DI ALESSANDRO GIGLIOLI
Piovono rane
Il saluto di Renzi al Pd non è al momento salutato con entusiasmo dai sondaggi: per ora sembra una di quelle cose con più finanziatori che elettori già viste in passato, da Montezemolo a Passera (i meno giovani ricorderanno anche la lista Giannini, qualcuno può severamente riferirsi anche al più recente tentativo di Oscar Giannino e sodali).
Tuttavia questi sondaggi valgono poco, perché Renzi – al contrario dei suddetti Montezemolo etc – è un politico di professione (altro non ha fatto) e conosce molto meglio i meccanismi di acquisizione del consenso. In più – piaccia o no, a me no – è un politico contemporaneo, quindi sa che politica comunicazione e marketing sono ormai più o meno la stessa cosa, e dentro quel mix lui si sa muovere con disinvoltura.
A questo proposito, a me pare che la profilazione mediatica di Italia Viva vada in tre direzioni:
1. La delegittimazione del Pd. Aldilà delle belle parole (“non porto rancore, ci lasciamo in amicizia” etc) Renzi punta a gettare sul Pd l’immagine della vecchia ditta dalemiana-bersaniana, i Ds quindi il Pci. In altre parole: Renzi non si limita a vendere il suo futuro prodotto ma vuole convincere che il prodotto del vicino è scadente, vecchio, superato, perdente, fermo a Bandiera rossa, insomma inadatto ai tempi. Non c’è bisogno di fare la stessa operazione verso Forza Italia perché quella parte di elettorato di Fi non andata con Salvini casca da sola nella nuova creatura di Renzi, senza nemmeno bisogno di spingerla, mano a mano che prosegue il crepuscolo del Cavaliere.
2. Lo specchio di Salvini. La prima mossa mediatico-politica di Renzi è stata chiedere un confronto televisivo con Salvini. Come dire: sono io l’anti Salvini, non Conte e tanto meno Zingaretti, se volete fermare Salvini dovete stare con me e solo con me. In sostanza, Renzi sta cercando un’incoronazione come principale se non unica alternativa alla destra estrema sovranista (e di tutto questo Salvini è contentissimo, s’intende: non gli par vero di avere Renzi come controparte; in sostanza, i due si sostengono mediaticamente a vicenda).
3. La seduzione dei “ceti produttivi”. Renzi ha annunciato che, Leopolda a parte, andrà a parlare subito con gli industriali, grandi ma anche piccoli, specie al nord. Quelli che per molti anni sono stati sedotti da Berlusconi e dalla Lega, poi si sono buttati nel 40 per cento renziano (anno 2014), quindi si sono riversati in massa sul Salvini della flat tax. A quei “ceti produttivi” l’ex segretario del Pd andrà a spiegare che a loro – per produrre ed esportare – conviene il liberismo à la Macron, non il nazionalismo alla Salvini.
4. La tecnocrazia come valore. Dopo Monti, in Italia non si può più usare la parola “tecnici”, ma la narrazione di Renzi in questo è chiara: le visioni politiche non contano più niente, sono solo illusioni adolescenziali o ideologie defunte, non c’è alternativa a questo capitalismo e la politica deve solo amministrarlo al meglio, gestirlo con le migliori competenze tecniche per la produzione di ricchezza.
5. La riproposizione del nuovismo. Renzi interpreta il triennio 2016-2019 come il periodo del rinculo: dopo vent’anni di sbornia digitale e globalizzante, l’Occidente ha avuto una reazione passatista e nazionalista che ha portato a Brexit-Trump-Salvini etc. Ora quel periodo di rinculo andrà fisiologicamente verso l’esaurimento (Brexit docet) e tornerà quindi vincente una narrazione ottimista basata sul futuro, sul nuovo, la Silicon Valley etc.
Questo, a occhio, mi pare il quadro di “creazione del consenso” che emerge dalle prime interviste, dalle comparsate in tv, dalla sua newsletter etc.
In termini di contenuti programmatici è un quadro abbastanza vuoto, diciamo più una cornice: del resto non è né vuole essere un programma di contenuto, ma semmai di narrazione, di marketing (del tutto lecito, s’intende).
È una scommessa, certo. Si sa che a Renzi l’azzardo piace, nonostante le scottature prese. E poi – lo hanno detto in tanti – lì comanda e altrove no, e a lui piace stare dove comanda. Altro che semplice senatore.
È anche uno schema di gioco, non inedito in verità ma che può funzionare in termini di creazione di consenso in una parte del Paese. Così come ha funzionato e funziona lo schema di gioco salviniano, basato sul mantra immigrati cattivi-Europa cattiva.
A ognuno la sua narrazione.
Ah appunto: queste due funzionano in mancanza di altre, o con altre meno efficaci, meno chiare, meno assertive. Benché i temi reali su cui basarle non manchino, dalle disuguaglianze all’ambiente.
E sì, in questo caso sto parlando di tutto quello che resta fuori – o vorrebbe restare fuori – dalla tenaglia dei due Mattei.
Alessandro Goglioli
Fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
Link: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/09/19/dalla-tenaglia-dei-due-mattei/
19.09.2019