Devastante presentazione di Lavrov al Consiglio di Sicurezza dell’ONU

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Karl Sanchez – 21 settembre 2023

 

Il mio amico psico-storico di Moon of Alabama ha postato questo breve pezzo:

 

“La Reuters ha pubblicato un titolo che ci mostra come appare realmente la proiezione delle Nazioni Unite

‘Fermate la guerra’ e ‘Zelensky non ha bisogno di parlare’, dice alla Russia il presidente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU “.

Questo ha dato il via alla mia risposta e all’introduzione a questo magnifico pezzo di diplomazia da parte di Sergiei Lavrov, forse il miglior diplomatico del pianeta:

L’Albania è nazione che attualmente ha la presidenza. Lavrov ha ribaltato la situazione. Immaginate un colpo a segno nella scherma:

“Tutti i fatti della “ingegneria” della crisi ucraina sono noti da tempo, ma stanno cercando in tutti i modi di mettere a tacere, di “cancellare” l’intera storia fino al 2014. Pertanto, il tema dell’incontro di oggi, proposto dalla presidenza albanese, è molto opportuno e ci permette di ripristinare la catena cronologica degli eventi, e si colloca nel contesto dell’atteggiamento dei principali attori verso l’attuazione dei principi e degli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite” [neretto dell’Autore]

sergei_lavrov

Lavrov ha proceduto poi a riepilogare l’intera sordida vicenda dal primo colpo di Stato del 2004-5 a oggi, come farebbe un procuratore esperto. Per me, è semplicemente devastante.

E in effetti è stata una stroncatura delle bugie raccontate da Blinken e poi da Biden all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ciò che ha prospettato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato un ripudio totale di tutte le menzogne raccontate dall’Occidente e ha riepilogato molti dei crimini sconsiderati dell’Occidente in violazione della Carta delle Nazioni Unite. Ma spetterà ai singoli lettori vedere/leggere da soli e decidere se Lavrov ha effettivamente sferrato un colpo mortale all’Occidente agli occhi del mondo nella sua globalità:

 

Signor Presidente,

Signor Segretario Generale,

Colleghi

l’ordine internazionale esistente è stato costruito sulle rovine e dopo la colossale tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Si basava sulla Carta delle Nazioni Unite, una fonte fondamentale del diritto internazionale moderno. In gran parte grazie all’ONU, è stato possibile evitare una nuova guerra mondiale, con tanto di catastrofe nucleare.

Purtroppo, dopo la fine della Guerra Fredda, “l’Occidente collettivo”, guidato dagli Stati Uniti, si è arbitrariamente arrogato il rango di arbitro dei destini di tutta l’umanità e, sopraffatto da un complesso di esclusività, ha iniziato a ignorare sempre più ampiamente l’eredità dei padri fondatori dell’ONU.

Oggi l’Occidente fa riferimento alle norme e ai principi statutari in modo selettivo, di tanto in tanto, esclusivamente in funzione delle proprie egoistiche esigenze geopolitiche. Questo porta inevitabilmente a minare la stabilità globale, a esacerbare i focolai di tensione esistenti ed a fomentarne di nuovi. Anche i rischi di conflitto globale sono in aumento. È proprio per fermarli, per indirizzare gli eventi in una direzione pacifica, che la Russia ha insistito e insiste affinché tutte le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite siano rispettate e applicate non in modo selettivo, ma nella loro interezza e interconnessione, compresi i principi di uguaglianza sovrana degli Stati, di non interferenza nei loro affari interni, di rispetto dell’integrità territoriale e del diritto dei popoli all’autodeterminazione. Le azioni degli Stati Uniti e dei loro alleati indicano uno squilibrio sistematico delle norme sancite dalla Carta.

Dal crollo dell’URSS e dalla formazione di Stati indipendenti al suo posto, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno interferito apertamente e grossolanamente negli affari interni dell’Ucraina. Come ha ammesso pubblicamente e persino con orgoglio il vicesegretario di Stato americano Victoria Nuland alla fine del 2013, Washington ha speso 5 miliardi di dollari per “tirare su” i politici obbedienti all’Occidente a Kiev.

Tutti i fatti della “ingegneria” della crisi ucraina sono noti da tempo, ma si sta cercando in tutti i modi di mettere a tacere, di “cancellare” l’intera storia fino al 2014. Pertanto, il tema dell’incontro di oggi, proposto dalla presidenza albanese, è molto opportuno e ci permette di ripristinare la catena cronologica degli eventi, collocandosi nel contesto dell’atteggiamento dei principali attori nei confronti dell’attuazione dei principi e degli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite.

Nel 2004-2005, l’Occidente, per portare al potere un candidato filoamericano, ha sancito il primo colpo di Stato a Kiev, costringendo la Corte Costituzionale ucraina a prendere la decisione illegale di indire una terza tornata elettorale non prevista dalla Costituzione del Paese. Un’ingerenza ancor più inqualificabile negli affari interni si è manifestata durante la seconda manifestazione di Piazza Maidan del 2013-2014, quando tutta una serie di “viaggiatori” (io avrei tradotto “commessi viaggiatori”, a io parere più appropriato, N.d.T.) occidentali ha incoraggiato direttamente i partecipanti alle manifestazioni antigovernative ad azioni violente. La stessa V. Nuland ha discusso con l’ambasciatore statunitense a Kiev la composizione del futuro governo, che sarà poi formato dai golpisti. Allo stesso tempo, ha indicato all’Unione Europea il suo vero posto nella politica mondiale dal punto di vista di Washington. Tutti ricordiamo la sua scabrosa frase di due parole (“Fuck Europe”, che l’Europa si fotta, giova ricordarlo sempre, N.d.T.). È significativo che l’Unione Europea l’abbia “mandata giù”.

Nel febbraio 2014, i personaggi scelti dagli americani sono diventati protagonisti della sanguinosa presa di potere, organizzata, ricordo, un giorno dopo l’accordo raggiunto tra il presidente legittimamente eletto dell’Ucraina Viktor Yanukovych e i leader dell’opposizione, con le garanzie di Germania, Polonia e Francia. Il principio di non interferenza negli affari interni è stato ripetutamente calpestato.

Subito dopo il colpo di Stato, i golpisti hanno dichiarato che la loro priorità assoluta era quella di limitare i diritti dei cittadini ucraini di lingua russa (sottolineato dal Traduttore). E gli abitanti della Crimea e del sud-est del Paese, che si rifiutavano di scendere a patti con i risultati della presa di potere incostituzionale, sono stati dichiarati terroristi, lanciando contro di loro un’operazione punitiva. In risposta, la Crimea e il Donbass hanno indetto referendum nel pieno rispetto del principio di uguaglianza dei diritti e di autodeterminazione dei popoli, sancito dal paragrafo 2 dell’Articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite.

I diplomatici e i politici occidentali, in relazione all’Ucraina, chiudono un occhio su questa importantissima norma di diritto internazionale, nel tentativo di ridurre l’intero contesto e l’essenza di quanto sta accadendo all’inammissibilità della violazione dell’integrità territoriale. A questo proposito, vorrei ricordare che la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Principi di Diritto Internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, adottata all’unanimità nel 1970, stabilisce che il principio del rispetto dell’integrità territoriale è applicabile agli “Stati che osservano nelle loro azioni il principio dell’uguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli (…) e, di conseguenza, che hanno governi che rappresentano (…) tutte le persone che vivono sul territorio“. Il fatto che i neonazisti ucraini che hanno preso il potere a Kiev non rappresentino la popolazione della Crimea e del Donbass non ha bisogno di prove. E il sostegno incondizionato delle capitali occidentali alle azioni del regime criminale di Kiev non è altro che una violazione del principio di autodeterminazione a seguito di una grossolana interferenza negli affari interni.

In seguito al colpo di Stato durante la presidenza di Petr Poroshenko prima e di Vladimir Zelensky poi, l’adozione di leggi razziste che vietano tutto ciò che è russo – istruzione, media, cultura, la distruzione di libri e monumenti, il divieto della Chiesa ortodossa ucraina e il sequestro delle sue proprietà – è stata una palese violazione del paragrafo 3 dell’Articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti – senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione. Per non parlare del fatto che queste azioni contraddicevano direttamente la Costituzione ucraina, che sancisce l’obbligo dello Stato di rispettare i diritti dei russi e delle altre minoranze nazionali.

Quando sentiamo invocare l’applicazione della “formula di pace” e il ritorno dell’Ucraina ai confini del 1991, sorge spontanea la domanda: coloro che invocano questo hanno familiarità con le dichiarazioni della leadership ucraina su ciò che intendono fare con gli abitanti dei rispettivi territori? Le minacce di sterminio legale o fisico vengono ripetutamente rivolte loro pubblicamente, a livello ufficiale. L’Occidente non solo non frena i suoi protetti a Kiev, ma incoraggia con entusiasmo le loro politiche razziste.

Tra l’altro, in modo simile, i membri dell’UE e della NATO hanno incoraggiato per decenni le azioni di Lettonia ed Estonia volte ad annullare i diritti di centinaia di migliaia di residenti di lingua russa, definiti “non cittadini”. Ora stanno discutendo seriamente l’introduzione della responsabilità penale per l’uso della lingua madre. Alti funzionari dichiarano ufficialmente che la diffusione di informazioni sulla possibilità che gli studenti locali superino i programmi scolastici a distanza in russo deve essere considerata quasi come una minaccia alla sicurezza nazionale e richiede l’attenzione delle forze dell’ordine.

Tornando all’Ucraina. La conclusione degli accordi di Minsk nel febbraio 2015 è stata approvata da una risoluzione speciale del Consiglio di Sicurezza – in piena conformità con l’Articolo 36 della Carta, che sostiene “qualsiasi procedura per risolvere una controversia che sia stata accettata dalle parti“. In questo caso, Kiev, la RPD e la LPR. Tuttavia, l’anno scorso, tutti i firmatari degli accordi di Minsk, ad eccezione di Vladimir Putin (Angela Merkel, Francois Hollande e Petr Poroshenko), hanno ammesso pubblicamente e persino volentieri che quando hanno firmato questo documento, non avevano alcuna intenzione di rispettarlo. Volevano solo guadagnare tempo per rafforzare il potenziale militare dell’Ucraina e rifornirla di armi contro la Russia. In tutti questi anni, la UE e la NATO hanno sostenuto direttamente il sabotaggio degli accordi di Minsk, spingendo il regime di Kiev a risolvere il “problema del Donbass” con la forza. Questo è stato fatto in violazione dell’Articolo 25 della Carta, secondo il quale tutti i membri delle Nazioni Unite sono obbligati a “obbedire alle decisioni del Consiglio di Sicurezza e ad eseguirle“.

Vi ricordo che nel pacchetto degli accordi di Minsk, i leader di Russia, Germania, Francia e Ucraina hanno firmato una dichiarazione in cui Berlino e Parigi si impegnavano a fare molto, tra cui aiutare a ripristinare il sistema bancario nel Donbass. Ma non hanno mosso un dito. Abbiamo appena visto come, contrariamente a tutti questi obblighi, Petro Poroshenko abbia annunciato un blocco commerciale, economico e dei trasporti del Donbass. Nella stessa dichiarazione, Berlino e Parigi si sono impegnate a promuovere il rafforzamento della cooperazione trilaterale nel formato UE-Russia-Ucraina per una soluzione pratica alle preoccupazioni commerciali della Russia, nonché a promuovere “la creazione di uno spazio umanitario ed economico comune dall’Atlantico all’Oceano Pacifico“. Questa dichiarazione è stata approvata anche dal Consiglio di Sicurezza e soggetta all’attuazione in conformità con il già citato Articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite. Ma questo impegno dei leader di Germania e Francia si è rivelato “fasullo”, un’altra violazione dei principi statutari.

Il leggendario Ministro degli Esteri dell’URSS A.A. Gromyko osservò giustamente più di una volta: “dieci anni di negoziati sono meglio di un giorno di guerra“. Seguendo questo precetto, abbiamo negoziato per molti anni, cercando accordi nel campo della sicurezza europea, approvato l’Atto di Fondazione NATO-Russia, adottato le dichiarazioni dell’OSCE sull’indivisibilità della sicurezza al massimo livello nel 1999 e nel 2010, e dal 2015 abbiamo insistito sull’attuazione incondizionata degli accordi di Minsk risultanti dai negoziati. Il tutto nel pieno rispetto della Carta delle Nazioni Unite, che impone di “fornire le condizioni per la giustizia e il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e da altre fonti del diritto internazionale“. I nostri colleghi occidentali hanno calpestato questo principio quando hanno firmato tutti questi documenti, sapendo in anticipo che non li avrebbero rispettati.

A proposito di negoziati. Non li stiamo ancora abbandonando. Il Presidente della Russia Vladimir Putin ne ha parlato molte volte, anche di recente. Vorrei ricordare all’illustre Segretario di Stato che il Presidente dell’Ucraina Vladimir Zelensky ha firmato un decreto che vieta i negoziati con il governo di Vladimir Putin. Se gli Stati Uniti sono così interessati, penso che non sarà difficile “dare l’ordine” di cancellare il decreto esecutivo di Vladimir Zelensky.

Oggi, nella retorica dei nostri avversari, sentiamo solo slogan: “invasione, aggressione, annessione“. Non una parola sulle cause del problema, su come per molti anni hanno alimentato il regime patentemente nazista, riscrivendo apertamente i risultati della Seconda Guerra Mondiale e la storia del loro stesso popolo. L’Occidente evita una conversazione sostanziale basata sui fatti e sul rispetto di tutte le norme della Carta delle Nazioni Unite. A quanto pare, non ha argomenti per un dialogo onesto.

Si ha la forte impressione che i rappresentanti occidentali abbiano paura di discussioni professionali che mettano a nudo la loro demagogia. Pronunciando incantesimi sull’integrità territoriale dell’Ucraina, le ex metropoli coloniali tacciono sulle decisioni dell’ONU sulla necessità che Parigi restituisca l’isola “francese” di Mayotte all’Unione delle Comore e che Londra lasci l’arcipelago delle Chagos e avvii negoziati con Buenos Aires sulle isole Malvinas. Questi “campioni” dell’integrità territoriale dell’Ucraina ora fingono di non ricordare il significato degli accordi di Minsk, che consistevano nella riunificazione del Donbass con l’Ucraina con garanzie di rispetto dei diritti umani fondamentali, in primo luogo il diritto alla lingua madre. L’Occidente, che ha ostacolato la loro attuazione, è direttamente responsabile del collasso dell’Ucraina e dell’istigazione alla guerra civile.

Tra gli altri principi della Carta delle Nazioni Unite, il cui rispetto potrebbe prevenire una crisi di sicurezza in Europa e contribuire ad armonizzare le misure di costruzione della fiducia sulla base di un equilibrio di interessi, vorrei ricordare l’Articolo 2 del Capitolo VIII della Carta. Esso sancisce la necessità di sviluppare la pratica della risoluzione pacifica delle controversie con l’aiuto delle organizzazioni regionali.

In conformità con questo principio, la Russia, insieme ai suoi alleati, ha sempre sostenuto l’istituzione di contatti tra la CSTO e la NATO, al fine di facilitare l’attuazione pratica delle suddette decisioni dei vertici dell’OSCE del 1999 e del 2010 sull’indivisibilità della sicurezza, che stabiliscono, in particolare, che “a nessuno Stato, gruppo di Stati o organizzazione può essere attribuita la responsabilità primaria per il mantenimento della pace e della stabilità nell’area dell’OSCE o considerare qualsiasi parte di questa regione come propria sfera di influenza“. Tutti sanno che questo è esattamente ciò che la NATO stava facendo, cercando di creare il suo pieno vantaggio in Europa e ora nella regione Asia-Pacifico. Tuttavia, i numerosi appelli dei massimi organi della CSTO all’Alleanza Nord Atlantica sono stati ignorati. La ragione di questa posizione arrogante degli Stati Uniti e dei suoi alleati, come tutti possono vedere oggi, è l’indisponibilità a condurre un dialogo paritario con chiunque. Se la NATO non avesse respinto le proposte di cooperazione della CSTO, forse si sarebbero evitati molti dei processi negativi che hanno portato all’attuale crisi europea, dovuta al rifiuto pluridecennale di ascoltare la Russia, tentando invece di ingannarla.

Oggi, quando su suggerimento della presidenza si discute di “multilateralismo efficace”, non dovremmo dimenticare i numerosi fatti del rifiuto genetico dell’Occidente di qualsiasi forma di cooperazione paritaria. Come la perla di Joseph Borrell secondo cui l’Europa è “un giardino fiorito circondato dalla giungla“. Si tratta di una sindrome puramente neocoloniale che disprezza l’uguaglianza sovrana degli Stati e i compiti di “rafforzamento dei principi della Carta delle Nazioni Unite attraverso un multilateralismo efficace” che sono oggetto della nostra discussione odierna.

Nel tentativo di impedire la democratizzazione delle relazioni interstatali, gli Stati Uniti e i loro alleati stanno sempre più apertamente e senza cerimonie privatizzando i segretariati delle organizzazioni internazionali, aggirando le procedure stabilite per le decisioni sulla creazione di meccanismi subordinati con mandati non consensuali, ma rivendicando il diritto di biasimare chi, per qualche motivo, non è gradito a Washington.

A questo proposito, vorrei ricordarvi la necessità di una rigorosa applicazione della Carta delle Nazioni Unite non solo da parte degli Stati membri, ma anche da parte del Segretariato della nostra organizzazione. Secondo l’articolo 100 della Carta, il Segretariato è tenuto ad agire in modo imparziale e non deve ricevere istruzioni da alcun governo.

Abbiamo già parlato dell’Articolo 2 della Carta. Vorrei richiamare l’attenzione sul suo punto chiave 1: “L’Organizzazione si basa sul principio dell’uguaglianza sovrana degli Stati di tutti i suoi membri“. Sviluppando questo principio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione del 24 ottobre 1970 che ho citato, ha riaffermato “il diritto inalienabile di ogni Stato di scegliere il proprio sistema politico, economico, sociale e culturale senza interferenze da nessuna parte“. A questo proposito, nutriamo seri dubbi sulle dichiarazioni del 29 marzo del Segretario Generale Antonio Guterres, secondo cui “il governo autocratico non garantisce la stabilità, ma è un catalizzatore di caos e conflitti“, mentre “le società democratiche forti sono capaci di autocorreggersi e migliorarsi. Possono stimolare cambiamenti, anche radicali, senza spargimento di sangue o violenza“. Involontariamente mi vengono in mente i “cambiamenti” provocati dalle avventure aggressive delle “democrazie forti” in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e molti altri Paesi.

Inoltre, lo stimato Antonio Guterres ha affermato che: “Esse (le democrazie) sono centri di ampia cooperazione radicati nei principi di uguaglianza, partecipazione e solidarietà“. È da notare che tutti questi discorsi sono stati pronunciati al “summit per la democrazia” convocato dal presidente Joe Biden al di fuori delle Nazioni Unite, i cui partecipanti sono stati selezionati dall’amministrazione statunitense in base alla fedeltà – e non tanto a Washington quanto al Partito Democratico al potere negli Stati Uniti. I tentativi di utilizzare tali forum per discutere questioni di natura globale contraddicono direttamente il paragrafo 4 dell’Articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, che afferma la necessità di “garantire il ruolo dell’Organizzazione come centro di coordinamento delle azioni per il raggiungimento di obiettivi comuni“.

In contrasto con questo principio, alcuni anni fa, Francia e Germania hanno proclamato “un’alleanza dei multilateralismi”, alla quale hanno anche invitato solo coloro che sono obbedienti, il che di per sé riafferma l’inevitabilità della mentalità coloniale e l’atteggiamento dei promotori nei confronti del principio del “multilateralismo effettivo” oggi all’ordine del giorno. Allo stesso tempo, è stata costruita una “narrativa” sull’Unione Europea come ideale di quello stesso “multilateralismo“. Ora da Bruxelles si chiede di ampliare al più presto l’adesione all’UE, includendo in particolare i Paesi balcanici. Ma l’interesse principale non riguarda la Serbia, né la Turchia, che da decenni conduce negoziati di adesione senza speranza, bensì l’Ucraina. Sostenendo di essere l’ideologo dell’integrazione europea, Josep Borrell non ha esitato, recentemente, a dire che il regime di Kiev dovrebbe essere ammesso all’Unione Europea il prima possibile. Diciamo che, se non fosse stato per la guerra, ci sarebbero voluti anni, e quindi – è possibile e necessario senza alcun criterio. Serbia, Turchia e altri aspetteranno. Ma i nazisti vengono accettati nei ranghi dell’UE “saltando la coda”.

Tra l’altro, in occasione dello stesso “vertice per la democrazia“, il Segretario generale ha proclamato: “La democrazia nasce dalla Carta delle Nazioni Unite. Le prime parole della Carta – “Noi popoli” – riflettono una fonte fondamentale di legittimità: il consenso di coloro che sono governati“. È utile mettere in relazione questa tesi con i “precedenti” del regime di Kiev, che ha scatenato una guerra contro una parte enorme del suo stesso popolo – contro quei milioni di persone che non hanno accettato di consegnarsi ai neonazisti e ai russofobi che hanno preso illegalmente il potere nel Paese e hanno insabbiato gli accordi di Minsk approvati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, minando così l’integrità territoriale dell’Ucraina.

Coloro che, contrariamente alla Carta delle Nazioni Unite, dividono l’umanità in “democrazie” e “autocrazie“, farebbero bene a rispondere alla domanda: a quale categoria assegnano il regime ucraino? Non mi aspetto una risposta.

Parlando dei principi della Carta, si pone la questione del rapporto tra il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale. Il “collettivo occidentale” ha spinto a lungo e in modo aggressivo il tema “dell’abuso del diritto di veto” e ha ottenuto – attraverso pressioni non del tutto corrette sugli altri membri dell’ONU – la decisione di considerare il tema in questione all’Assemblea Generale dopo ogni applicazione di questo diritto, che l’Occidente sta provocando sempre più deliberatamente. Questo non è un problema per noi. L’approccio della Russia a tutte le questioni in agenda è aperto, non abbiamo nulla da nascondere e non è difficile ribadire questa posizione. Inoltre, l’uso del veto è uno strumento assolutamente legittimo previsto dalla Carta per impedire l’adozione di decisioni che potrebbero comportare una spaccatura dell’Organizzazione. Ma visto che è stata approvata la procedura per discutere l’uso del veto in Assemblea Generale, perché non pensare alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza su cui non è stato posto il veto, che sono state adottate, anche molti anni fa, ma che non sono state attuate, nonostante le disposizioni dell’Articolo 25 della Carta? Perché l’Assemblea Generale non considera le ragioni di questo stato di cose – ad esempio, per quanto riguarda le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sulla Palestina e sull’intera gamma di problemi dell’area MENA, sul JCPOA, così come la Risoluzione 2202, che ha approvato gli accordi di Minsk sull’Ucraina.

Anche il problema associato ai regimi di sanzioni richiede attenzione. È già diventato la norma: il Consiglio di Sicurezza, dopo lunghi negoziati – in stretta conformità con la Carta – approva le sanzioni contro un determinato Paese, e poi gli Stati Uniti e i loro alleati impongono “ulteriori” restrizioni unilaterali contro lo stesso Stato, non sono approvate dal Consiglio di Sicurezza e non incluse nella sua risoluzione come parte del “pacchetto” concordato. Nella stessa serie, un altro esempio eclatante è la decisione appena presa da Berlino, Parigi e Londra, attraverso le loro legislazioni nazionali, di “estendere” le restrizioni all’Iran in scadenza a ottobre, che sono soggette a cessazione legale in conformità con la Risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In altre parole, i Paesi europei e il Regno Unito dichiarano che la decisione del Consiglio di Sicurezza è scaduta, ma non se ne curano, hanno le loro “regole“.

Tutto ciò rende ancora più urgente considerare la questione che dopo l’adozione da parte del Consiglio di una qualsiasi risoluzione di sanzioni, nessuno dei membri delle Nazioni Unite avrebbe il diritto di privarla di valore imponendo le proprie restrizioni illegittime contro lo stesso Paese.

È inoltre importante che tutti i regimi di sanzioni del Consiglio di Sicurezza siano limitati nel tempo, poiché la loro natura indefinita priva il Consiglio di flessibilità in termini di influenza sulle politiche dei “governi sanzionati“.

Anche il tema dei “limiti umanitari delle sanzioni” richiede attenzione. Sarebbe giusto che qualsiasi sanzione venga sottoposta al Consiglio di Sicurezza fosse accompagnata da valutazioni delle sue conseguenze per i cittadini attraverso le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, piuttosto che da esortazioni demagogiche dei nostri colleghi occidentali secondo cui “la gente comune non soffrirà.”

Egregi colleghi,

i fatti parlano della crisi più profonda nelle relazioni internazionali e della mancanza di desiderio e volontà da parte dell’Occidente di superare questa crisi.

Spero che una via d’uscita da questa situazione esista e venga trovata. Per cominciare, tutti devono rendersi conto della responsabilità per il destino della nostra Organizzazione e del mondo – in un contesto storico, e non dal punto di vista di opportunistici allineamenti elettorali e momentanei nelle prossime elezioni nazionali di uno Stato membro. Permettetemi di ricordarvi ancora una volta che quasi 80 anni fa, firmando la Carta delle Nazioni Unite, i leader mondiali concordarono di rispettare l’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati – grandi e piccoli, ricchi e poveri, monarchie e repubbliche. In altre parole, già allora l’umanità riconosceva la necessità di un ordine mondiale paritario e policentrico come garanzia di stabilità e sicurezza del proprio sviluppo.

Pertanto, oggi non si tratta di sottomettersi a una sorta di “ordine mondiale basato su regole”, ma di adempiere a tutti gli obblighi assunti con la firma e la ratifica della Carta nella loro interezza e interconnessione.

 

La testimonianza di Lavrov offre agli storici una prospettiva diversa sulla formazione delle Nazioni Unite per guardare all’intero dopoguerra. L’unico punto critico che Lavrov non ha incluso è che la Carta delle Nazioni Unite è stata infranta dal suo principale estensore non appena è entrata in vigore nell’ottobre 1945 ed è stata continuamente infranta da questa stessa entità, rendendola così il Fuorilegge Numero Uno al mondo, non un leader secondo i canoni di una persona morale.

Lavrov è un uomo che sa trattare con la realtà, e questo è ciò che ha appena detto ai partecipanti alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Voi lettori siete la giuria. C’è qualche possibilità di innocenza per l’Occidente in questo caso?

 

Karl Sanchez è un accademico in pensione. Ci racconta pochissimo di se stesso, salvo definirsi un “alchimista culinario”.

Link: https://karlof1.substack.com/p/lavrovs-devastating-unsc-presentation?subscribe_prompt=free

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