Harvey, Irma, Jose e gli altri

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FONTE: DEDEFENSA.ORG

La serie di uragani tropicali che colpiscono come ogni anno la zona dei Caraibi e la regione costiera del sud-ovest degli Stati Uniti (si intende sud-est – N.d.T.)  quest’anno è notevole per diversi aspetti che ci interessano direttamente. Naturalmente lasciamo da parte gli aspetti meteorologici, con le loro conseguenze dirette, umane, infrastrutturali, eccetera, che sono largamente rilanciate dai canali di comunicazione, molto numerosi e molto attivi sotto questo aspetto. Questo tipo di avvenimenti è effettivamente oggetto di intense coperture mediatiche grazie agli enormi mezzi di comunicazione disponibili e ai formidabili avatar umani e tecnici che sono impiegati in queste occasioni, con una narrazione a sfondo umanitaristico  molto potente la quale  riceve un trattamento colossale simile dal punto di vista della comunicazione. Gli aspetti che ci interessano sono quelli legati alla Grande Crisi Generale da una parte, e alla crisi psicologica che l’accompagna dall’altra. Due aspetti principali ci sono evidenti, alla luce della cronaca meteorologica principale e cioè la potenza insolita di questi fenomeni meteorologici (e non del loro numero, che non è eccezionale) e le conseguenze  umane e materiali che ne derivano. Questi due “aspetti principali” sono da una parte la politicizzazione istantanea e in tutte le direzioni di questi avvenimenti che è esasperata dalla potenza della copertura mediatica, e dall’altra la velocità della successione dei centri di interesse di questa potente copertura informativa. Nei due casi, il sistema della comunicazione gioca un ruolo fondamentale, del quale peraltro non ci si deve stupire, come noi non cessiamo di ripetere, pochè mettiamo la comunicazione come la principale forza distruttiva del funzionamento della civiltà (“contro-civiltà”) globalizzata; il sistema della comunicazione beninteso ha anche una  funzione  bifronte che determina dei contraccolpi nei due sensi, pro-Sistema e anti-Sistema.

La “politicizzazione istantanea” è stata evidente sul fronte degli Stati Uniti quando il ciclone Harvey ha devastato Houston e la sua regione e poi New Orleans in misura minore alla fine agosto. Immediatamente l’antagonismo tra Trump e la sua opposizione si è  tradotto in interventi nei due sensi, che andavano tanto ad enfatizzare l’unità ritrovata dell’americanismo quanto a rincarare le accuse contro Trump, sia di competenza, sia di razzismo (“si traggono in salvo più volentieri i bianchi che i neri”, eccetera) .La stessa politicizzazione istantanea si è ritrovata sul versante francese in occasione della devastazione delle piccole isole francesi dei Caraibi, e lì le accuse concernono sia l’incompetenza del governo Macron, sia  la evidenziazione indiretta delle diseguaglianze generate dal Sistema, fino all’accusa, anche in questo caso, che in queste diseguaglianze vi sia un razzismo latente. ( Il disastro colpisce i poveri e ricchi, ma soprattutto i poveri che sono più vulnerabili con la disintegrazione totale delle bidonville e i poveri che in queste isole sono sostanzialmente ”i neri”, eccetera).

Un altro aspetto della “politicizzazione istantanea” è stato che immediatamente si sono riaperte le polemiche -favorevoli e contrari- su ciò che è spesso definito l’ambito del “complottismo”. È stata rimessa sul tappeto di nuovo la polemica del riscaldamento globale, sempre con le sue due interpretazioni, o sotto-polemiche (crisi climatica o no; se la crisi c’è, se sia dovuta o no all’attività umana). Si possono anche menzionare le tesi sull’ allarme eccessivo o non eccessivo delle previsioni, considerate come una manovra politica, la volontà di accentuare il terrore nella popolazione oppure l’esplicito disinteresse riguardo alle sorti della popolazione, a seconda che ci si metta dall’uno o dall’altro punto di vista; in entrambi i casi, sospetti di manovre o di “complotti”, anche lì con i conseguenti dibattiti polemici.
La rapidità con cui si succedono i punti centrali di interesse di questa potente copertura mediatica è prima di tutto dettata dagli  avvenimenti meteorologici, com’è ovvio, e dai loro effetti catastrofici che non sono indifferenti. Abbiamo visto il caso delle isole francesi, ma  la sorte degli Stati Uniti  domina su tutto il resto a causa dell’orientamento del sistema della comunicazione. Ciò che si può vedere come una disparità di trattamento non impedisce che sia anche vero che almeno le aree urbane di Miami e di Houston, che contano rispettivamente più di 5 milioni e di 6 milioni di abitanti e sono tra le 10  più importanti degli Stati Uniti, siano state o siano  colpite con un’intensità che si può per vari aspetti qualificare come catastrofica. E anche se sembra che ci sia un limitato numero di vittime questo non può far dimenticare l’importanza politica considerevole di questi avvenimenti.

… Del resto non ci si può veramente attaccare al numero delle vittime perché la velocità degli avvenimenti di maltempo esaspera la tendenza naturale del sistema della comunicazione a passare da un centro di interesse all’altro per privilegiare sempre l’istante presente e cancellare sempre più in fretta dal ricordo  “l’istante presente precedente”,  ivi compresi  soprattutto gli effetti più avversi alla narrazione che la comunicazione persegue con continuità. Chi  si interessa oggi alla situazione di Houston, dove pure rimangono i disastri, e chi può dire il reale bilancio umano dovuto al passaggio di Harvey? Questo potrebbe far dire che il sistema dei media lavora per attenuare gli avvenimenti catastrofici  e le loro conseguenze; noi diremmo piuttosto che si tratta di un soffocamento quasi automatico dell’importanza degli effetti di questi avvenimenti, a causa della rapidità di questo tipo di  “fermo-immagine” (la rapidità nel passaggio da un centro di interesse all’altro); ma lo shock del messaggio causato dall’avvenimento, tanto più intenso quanto più è concentrato in tutto il potere dei media, resta profondamente nella memoria e nell’inconscio. Se così pochi protagonisti e commentatori possono illustrare le conseguenze importanti a lungo termine dell’uragano Katrina e neppure possono dare un preciso bilancio umano, resta che Katrina si è fissato nella memoria collettiva, e nell’evoluzione della Crisi Generale, come un avvenimento di potenza considerevole che ha fortemente contribuito ad aggravare la situazione interna degli Stati Uniti, e soprattutto la sensazione collettiva di crisi che caratterizza questa potenza dall’inizio del secolo, dando così un contributo alla sua destrutturazione-dissoluzione.

Quello che noi osserviamo è che questi due fattori, la politicizzazione istantanea e la rapidità straordinaria di trasmissione delle notizie, si sono formidabilmente amplificati. Lo si può valutare molto bene in funzione di Katrina e occasionalmente per altri avvenimenti simili; lo si può valutare per esempio quando l’una o l’altra personalità esacerbata (soprattutto del mondo super liberale dell’intrattenimento, il cui peso politico si adatta molto bene e senza esagerare all’ incultura uniforme e infantile dell’argomento e del pensiero che lo genera) individua in questi tornadi una sorta di “punizione di Madre Natura “ molto ispirata nel senso progressista-sociale, -la punizione dell’America perché ha eletto Trump. Philippe Grasset notava a proposito di Harvey nel suo Journal-dde.crisis del primo settembre 20177 :
“Era sorta ben presto una polemica su Katrina, nel settembre 2005, ma si trattava del modo di organizzare i soccorsi, dell’efficienza dell’agenzia federale FEMA, criticata da più parti, dalle condizioni della catastrofe e anche se potevano apparire un elemento di divisione a causa di differenti valutazioni, a volte interessate, di centri di potere concorrenti, comunque non riguardavano per nulla le condizioni di un’azione generale per fronteggiare la catastrofe. Il caso di oggi (di ieri), è completamente diverso: trasforma la polemica nell’odio verso un personaggio politico e i suoi collaboratori, senza nessuna relazione con le condizioni del disastro. Si passa dall’ambito della polemica politica fondata su avvenimenti reali, al campo del comportamento basato sugli stati d’animo, indipendentemente dalla natura dell’evento e dalla sua realtà.”

Così le catastrofi naturali fanno proseguire un andamento già ben delineato soprattutto dopo Katrina, e sono parte integrante  e per certi episodi fondamentale, della nostra Grande Crisi Generale e dell’agonia della nostra contro-civilizzazione. A questo proposito quest’anno 2017 è particolarmente notevole, in particolare soprattutto perché collega i considerevoli progressi della nostra tragedia-farsa nel senso della farsa, con il parossismo della crisi dell’americanismo dopo la campagna presidenziale, con questo personaggio del calibro di Trump.

Più precisamente potremmo dire che il 2017 denota un sensibile progresso in ciò che noi potremmo chiamare la “crisologizzazione” delle catastrofi naturali, ovvero l’inclusione diretta delle catastrofi naturali nell’attuale processo di crisi, studiata dalla crisologia come un processo pressoché universale, che da sè solo caratterizza i rapporti internazionali e la politica in generale

L’aspetto proprio “naturale” di questa evoluzione , nel caso delle catastrofi naturali, ha degli effetti particolarmente forti, che ricadono a livello politico: la polemica sul riscaldamento globale ne esce rinforzata, con una polarizzazione ancora maggiore;  l’antagonismo tra i difensori e i critici dei poteri costituiti trova un nuovo terreno da sfruttare. L’ambito psicologico è anch’esso grandemente coinvolto ed influenzato, a tal punto che per noi diventa quasi impossibile considerare un avvenimento naturale, come questi uragani, senza introdurre nelle nostre considerazioni quasi automaticamente una dimensione metastorica e di crisi. La nostra Grande Crisi Generale ha la singolare capacità di integrare tutti gli avvenimenti possibili e reali nella sua logica e nella sua dinamica; è proprio per questo che è Grande e Generale.

Fonte: www.dedefensa.org

Link: http://www.dedefensa.org/article/harvey-irma-jose-et-les-autres

11.09.2017

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