Gli utili idioti della rivoluzione digitale

I problemi politici non vengono più visti come problemi collettivi che hanno delle cause nella società ma come problemi individuali, che richiedono interventi preventivi e che possono essere risolti esclusivamente a livello individuale, curando gli effetti e non le cause.

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Della cosiddetta ‘rivoluzione digitale’ c’è un tratto che stupisce; mi riferisco a quella bonaria accettazione e/o rassegnazione con cui si affrontano i cambiamenti in atto. “Cambierà tutto” è la frase detta e ridetta; da alcuni con soddisfazione e certezza, da altri vissuta con rassegnazione, come un evento necessario al pari di un tramonto. La marcia inarrestabile della digitalizzazione è infatti paragonata a un fenomeno naturale, un terremoto per cui puoi predisporre alcuni accorgimenti sapendo che però non puoi fermarlo.

Molti sono contrari per i motivi più vari. Dalla scuola pubblica post-pandemica avviata al ‘Metaverso’ che sta allarmando trasversalmente genitori, insegnanti ed educatori vari, alla salvaguardia di un accesso ai servizi senza passare obbligatoriamente per lo Spid; dalla battaglia contro l’accumulazioni di dati personali senza il nostro consenso, e quindi di conseguenza per una privacy effettiva, al piacere di interfacciarsi con un essere umano quando si tenta di comunicare con qualsiasi ente o azienda (detto fra le righe: i centralini automatici nell’ultimo periodo hanno fatto un salto di qualità non indifferente, non risolvono nulla come prima ma hanno delle voci meno meccaniche e se ti incazzi, perché alla fine t’incazzi, capiscono!); fino alle analisi di più ampio respiro che cercano di allertare le persone sulla pericolosità delle armi a guida autonoma o sullo strapotere che poche aziende – le GAFAM americane – esercitano nella vita politica di tutti i Paesi occidentali. Un mondo, insomma, che prende consapevolezza giorno dopo giorno dei problemi che comporta la digitalizzazione.

Come sapete, quanto appena descritto è un campo di battaglia estremamente importante. E visto che per un mondo che prende consapevolezza ce n’è un altro molto più vasto popolato di felici dormienti, spero in questo ed altri articoli di individuare alcuni aspetti cardine dei discorsi apologetici sulla digitalizzazione, nella speranza di offrire un punto di vista valido per provare a destarli dal sonno della ragione.

A tal proposito, è necessaria una premessa: non voglio discutere sull’utilizzo delle tecnologie digitali ma del ruolo che hanno nello strutturare rapporti di potere su un piano molto differente rispetto a quello che dovremmo aspettarci in società democratiche. La questione non è l’utilizzo di un pc o di uno smartphone, ma il fatto che i problemi politici, da qualche tempo a questa parte, non vengono più visti come problemi collettivi che hanno delle cause nella società, ma come problemi individuali che richiedono interventi preventivi e che possono essere risolti esclusivamente a livello individuale, curando gli effetti e non le cause. E le tecnologie digitali offrono uno spettacolare strumento a questo tipo di approccio, come abbiamo visto durante la pandemia che è stata affrontata essenzialmente con politiche liberticide improntate esclusivamente alla prevenzione dal contagio piuttosto che alle cure, con risultati assolutamente indecenti.

Allora, quale motivazione può esserci alla base di un sostegno tacito e trentennale all’invasione e all’implementazione di queste tecnologie nella vita quotidiana ma soprattutto nella sfera politica dei cittadini? Per i rassegnati è semplice capirlo: non c’è alternativa al sorgere del sole e all’identità digitale. Ma i soddisfatti? Loro davvero non si rendono conto?

C’è chi ci guadagna – chi diventa più ricco, chi più potente, chi entrambe le cose – e questo è sicuro. Eppure esiste in molti un tacito accordo sul fatto che queste tecnologie e le loro mirabolanti applicazioni rappresentino un futuro migliore.

Prendiamo il Bitcoin come esempio. Questa ‘nuova moneta’ non viene vissuta come una speculazione finanziaria in assenza di responsabilità, ma come manifestazione ideologica; la promessa di una società senza Stato, che si autogoverna e in contemporanea assicura crescita economica e progresso tecnologico. Nel racconto ideologico e nelle pratiche di marketing queste tecnologie svolgono la funzione di una ‘promessa di futuro’: sono l’America dei nostri tempi, in cui non essendoci più una terra vergine dove migrare per iniziare qualcosa di nuovo, la novità è stata spostata in nuova terra, quella ‘virtuale’. Queste speranze di rinnovamento hanno come sostegno ideologico tutte le armi del progressismo. Così, per chi crede nelle potenzialità del digitale e alle sue applicazioni in campo politico o del diritto, bisogna essere disposti al rinnovamento e quando quest’ultimo non è proprio benefico bisogna essere ‘resilienti’. Vanno aggredite tutte le istituzioni tramandate, usi e costumi che diventano nel gergo progressista pregiudizi. La critica al digitale diventa una critica alla modernità stessa.

In queste manifestazioni ideologiche legate al digitale, quest’ultimo non viene messo in relazione con l’economia o con la società del nostro tempo, con i suoi problemi e le sue battaglie. Questa separazione è rivolta a mascherare gli interessi enormi che prolificano nei mercati dei dati e dell’informazione, ed anzi la questione si aggrava quando il cambiamento politico viene collegato ad un’innovazione tecnica piuttosto che alla partecipazione dei cittadini organizzati ad azioni collettive. Il caso più micidiale è stato quello del Movimento 5 Stelle e la connessa celebrazione del web come strumento liberatorio.

C’è però una contraddizione tra quel “Cambierà tutto” e la realtà dei fatti. L’implementazione di queste tecnologie non è, nella maggior parte dei casi, contro i poteri del nostro tempo. Svolge anzi una funzione di stabilizzazione e conservazione, come sottolineato dal sociologo e politologo Evgeny Morozov. Chi celebra il web o la net economy dovrebbe spiegarci per quale motivo per salvare la libertà di internet siamo costretti a fare a meno della libertà di espressione, che viene messa in discussione su internet come se esistesse un luogo in cui le leggi non valgono o possono non valere. Solo separando il web dalla realtà, parlando di virtuale e di digitale, questo è possibile.

A guidare questo processo è un’oligarchia, oggi telematica, che vede nella società una serie di manopole e rotelle da modificare a seconda del caso. Può cambiare lo strumento con cui vengono trasmessi gli ordini, chi li trasmette no.

Cambierà tutto…ma non andrà tutto bene!

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