C’è un pezzo d’Africa nel nostro futuro

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DI ROSANNA SPADINI

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La guerra interna al governo Gentiloni tra Minniti e Delrio in realtà nasconde una guerra esterna per la leadership del PD e per il governo del paese, tra Minniti e Renzi. Ecco perché è diventato pubblico il problema delle ONG, che in realtà era già noto da tempo nelle spelonche del web. Stavolta il ministro Minniti  sembra fare sul serio quando dice: “Tutte le ONG scelgano da che parte stare. Non intendo rinunciare al principio di salvataggio dei naufraghi e neppure a quello della sicurezza dei miei concittadini. Per questo ritengo necessaria la presenza di polizia giudiziaria sulle navi delle Ong …» chapeau!!

Però il ministro sa già che il suo Codice vale come il due di coppe? Una delle minacce infatti sarebbe quella di chiudere l’accesso ai nostri porti, ma se le navi in questione battono bandiera italiana, il rifiuto non potrà aver valore, e nemmeno se queste navi hanno a bordo persone bisognose di aiuto. La navigazione in alto mare è libera, e il capitano di una nave ha l’obbligo di soccorrere migranti o turisti che siano in pericolo, e non c’è Codice di comportamento che tenga.

Infatti perché le ONG hanno così sofferto nel firmare il Codice Minniti? Save the children ha risposto molto duramente dicendo che riguardo alla polizia armata a bordo delle navi non c’è margine di trattativa: «Non siamo delatori», hanno dichiarato. Cosa significa? Quale segreto devono celare? Cosa c’è di tanto inconfessabile che un agente di polizia non debba vedere a bordo delle loro navi?

Ormai siamo alla paranoia tragicomica, di colpo abbiamo scoperto che le ONG che operano da anni nel Mediterraneo non sono quegli splendidi esempi di virtù umanitaria che  i media ci hanno raccontato ed ecco che spunta il ministro Delrio a mestare le acque: «Facciamo la guerra agli scafisti, non alle ONG. Non possiamo venire meno agli obblighi umanitari, il soccorso in mare non è discrezionale». Globalisti contro nazionalisti o semplice pantomima? La seconda credo … infatti il Codice Minniti è solo una misura di  propaganda politica, per prendere tempo e consentire agli italiani di ingoiare l’amaro boccone poco a poco.

Il sistema delle ONG è un sistema di guadagni stratosferici sulla pelle dei migranti, che muoiono in gran massa anche per colpa loro. Un vero e proprio business nascosto. La MOAS dopo il suo primo anno di attività presenta il suo bilancio del 2014 di 60mila euro … di contro ci sono 8 milioni di dollari versati dal fondatore Chris Catrambone e dalla moglie Regina, che riceve anche un’onorificenza dal Presidente Mattarella.

Nel 2015 le donazioni arrivano a 25 milioni di euro, un aumento notevole … acquisto di droni, un aereo privato, pubblicità (devono farsi conoscere), noleggio di navi proprie, alcuni milioni finiscono poi nelle tasche dei proprietari, perché finanziano fondazioni di loro proprietà … ma l’aspetto umanitario dov’è finito? Insomma il salvataggio in mare dei migranti è un vero e proprio business, con l’incentivo del  5 per mille … cosa dicono gli avvocati radical chic #Erri_de_Luca e #Saviano?

Ad aprile 2015 al largo delle coste libiche si ribalta un peschereccio con più di 700 migranti. Si solleva l’indignazione generale e nel Mediterraneo viene messa in campo l’operazione Triton, sotto il controllo di Frontex, l’agenzia della guardia di frontiera e costiera europea. Frontex definisce modelli dell’immigrazione clandestina e delle attività criminali transfrontaliere ai confini esterni, inclusa la tratta di esseri umani.

Condivide i suoi dati con i Paesi dell’Ue e la Commissione Europea, e li usa per operazioni congiunte inviando mezzi di rinforzo nelle zone che ne hanno necessità. Dispone di 1.500 esperti. In Italia le strutture operative fanno riferimento al Viminale e alla Guardia di Finanza.

Triton (che oggi si chiama «Eunavfor Med» o «Sophia») fa attività di pattugliamento marittimo e aereo, di soccorso e investigazione per il contrasto dei traffici migratori illegali dal nord Africa. La priorità è il soccorso di vite umane fino a 70 miglia dalle acque libiche, ed è coordinata, su mandato di Bruxelles, dalla nostra Guardia Costiera, che dipende dal ministero delle Infrastrutture. Operano 11 imbarcazioni, 3 aerei, 2 elicotteri.

Il 2015 però è un anno cruciale, a fine anno si chiudono tutte le rotte via terra, mentre l’instabilità libica favorisce il via libera ai trafficanti di uomini. Fra il 2015 e il 2016 il numero delle organizzazioni umanitarie che affittano imbarcazioni battendo bandiera panamense, olandese, del Belize, si impenna, e continua a crescere nei primi mesi del 2017.

Tutte operano con donazioni private, ma il numero dei morti cresce automaticamente in proporzione  al numero di navi in attività. Mai tante barche nel Mediterraneo e mai tanti morti: 4.733 nel 2016, contro i 3.771 del 2015. Dal primo gennaio 2017 a fine giugno i dispersi sono 2108. Quindi più navi disponibili per il soccorso e più i trafficanti stipano anime in mare su imbarcazioni improbabili.

Il primo a capirlo è il capo di Frontex, Fabrice Leggeri, che denuncia le politiche di contrasto delle ONG, e conferma quanto aveva detto Emma Bonino, che Triton, voluta da Renzi, prevede che tutti i migranti siano portati in Italia.

Triton è fin dall’inizio un’operazione a guida italiana, e voluta dal nostro Paese, e le imbarcazioni degli Stati membri dell’Unione Europea che partecipano all’operazione Triton nel Mediterraneo centrale «intervengono solo su richiesta delle autorità italiane».

Soprattutto, la missione «non è stata imposta» ma «è stata chiesta» dall’Italia. Sulle modalità operative e gli sbarchi dei migranti «sono gli italiani che definiscono la magnitudo dell’operazione e il numero di persone di cui ha bisogno».

Ma il punto centrale della questione è che nell’ambito delle missioni di Frontex «gli sbarchi avvengono solo nello Stato membro ospitante», hanno ricordato le fonti Ue. L’Italia dal novembre 2014 è proprio questo, in base al regolamento UE 656/2014 del 15 maggio 2014 entrato in vigore a novembre dello stesso anno: «Stato membro ospitante» dei migranti.

Ai confini della Libia continuano ad esserci centinaia di migliaia di persone che premono per imbarcarsi (secondo fonti dei servizi segreti, citati da Le Monde), e l’obiettivo attuale del ministro Minniti sembra essere quello di dare una parvenza di regolarità e controllo sul fenomeno (nell’ultima legge di stabilità il bilancio dello Stato prevede una spesa pari a 4 miliardi di euro), in dirittura d’arrivo per le prossime politiche.

Ma perché il governo Renzi avrebbe concluso un accordo così folle e deleterio per il Paese, cosa ha ottenuto in cambio? Forse un do ut des, per una maggiore flessibilità dei conti, o semplicemente per maggiore convenienza, lauti guadagni per coop e mondi di mezzo assortiti, che sui migranti ingrassano?

 

Anche Enrico Credendino, comandante dell’operazione Sophia per i respingimenti in mare, ha puntato il dito contro le tecniche utilizzate dalle navi umanitarie per abbordare i gommoni e trarre in salvo i disperati. In una intervista al Corriere, l’ammiraglio che da due anni guida l’operazione Ue Navfor Med, ha confermato che l’aumento dei salvataggi in mare ha avuto (anche) l’effetto negativo di spingere gli scafisti ad incrementare i viaggi della morte.

«Nonostante abbiamo salvato 34mila persone, abbiamo fatto solo l’11,8% dei soccorsi. Ci sono Ong che fanno quasi il 40% e attraggono molto più. Le onlus lavorano spesso al limite delle acque libiche e la sera hanno grossi proiettori: gli scafisti li vedono e mandano il gommone verso questi proiettori».

Avete capito? Gli scafisti se ne stanno sulla spiaggia aspettando che le navi umanitarie accendano i fari notturni e poi fanno partire i barconi carichi di migranti. Dunque perché indirizzarli verso Lampedusa, se lì vicino c’è una nave umanitaria che li soccorrerà? I barconi così devono fare solo poche miglia e gli scafisti raggiungono il massimo risultato col minimo sforzo. Un vero e proprio affare.

Ammiraglio Enrico Credendino

Qualche dubbio l’ammiraglio Credendino lo ha pure sulle capacità di spesa delle organizzazioni non governative, che con risorse proprie riescono a levare l’ancora per più tempo di quanto possano fare le missioni europee. «Stare in nave 24 ore – spiega l’ammiraglio – è costoso. Alcune navi Ong sono avanzate, hanno anche piccoli droni. Sono investimenti importanti». Una domanda sorge legittima: dove prendono le risorse?

Da dove arrivano questi soldi? Probabilmente dal comparto industriale globalizzato che trae vantaggio dall’inserimento nel tessuto sociale italiano di giovani pronti ad affrontare il mondo dello sfruttamento salariale e operaio, magari per raccogliere pomodori sotto il sole per 9 a 10 euro (come dice Erri de Luca). C’è bisogno di schiavi e li si va a pendere in Africa, questo è il moderno fenomeno dello schiavismo, taroccato sotto la narrazione del salvataggio filantropico. Quindi deportazione, tratta di esseri umani e schiavismo … e poi ci chiamano popoli civilizzati.

Una massa enorme da sfruttare, una massa di schiavi, disposta a lavorare a poco prezzo e senza diritti, il progetto delle elites globaliste non è quello di integrare i migranti, ma è quello di farci diventare tutti sfruttabili, facendoci lavorare con orari e stipendi da schiavismo. Una sorta d’integrazione bipartisan.

In Sicilia negli ultimi tempi sono sbarcati migliaia di migranti illegali, recuperati grazie al solerte impegno delle navi soccorso gestite dalle ONG (Moas, Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Médecins sans frontières, Save the children, Proactiva Open Arms, Sea-Watch.org, Sea-Eye, Life boat) che annoverano tra i propri finanziatori la Open Society e altri gruppi legati al finanziere George Soros.

Fabrice Leggeri è intervenuto anche per criticare la tendenza a soccorrere i migranti «sempre più vicino alle coste libiche» spiegando come tutto questo incoraggi i trafficanti a stiparli «su barche inadatte al mare con rifornimenti di acqua e carburante sempre più scarsi rispetto al passato».

Le parole di Leggeri rappresentano un’ esplicita denuncia delle attività di soccorso marittimo finanziate dal «filantropo». Dietro le operazioni di navi di grossa stazza come il Topaz Responder da 51 metri del Moas, il Bourbon Argos di Msf, o l’ MS di Sea Eye ci sono infatti quasi sempre i finanziamenti del «filantropo».

L’ aspetto più inquietante della vicenda consiste però nel fatto che questa flotta di navi fantasma, battenti bandiera panamense, (Golfo azzurro, della Boat Refugee Foundation olandese e Dignity 1, di Msf) del Belize (il Phoenix, di Moas) o delle isole Marshall (il Topaz 1, di Moas) punta a realizzare politiche di contrasto rispetto a quelle europee e italiane.

Per capirlo basta spulciare i siti delle organizzazioni che gestiscono la flotta filantropica. La tedesca Sea Watch dice di battersi per il «diritto alla libertà di movimento» e afferma di non accettare «arbitrarie distinzioni tra profughi e migranti». Come dire che il rispetto di confini e sovranità nazionale non ha alcun senso, l’unica legge suprema resta quella liberista e globalizzata del mare.

Chris e Regina Catrambone di Moas

L’85% della popolazione migrante che arriva in Italia è costituito da migranti economici, quindi una categoria diversa da quella del profugo. Certo più difficile rifiutare l’accoglienza a chi scappa da un guerra (spesso causata dalle stesse potenze europee) e si presenta come profugo o rifugiato. Il migrante economico, invece, rappresenta un fattore di dumping sociale e/o di concorrenza sleale, comunque la gestione liberista della crisi è di per sé un atto di guerra o, meglio, la continuazione della guerra con altri mezzi.
Organizzazioni che all’apparenza sembrano muoversi più nell’ambito ideologico umanitario che in quello affaristico.

Invece un articolo pubblicato sul sito dell’organizzazione maltese MOAS, da un giornalista ospitato sulla nave Topaz Responder, descrive un’operazione con tutti i crismi dell’illegalità. L’articolo racconta il soccorso di 650 migranti recuperati «nella notte tra il 21 e 22 novembre 2016 a 20 km  dalle coste libiche» e poi portati in Italia. Un’esplicita ammissione di come la «flotta umanitaria» operi ampiamente dentro il limite di dodici miglia (22,2 chilometri) delle acque territoriali, ma il limite imporrebbe di riportare i naufraghi a terra anziché traghettarli fino alle lontane coste italiane.

«Nel 90% dei salvataggi eseguiti dalle navi delle ONG nel 2017, le imbarcazioni coinvolte sono state individuate direttamente dalle ONG e soltanto in seguito è stata data comunicazione al centro operativo della Guardia costiera a Roma».

È questa un’altra accusa contenuta nel rapporto riservato di Frontex su cui sta indagando il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro. Le 20 pagine, allegate al dossier principale, si concentrano sull’attività svolta nel Mediterraneo da 8 navi «private»: «La Guardia costiera operativa nell’area di Sabrata e di Az Zawiya sarebbe la prima a contattare direttamente le navi delle ONG che operano vicino alle acque territoriali libiche» … «per di più prima e durante le operazioni di salvataggio, alcune ONG hanno spento i transponder per parecchio tempo».

«Così gli scafisti si mescolano ai migranti» … «I telefoni satellitari consegnati agli scafisti contengono la lista dei contatti con i numeri diretti delle navi delle ONG e i migranti vengono istruiti dai trafficanti a segnalare la propria posizione». Un’affermazione che i responsabili delle associazioni liquidano sdegnati: «I nostri obiettivi sono esclusivamente umanitari».

Nell’ elenco otto navi «private»: Sea Watch di SeaWatch.org che batte bandiera olandese e porta fino a 350 persone; Aquarius di Sos Mediterraneo/Medici senza frontiere di Gibilterra con una capienza di 500 persone; Sea Eye di Sea Watch.org dall’ Olanda, fino a 200 persone; Iuventa di Jugendrettet.org, bandiera olandese con 100 persone; Minden di Lifeboat Project tedesca per 150; Golfo Azzurro di Open Arms da Panama che porta fino a 500 persone; Phoenix di Moas con bandiera del Belize che ne imbarca 400; Prudence di Medici senza frontiere con bandiera italiana che è la più grande visto che ha 1.000 posti.

Però non dovremmo preoccuparci, dato che Eugenio Scalfari sulle pagine della Pravda interviene ad illustrarci il nostro futuro, da buon padre della patria sinistrata: «La vera politica dei Paesi europei è d’essere capofila di questo movimento migratorio: ridurre le diseguaglianze, aumentare l’integrazione. Si profila come fenomeno positivo, il meticciato, la tendenza alla nascita di un popolo unico, che ha una ricchezza media, una cultura media, un sangue integrato.

Questo è un futuro che dovrà realizzarsi entro due o tre generazioni e che va politicamente effettuato dall’Europa. E questo deve essere il compito della sinistra europea e in particolare di quella italiana».
Insomma … c’è un pezzo d’Africa nel nostro futuro.

 

Rosanna Spadini

Fonte: www.comedonchisciotte.org

12.08.2017

 

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