che appassiona torme di intellettuali per alcuni decenni lievemente dormienti davanti al disastro che si stava compiendo: il presunto quanto inesistente fascismo che si starebbe aprendo la strada grazie ad un’altrettanto inesistente ondata di razzismo.
1. La politica economica
E’ questo, in tutta evidenza, il principale terreno di scontro dentro e fuori dal governo. E, senza nulla togliere al resto, devono essere le misure economiche e sociali il primo metro di giudizio per valutare il governo.
Tre, a mio parere, le questioni da segnalare. In primo luogo la riapertura del tema delle nazionalizzazioni, e scusate se è poco. In secondo luogo, l’aggiustamento delle posizioni sulla flat tax. In terzo luogo le misure annunciate in materia di rinazionalizzazione del debito.
Le nazionalizzazioni – Su questo punto c’è poco da dire. Si tratta obiettivamente di un’enormità. Una decisa inversione di tendenza non solo a livello italiano, ma nell’intero continente. Per decenni la parola d’ordine – a sinistra come a destra – è stata “privatizzare”. Oggi si comincia ad andare in direzione contraria. Certo, per ora siamo alle parole, ma in politica le parole pesano.
La prima nazionalizzazione sarà probabilmente quella di Alitalia. Tralasciamo qui, per ragioni di spazio, il pur importante dibattito sulle diverse possibili modalità di questa operazione. Quel che conta è che siamo passati dalla linea della svendita della vecchia compagnia di bandiera, al suo possibile rilancio attraverso la nazionalizzazione.
La flat tax – Abbiamo da sempre segnalato come sia questo il punto più negativo del cosiddetto “contratto” tra Lega e Cinque Stelle. Siamo per la progressività del sistema fiscale, che anzi dovrebbe estendersi dall’Irpef ad altre forme di tassazione.
Su questo versante non possiamo dire che siano avvenute grandi cose. Al Ministero degli Esteri Mattarella ha imposto un suo uomo, Moavero Milanesi, mentre M5S e Lega sembrano in tutt’altre faccende affaccendati.
Se sulla Libia domina la prudenza, sui pericolosi sviluppi della situazione siriana vige il più assoluto silenzio, dopo che ad aprile Salvini era stato il più netto nel condannare l’escalation americana.
Due sono invece le cose positive da segnalare: il no al Ceta, sul quale Cinque Stelle e Lega sono assolutamente compatti; il pronunciamento contro le sanzioni alla Russia, che al momento non ha però prodotto alcun atto concreto.
La posizione sulla Russia rappresenta di certo una novità nel quadro europeo, dove l’UE – sempre pronta ad imbracciare l’arma del “politicamente corretto” e dei “diritti civili” quando gli fa comodo – non ha trovato una parola di condanna del governo ucraino, neanche di fronte alle recenti dichiarazioni del presidente del parlamento di Kiev inneggianti ad Hitler.
Di fatto il governo Conte si è dissociato dalla russofobia alimentata dall’Unione europea, e questo non è poco. Questa posizione non è stata però sostenuta con la forza necessaria, ed alle dichiarazioni non si è fatto seguire un veto in sede europea, laddove il no di Roma avrebbe posto fine a sanzioni assurde, ingiustificate e del tutto contrarie agli stessi interessi nazionali.
Il no al Ceta pare invece una scelta più netta e convinta. Importante dal punto di vista pratico, ma ancor più da quello simbolico, essendo il primo no ad uno di quella serie di trattati che hanno imposto ed accompagnato la globalizzazione capitalistica come una specie di intramontabile “sol dell’avvenir” di quest’epoca sciagurata. Decisamente una scelta importante e da sostenere.
4. L’immigrazione
L’immigrazione non è certo il primo problema della società italiana, ma sbaglieremmo a non vederne gli effetti, specie quelli sul mercato del lavoro e sui salari. Chi li nega è semplicemente fuori dalla realtà. Che lo sia per cecità o disonestà intellettuale dipende dai casi, ma il risultato non cambia: una capacità di comprensione della situazione sociale pari a zero che lascia alla destra una grande prateria di consensi.
Come detto, parleremo solo in fondo della questione “razzismo”, limitandoci qui a mettere a fuoco le azioni di Salvini (quale ministro dell’Interno) ed il loro effetto politico.
La prima cosa da dire è che il flusso migratorio dall’Africa – per certi aspetti un vero e proprio traffico di schiavi – si è quasi del tutto azzerato. E così, per fortuna, le morti nel Mediterraneo. Intendiamoci, quel flusso era già crollato sotto l’azione (a suon di mazzette alle tribù libiche) del precedente ministro, il piddino Marco Minniti. Ma, appunto, perché se l’azione di Salvini ha di fatto proseguito quella del Minniti solo adesso si grida al razzismo?
In ogni caso le mosse di Salvini hanno consentito diversi risultati. In primo luogo si è messo fine al ruolo delle Ong, smascherandone la loro funzione di traghettatori di un ignobile traffico di esseri umani gestito da criminali della peggior specie. In secondo luogo si è smascherata l’ipocrisia di alcuni paesi, in primis la Francia, ma anche la Spagna, i cui governanti son sempre pronti a far la predica, molto meno ad accogliere migranti. In terzo luogo si è rivelata la vera natura dell’Unione europea, incapace di qualsiasi decisione che possa dispiacere all’asse Carolingio, ed incapace perfino a dar seguito alle promesse di una minima solidarietà con l’Italia che non si è mai vista.
La stampa, non solo quella italiana, si è occupata a lungo del caso della nave “Diciotti”, trattenuta per alcuni giorni nel porto di Catania proprio per mettere alla prova quella “solidarietà”. Certo, i migranti a bordo hanno avuto i loro disagi, ma davvero si può parlare di “sequestro di persona” come nell’indagine avviata dalla magistratura nei confronti del ministro dell’Interno?
Suvvia! Cosa avrebbe dovuto fare allora la magistratura nel 1997 nei confronti del quasi santoGiorgio Napolitano, allora ministro dell’Interno del governo Prodi, della cui maggioranza faceva parte pure Rifondazione Comunista?
5. La democrazia
La democrazia è fatta di tante cose. Intanto sia Cinque Stelle che Lega hanno combattuto entrambi, nel 2016, la battaglia per affossare la controriforma della Costituzione voluta da Renzi. Ma naturalmente questo non è sufficiente a descrivere un’idea di democrazia più precisa, tantomeno univoca, delle forze dell’attuale maggioranza. Tuttavia, due fatti vanno segnalati.
Il primo riguarda l’informazione, in un quadro dove i principali media sono uniti in una sorta di patto di sangue contro il governo gialloverde. Al momento né Di Maio né Salvini hanno mostrato di cercare un accomodamento con i signori del “quarto potere”. Hanno invece provato ad introdurre un forte elemento di cambiamento e di discontinuità in quel verminaio che si chiama Rai. La candidatura di Marcello Foa alla presidenza della Tv pubblica, per ora non approvata dalla Vigilanza, ma che verrà riproposta a breve, mostra una vera volontà di cambiamento.
E non è certo un caso che le forze sistemiche si siano subito violentemente schierate contro un giornalista non asservito al potere, un personaggio fuori dal coro, un critico tenace della globalizzazione e dell’Unione europea.
E ora…”fascismo”, “razzismo” e chi più ne ha più ne metta…
Ci siamo dedicati finora ad una ricostruzione dei primi cento giorni del governo gialloverde. Una ricostruzione dove mi è parso giusto considerare le cose fatte, quelle in dirittura d’arrivo, le prese di posizione più importanti, i temi riportati nel dibattito politico, insieme agli evidenti problemi che percorrono la maggioranza uscita dal voto del 4 marzo.
Ma siccome non viviamo sulla luna, è doveroso soffermarci, prima di chiudere, sulle accuse di “fascismo” e di “razzismo” indirizzate da tanti intellettuali e militanti della sinistra – italiana ed europea – contro l’attuale governo. Lo faremo però in maniera sintetica, anche perché tante cose le abbiamo già dette in questi mesi di intensa polemica politica.
Fascismo? – Abbiamo scritto tante volte che non si dà fascismo se non come reazione della classe dominante ad un pericolo rivoluzionario. Qui, purtroppo, il “pericolo” rivoluzionario in senso classico proprio non si vede, ma si vede invece lo schierarsi compatto delle classi dominanti contro il governo che si vorrebbe “fascista”. Abbiamo cioè l’esatto contrario di quel che il fascismo storicamente è stato. Può essere questo un banale dettaglio? Suvvia, siamo seri.
Ma il fascismo è stato anche, e preminentemente, un fenomeno di sopraffazione violenta, di annientamento fisico delle organizzazioni del movimento operaio e delle classi subalterne in genere. Abbiamo adesso qualcosa del genere? Vi sono forse squadracce che girano per il Paese con manganelli, olio di ricino, o con qualcosa oggi equivalente a quegli strumenti di un secolo fa? Ovviamente no. Di nuovo, siamo seri.
Il fascismo è stato dittatura, accentramento del potere, censura e controllo totale dei media. Certo, alla dittatura si arrivò per gradi, ma che forse possiamo parlare di accentramento del potere, quando semmai il vero problema è che i grandi poteri oligarchici sono tutti (sottolineo, tutti) contro un governo uscito da un voto democratico? In quanto ai media abbiamo già detto. Altro che controllo! Qui il controllo c’è, ma da parte delle forze d’opposizione! Per essere più precisi – dato che i partiti d’opposizione sono in preda ad un’autentica crisi esistenziale – da parte dei centri di potere che dirigono di fatto l’opposizione stessa.
Cos’è dunque questo fascismo immaginario che unisce la narrazione dei dominanti a quella della sinistra sinistrata? A me pare, semplicemente, una comoda fuga dalla realtà, una reazione psicologica all’imprevisto, un modo furbesco quanto sterile di ritrovare una propria efficacia non con la forza delle proprie idee, ove ve ne fossero, quanto piuttosto con la costruzione di un nemico irreale quanto mostruoso. Auguri!
Certo, il tema è facilmente riconducibile a quello delle migrazioni. E qui c’è un problema, perché il binomio leghista “blocco dei flussi + espulsione dei clandestini” non regge alla prova dei fatti. Esso nasce come reazione al caos globalista delle migrazioni (cioè, fondamentalmente, dell’importazione di schiavi senza diritti) come bene a prescindere. Ma la formula del futuro non potrà essere questa, bensì quella del governo dei flussi + l’integrazione dei migranti presenti. Uno stato sovrano e democratico dovrà controllare il fenomeno, combattere i trafficanti di esseri umani, dare cittadinanza, dunque diritti politici e sociali, a chiunque viva, studi e lavori in Italia da un certo periodo di tempo.
Ci siamo soffermati sulle parole chiave di “fascismo” e di “razzismo” per l’uso smaccatamente strumentale che se ne è fatto in questi mesi. La campagna delle forze sistemiche è però clamorosamente fallita. M5S e Lega avevano il 4 marzo il 50% dei voti, oggi i sondaggi le stimano un po’ sopra al 60%. La gente non è poi così gonza come pensano lorsignori.
Non si dà l’avvio di un vero cambiamento senza la battaglia contro le forze che vogliono impedirlo a tutti i costi. Oggi queste forze – quelle del blocco eurista – hanno trovato il loro campione proprio in Tria. Tutto ciò a dimostrazione di quanto siano strumentali gli altri argomenti di cui abbiamo parlato poc’anzi. A lorsignori interessa solo una cosa: che non si rompa seriamente con il dogma eurista e le sue sacre regole.
A me non pare che il duo Di Maio-Salvini, il vero asse su cui si regge il governo, abbia intenzione di capitolare. Vorrebbe evitare lo scontro adesso, questo è sicuro, ma non è detto che questa tattica venga assecondata dagli avversari. Anch’essi però sono deboli e debbono stare attenti. Non hanno alternative politiche in parlamento, né il consenso necessario per tornare alle urne. Si annuncia dunque un lungo tiro alla fune. La mobilitazione popolare è necessaria e la sinistra patriottica sa da che parte stare.
Leonardo Mazzei
Fonte: http://sollevazione.blogspot.com
Link: http://sollevazione.blogspot.com/2018/09/20-settembre-2018-cento-giorni-sono-un.html
20.09.2018