Hamas sta vincendo la battaglia di Gaza

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Scott Ritter
sputnikglobe.com

Il cessate il fuoco annunciato di recente è una benedizione sia per i palestinesi che per gli israeliani: un’occasione per lo scambio di prigionieri, per la distribuzione di aiuti umanitari e per raffreddare gli animi delle due parti conflitto.

Sebbene il cessate il fuoco, negoziato tra Israele e Hamas dal Qatar, sia stato concordato reciprocamente tra le due parti, non bisogna lasciarsi ingannare e pensare che non si tratti di una vittoria di Hamas. Israele aveva assunto una posizione molto aggressiva e, visto che il suo obiettivo dichiarato era quello di distruggere Hamas come organizzazione, non avrebbe accettato un cessate il fuoco a nessuna condizione.

Hamas, d’altra parte, quando aveva iniziato l’attuale serie di scontri con Israele aveva posto tra i suoi obiettivi primari il rilascio dei prigionieri palestinesi, in particolare donne e bambini, detenuti da Israele. In quest’ottica, il cessate il fuoco rappresenta un’importante vittoria per Hamas e un’umiliante sconfitta per Israele.

Uno dei motivi per cui Israele aveva sempre respinto un cessate il fuoco è che era sicuro che l’operazione offensiva lanciata nel nord di Gaza avrebbe neutralizzato Hamas come minaccia militare e che qualsiasi cessate il fuoco, indipendentemente dalla giustificazione umanitaria, avrebbe solo dato il tempo ad Hamas, un nemico ormai sconfitto, di riposare, rifornirsi e riorganizzarsi. Il fatto che Israele abbia accettato un cessate il fuoco è il segno più evidente che non tutto va bene nell’offensiva israeliana contro Hamas.

Questo risultato non avrebbe dovuto sorprendere nessuno. Quando Hamas aveva lanciato l’attacco del 7 ottobre contro Israele aveva dato il via ad un piano preparato da anni. L’attenzione meticolosa ai dettagli, evidente nell’operazione di Hamas, era la prova del fatto che Hamas aveva studiato l’intelligence e le forze militari israeliane schierate contro di lui, scoprendo punti deboli che erano stati successivamente sfruttati. L’azione di Hamas era stata qualcosa di più di una operazione tattica accuratamente pianificata, era stata un capolavoro di concettualizzazione strategica.

Uno dei motivi principali della sconfitta israeliana del 7 ottobre è dovuto al fatto che il governo israeliano era convinto che Hamas non avrebbe mai attaccato, indipendentemente da ciò che dicevano gli analisti dell’intelligence incaricati di sorvegliare le attività di Hamas a Gaza. Questo perchè Hamas aveva identificato gli obiettivi politici di Israele (l’annullamento di Hamas come organizzazione di resistenza tramite una politica che aveva cercato di “comprare” Hamas attraverso un programma ampliato di permessi di lavoro rilasciati da Israele ai palestinesi di Gaza). Utilizzando proprio il programma dei permessi di lavoro, Hamas aveva ingannato la leadership israeliana e questo aveva permesso che i preparativi di Hamas per l’attacco potessero essere eseguiti in piena vista.

L’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas non è stato un’operazione a sé stante, ma piuttosto parte di un piano strategico che aveva tre obiettivi principali: riportare la questione di uno Stato palestinese al centro del discorso internazionale, liberare le migliaia di prigionieri palestinesi detenuti da Israele e costringere Israele a rinunciare alla profanazione della Moschea di Al Aqsa, il terzo luogo più sacro dell’Islam. L’attacco del 7 ottobre, da solo, non poteva raggiungere questi risultati; era stato progettato per scatenare una risposta israeliana che, a sua volta, avrebbe creato le condizioni necessarie alla realizzazione degli obiettivi di Hamas.

L’attacco del 7 ottobre era stato progettato per umiliare Israele fino all’irrazionalità e fare in modo che qualsiasi risposta israeliana sarebbe stato un assalto guidato dal bisogno emotivo di vendetta, e non una risposta razionale mirata ad annullare gli obiettivi di Hamas. Il piano di Hamas, infatti, si basava proprio sulla consolidata dottrina israeliana della punizione collettiva (nota come Dottrina Dahiya, dal nome del sobborgo di Beirut Ovest pesantemente bombardato da Israele nel 2006, come punizione per la mancata sconfitta di Hezbollah in combattimento). Infliggendo a Israele una umiliante sconfitta che ha mandato in frantumi il mito dell’invincibilità (delle Forze di Difesa Israeliane) e dell’infallibilità (dell’intelligence israeliana) e prendendo in ostaggio centinaia di israeliani prima di ritirarsi nel suo covo sotterraneo a Gaza, Hamas ha teso a Israele una trappola nella quale il governo del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è, come previsto, precipitato a capofitto.

Sotto la Striscia di Gaza Hamas dispone di una fitta rete di tunnel che, in totale, si estende per oltre 500 chilometri. Soprannominati “Metropolitana di Gaza”, questi tunnel sono costituiti da bunker sotterranei profondi e interconnessi, utilizzati come centri di comando e controllo, per il supporto logistico, per le cure mediche e l’alloggio, insieme ad altre reti di tunnel dedicate alle operazioni difensive e offensive. Le gallerie sono scavate in profondità e non possono essere distrutte dalla maggior parte delle bombe in possesso di Israele e sono predisposte per resistere ad un assedio della durata massima di tre mesi (90 giorni).

Hamas sapeva di non essere in grado di impegnare Israele in un classico scontro di forza. L’obiettivo era invece quello di attirare le forze israeliane a Gaza, per poi sottoporle ad una serie infinita di attacchi “mordi e fuggi” da parte di piccole squadre di combattenti di Hamas che sarebbero usciti dai loro tunnel, avrebbero attaccato le truppe israeliane in un terreno a loro sfavorevole per poi sparire nuovamente sottoterra. In breve, sottoporre le forze armate israeliane a quella che è l’equivalente di una morte per mille tagli.

E ha funzionato. Sebbene le forze israeliane siano riuscite a penetrare nelle aree meno urbanizzate nella parte settentrionale della Striscia di Gaza sfruttando la mobilità e la potenza di fuoco delle loro truppe corazzate, i progressi sono illusori, poiché i combattenti di Hamas tormentano continuamente gli israeliani, usando micidiali razzi a doppia testata per disattivare o distruggere i veicoli israeliani, uccidendo decine di soldati israeliani e ferendone altre centinaia. Anche se Israele è reticente nel rilasciare le cifre dei veicoli blindati persi in questo modo, Hamas sostiene che sarebbero parecchie centinaia. Le affermazioni di Hamas sono avvalorate dal fatto che Israele ha interrotto la vendita dei vecchi carri armati Merkava 3 e ha riorganizzato il proprio parco mezzi in nuovi battaglioni corazzati di riserva per compensare le pesanti perdite subite sia a Gaza che lungo il confine settentrionale con il Libano, dove le forze di Hezbollah sono impegnate in una mortale guerra di logoramento con Israele in operazioni volte a sostenere Hamas a Gaza.

Ma la ragione principale della attuale sconfitta di Israele è Israele stesso. Dopo aver abboccato all’amo ed essere caduto nella trappola di Hamas, Israele ha continuato mettendo in atto la sua Dottrina Dahiya contro la popolazione palestinese di Gaza, effettuando attacchi indiscriminati contro obiettivi civili in palese disprezzo delle leggi di guerra. Si stima che 13.000 civili palestinesi siano stati uccisi da questi attacchi, tra cui più di 5.000 bambini. Molte altre migliaia di vittime rimangono sepolte sotto le macerie delle loro abitazioni distrutte.

Anche se, all’indomani dell’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas, Israele era stato in grado di raccogliere il sostegno della comunità internazionale, la sua reazione eccessiva aveva poi spinto l’opinione pubblica mondiale contro di lui, cosa su cui Hamas contava. Oggi Israele è sempre più isolato e perde sostegno non solo nel cosiddetto Sud globale, ma anche nelle tradizionali roccaforti filo-israeliane negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Europa. Questo isolamento, combinato con il tipo di pressione politica che Israele non è abituato a ricevere, ha contribuito all’acquiescenza del governo Netanyahu riguardo al cessate il fuoco e al successivo scambio di prigionieri.

Resta da vedere se il cessate il fuoco reggerà. Così come rimane aperta la questione di trasformare questa tregua in una sospensione duratura delle ostilità. Ma una cosa è certa: avendo dichiarato che la vittoria è rappresentata dalla sconfitta totale di Hamas, gli israeliani hanno posto le basi per una vittoria di Hamas, che può ottenerla semplicemente sopravvivendo.

Ma Hamas sta facendo molto di più che sopravvivere: sta vincendo. Avendo combattuto le Forze di Difesa Israeliane fino a costringerle allo stallo sul campo di battaglia, Hamas ha visto realizzarsi tutti i suoi obiettivi strategici di questo conflitto. Il mondo sta attivamente prendendo posizione sull’assoluta necessità di una soluzione a due Stati come prerequisito per una pace duratura nella regione. I palestinesi prigionieri di Israele vengono scambiati con gli israeliani presi in ostaggio da Hamas. Il mondo islamico è unito nel condannare la profanazione della Moschea di Al Aqsa da parte di Israele.

Nessuna di queste questioni era sul tavolo il 6 ottobre. Il fatto che ora vengano affrontate testimonia il successo di cui Hamas ha goduto il 7 ottobre e nei giorni e nelle settimane successive, quando le forze israeliane sono state sconfitte da una combinazione di tenacia di Hamas e dalla loro stessa predilezione per la violenza indiscriminata contro i civili. Lungi dall’essere eliminata come forza militare e politica, Hamas è emerso come la voce e l’autorità più rilevante nel difendere gli interessi del popolo palestinese.

Scott Ritter

Fonte: sputnikglobe.com
Link: https://sputnikglobe.com/20231123/scott-ritter-hamas-winning-battle-for-gaza-1115160045.html
24.11.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Scott Ritter è un ex ufficiale dei servizi segreti del Corpo dei Marines degli Stati Uniti, ha prestato servizio nell’ex Unione Sovietica per l’attuazione dei trattati sul controllo degli armamenti, nel Golfo Persico durante l’operazione Desert Storm e in Iraq per la supervisione del disarmo delle armi di distruzione di massa. Il suo libro più recente è Disarmament in the Time of Perestroika, pubblicato da Clarity Press.

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