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Di Alceste

Roma, 16 novembre 2023

Ho passato quasi metà della mia personale esistenza a vivere la vita di un altro; e ciò che ne restava a ripudiare il tempo in cui nacqui, giorno dopo giorno. Da giovane, per campare, si doveva fingere in tutto: sui banchi di scuola, in società, al lavoro, in vacanza, al bar. Ci si riservò la mendacità, una briosa discesa agli inferi. Il grasso di quella breve epoca edonista consisteva, a ben ri-vedere, nella moneta presa in prestito dal più sordido usuraio; e si viveva in accordo con quei semitoni una danza di sguaiato e inavvertito orrore. Quanto tempo perso, quanta stupidità in ogni atto! Alla nostra secolare etica, che disconosceva, come ogni tradizione che ci tiene in vita, il giudizio su sé stessa, se ne sovrappose un’altra, apparentemente libertaria, ariosa, dalla vastità infinita. Fu un miraggio degno di Alcina. In realtà vedevamo con altri occhi e i nostri, gli unici che potevano salvarci, furono resi ciechi: “gli ochi nostri tenebrosi”. Poi cominciai a leggere meglio, a vedere meglio. Non si trattava di risvegliarsi a niente, semplicemente giudicai secondo ciò che siamo sempre stati. E presi a vivere la vita al contrario. Sottosopra. Perché il contrario del contrario è la retta via. Dappertutto giravo in senso antiorario, come i detenuti durante l’ora d’aria. Alla stanga, a faticare il triplo, a essere compatiti (non capisci!), a rimanere esclusi, inevitabilmente, dal corretto fluire della vita che ancora, sonoramente, disperatamente, con risate isteriche e forzate, gorgogliava giù per la fogna. Dove merita di stare.

Una volta non ci si domandava: voglio vivere nel mio tempo, oppure no, lo rifiuto. Ci si adattava secondo un conformismo più o meno accettabile, schiantati da sacrifici o privazioni, oberati dal male, ma l’intimo conforto di cui si godeva erano quei punti cardinali verso cui guardare. Qui è il problema. Un asse del mondo è necessario, o per conformarsi o per tentare di svellerlo alle fondamenta. Le epoche o sono incardinate alla tradizione oppure minacciate da sconquassi sociali e umani, ma la bussola deve necessariamente segnare un nord morale. Uno dei primi a rendersi conto dello sfacelo fu William Shakespeare: quella frase, apparentemente innocua, poiché riferita a una vendetta (“Time is out of joint“, il tempo è fuori dei cardini, della giusta guida), alludeva al tramonto di un Ordine (di un kosmos) e all’incipiente in-augurazione dell’apostasia inglese. Egli intuiva che quel turbine di sangue celava non certo il male, presenza connaturata all’umano, bensì il nichilismo corrosivo e sterile dei nuovi tempi a venire.

Nel Riccardo III alcune nobili dame si rinfacciano assassinii:

Margherita: Io avevo un Edoardo, finché un Riccardo non lo uccise; io avevo un Enrico finché un Riccardo non lo uccise; tu avevi un Riccardo, finché un Riccardo non lo uccise.
York: Io avevo un Riccardo, e tu l’hai ucciso: io avevo pure un Rutland, e tu hai aiutato a ucciderlo.
Margherita: Il tuo Edoardo è morto, che uccise il mio Edoardo: l’altro tuo Edoardo è morto, a saldo del mio Edoardo; il giovine York non è che di soprammercato … il tuo Clarence è morto, lui che pugnalò il mio Edoardo; e gli spettatori di quel furioso dramma, l’adultero Hastings, Rivers, Vaughan, Grey, precocemente soffocati nelle loro cupe tombe.

Questo dialogo, degno dell’episodio d’un serial mafioso, cela qualcosa di più intimo: la fine dell’aristocrazia, intesa nel senso più alto. E dell’irruzione di una gerarchia basata non sull’oro, ma sulla metafora d’esso, sull’oro-nulla, sul denaro che chiede in pegno inesigibile la civiltà per ri-donare il Nulla.

L’incendio di Londinium del 1666, di cui ho reso sazie le platee del blog, ciò significa: ripudio della civiltà antica, ovvero la civiltà tout court, e via al brave new world di Huxley (che, infatti, cita Shakespeare).
Lo stesso studioso scespiriano Jan  Kott, cui si deve la messa in evidenza del dialogo di cui sopra, opportunamente annota: “Nel Medioevo l’immagine più pura della ricchezza era un sacco di monete d’oro … Per lunghi secoli la ricchezza fu rappresentata da campi, pascoli, boschi, greggi di pecore, castelli e villaggi … La ricchezza era qualcosa che si poteva vedere, toccare e odorare. Soltanto in seguito si smaterializzò, divenendo segno, simbolo, astrazione”.
In nome di questa astrazione, ora divenuta talmente raffinata da sfociare nel cupio dissolvi digitale, abbiamo sacrificato la nostra libbra di carne ovvero ciò che siamo stati. In cambio ci hanno dato qualche decennio di comodità; ora ci si accorge che tali doni, come tutti i doni di Lucifero, consistono in cenere.
Pagare tale debito è impossibile. Non possiamo riavere indietro nulla. Ciò che demmo all’usuraio in cambio di cenere è ora, esso stesso, cenere.

Shakespeare sapeva dei nuovi tempi. E Lady Macbeth, donna senza figli nella terra dove il brutto è bello, istiga il suo uomo a commettere il regicidio più infido e codardo. Macbeth non troverà più riposo, rimpicciolendosi a omarino timoroso delle fronde degli alberi; la strega, invece, dapprima isterica, quindi pazza, finirà a consumarsi come una candela (“Out, out, brief candle!“), lei, motore della tragedia, lontana dagli sguardi, in un delirio senza parole, ombra fra le ombre. Lo stesso Riccardo III muore fuori campo, dopo quel grido straziante: “Il mio regno per un cavallo!” poiché si era reso conto che il regno della propria ambizione s’era rivelato cenere.

I cavalli si azzannano nella notte, the land is waste, i cavalieri vagano oramai alla ricerca di qualcosa che nessuno potrà mai più trovare: la cappella è dissacrata, i più nobili sono massacrati l’uno dopo l’altro, negli agguati dei sicari, dal coltello o dal veleno; il Graal passa per mani usuraie, lo si vende al mercato delle pulci per quattro soldi, tra ghigni degni di Ensor.

Indy Gregory è morta. Cos’è questa bambina innocente per noi? È la Santa, la nostra Simonino. Sì, Lei difende gli ultimi confini del Sacro, dell’Intangibile. Oltre non c’è nulla. Il tema dell’aborto e dell’eutanasia, nella mia prima vita, era qualcosa di tecnico, ingannevolmente razionale. Bevevo alla fonte del Lete postmoderno. L’aborto? Legalizza un fenomeno che già esiste. L’eutanasia? Un palliativo per chi soffre. Le mammane, le mammane … il diritto all’aborto, la giuridicizzazione dell’aborto … i diritti civili, la libera scelta … ci ho messo una vita per liberarmi del mio tempo. Sono stato costretto a girare al contrario come l’ultimo dei ronzini, la pelle scorticata dalle frustate, per accorgermi che la soppressione di un essere vivente, ancorché colto nel suo principiare, tale è: un omicidio. E ciò avviene perché la creazione d’una nuova vita, la lenta educazione d’essa, l’amore che vi si profonde … ciò rappresenta la vittoria più travolgente contro l’Abisso e la Bestia. Lasciar crescere, plasmare, educare, definire, trasmettere; è questa la battaglia, l’unica reale, che l’uomo può combattere contro l’Indifferenziato. Cerchiamo di comprendere dove convergono gli attacchi del postmoderno: contro qualcosa di definito, solare, plastico: contro la vita, nel suo innocente e naturale fiorire.

L’appressamento a tale semplice verità m’indusse alla progressiva resa. Finalmente affermai: “È così, è sempre stato evidente”. Non è stata una scelta personale. La verità sul nostro stare al mondo si rivela, dolcemente: ed è Lei a sceglierci. L’uomo integro non deve scegliere. L’uomo dell’esistenzialismo, gettato nel proprio tempo come estraneo, l’uomo solo di fronte alla morte, l’uomo senza Dio, lui sì che vanta il privilegio, falso, della scelta: infatti qui si ritrova, alla radice, la sentenza di morte spirituale dell’umano. L’epoca delle scelte ha forgiato per noi un’infernale tunica di Nesso. I diritti, continuamente invocati, con petulanza assordante, a suffragare tale libera scelta, sono le 95 tesi che ci hanno spediti nell’Abisso. L’isteria dei libertari, la violenza bavosa delle loro affermazioni, deriva proprio dalle loro presunte libere scelte nel deserto del Nulla. La libertà estrema ha prodotto schiavi, il “fa ciò che vuoi” omarini biliosi, la falsa scienza, in realtà pura tecnica priva di rimorsi e peccati, un serraglio di disperati. La libertà autentica la regala l’armonia a un testo sacro, reso sacro nel tempo; non si compra sulle bancarelle del tempio, né si rivende, non ha prezzo come non l’aveva il nardo della Maddalena che tanto scandalizzava il ragionier Giuda (Gv 12, 3). Non ebbe mai prezzo la vita di Indi Gregory. Se anche avessimo sacrificato a lei tutto il nardo del mondo, avremmo operato nel giusto, arricchendoci. Ancora una volta l’omarino postmoderno opera calcoli sbagliati, moltiplicando l’ingiusto con l’ingiusto, rifuggendo dalla verità per puro spirito di protervia. Avrà in cambio cenere, ovviamente.

La spada ci separa dagli Altri. Nessuna pace in terra, ma la spada: la spada tra fratelli, la spada sceglie ognuno di noi. La spada, come il fuoco, affina, definisce, intaglia lineamenti ed etiche, ci rende qualcosa. Per difendere i confini del sacro, e rimanere umani, occorre un’arma. Prima o poi, dopo il proprio personale Golgota, ognuno, fedele o perfido, sarà chiamato. Qualcuno sul letto di morte, quando il baluginio dell’insensatezza ferirà molti cuori. Penitentiagite.

Lo Stato ha ucciso Indy Gregory. Lo Stato? Cos’è lo Stato? Non esiste più lo Stato. Sussistono esclusivamente le propaggini repressive dello Stato. Le altre funzioni sono state neutralizzate. Sanità, scuola, cultura, amministrazione. Finite. Avete fatto un giro per le capitali europee? Per Roma? Non c’è lo Stato Italiano, esso si è ritratto da ogni cosa. Solo giudici e gendarmi ancora muovono le fila. Soldi e repressione, repressione e soldi. Tanto residua di ciò che fu lo Stato. Non sarà lo Stato denominato Inghilterra a condannare la bambina, ma lo Spirito dei Tempi o lo Spettro che si è impossessato dei gangli vitali dell’ex Stato inglese, dal 1666 circa in quel caso, e ne comanda l’azione nichilista: a recare il destino dell’uomo nelle catacombe di Molussia.

Se non esiste cardine e pietra miliare è impossibile addirittura una rivoluzione. Il gioco di rimandi epocali (rivoluzione, restaurazione) viene precluso alla fonte poiché sono dissipati gli agenti stessi della Storia. Ebbero ragione, quindi, i cantori della sua fine: Essa è bloccata poiché è stata definitivamente dissolta la spinta vitale atta a recarla avanti.

Comunità, Paese, Nazione, Stato, Entità antiumana. La devoluzione procede; sul filo del diritto, ça va sans dire.

Rendere totalmente estraneo lo Stato a chi, teoricamente, lo sostanzia: cittadini italiani, inglesi, chiunque. Un’impresa eccezionale, titanica. Oggi il Nemico è lo Stato e non perché si sia anarchici. Tutto ciò che promana dallo Stato è una pozione mortale. Uno Spettro si aggira per l’Europa, la Bestia.

Ci si libera dal cielo, l’omarino si rapprende a esclusivo omarino oeconomicus. Via i tabù, l’erotismo si slabbra in pornografia e ansia di dominio. Si ripudiamo madri e padri, a ogni livello. I soldi, i soldi, i soldi … ma i soldi sono un mezzo. I soldi nemmeno esistono più, come lo Stato. I soldi, o meglio: il loro fantasma, sono il tramite per dominare ciò che resta dell’umano. Il fantasma del quattrino che ossessiona le menti h24: scadenze, bollette, dichiarazioni, aliquote, bonus … esso aleggia … aggirandosi per l’Europa … diuturnamente, per mai dare requie … persino i preti ne sono ossessionati … le parrocchie ridotte a uffici delle entrate … onde monetizzare battesimi e comunioni … il Cristianesimo nacque con la conversione di un usuraio di Stato e il suicidio dell’immondo ragionier Giuda … non è un caso che veda il proprio tramonto tra codici fiscali e dichiarazioni IMU … i soldi i soldi i soldi, mi mancano i soldi, ci vogliono i soldi, la caparra, il mutuo, il leasing … ma i soldi non ci sono, manca sempre un centesimo per fare un euro … vendiamo per fare soldi, poi reinvestiamo … ci servono più soldi … la sanità, le infrastrutture … ma i soldi sfuggono sempre, all’infinito, verso un orizzonte che mai arriva, e intanto si dilapida il mondo che si è costruito … ci servono più soldi: metti nella fornace della locomotiva altra roba, presto! Buttaci l’intestino, la milza, una libbra di carne sanguinosa … acceleriamo, vola la locomotiva, ecco, è proprio oltre quel dosso, ce la facciamo … la parità di bilancio, il rigore, i soldi, i soldi, i soldi … vendiamo … la cassa … facciamo cassa, la cassa del ragionier Giuda, no no il nardo è uno spreco, non vedete … cosa fa quella puttana? … ci svuota la cassa? Vendiamo il nardo … crocifiggiamo il Profeta … la cassa, meglio fare cassa … Perché? Perché ci servono i soldi.

Sergio Mattarella, Presidente dell’ex Repubblica Italiana, ricordando il magistrato Luigi Daga, morto in Egitto dopo un attentato terroristico, afferma: “[Daga fu] profondo conoscitore dell’amministrazione penitenziaria e precursore di metodi innovativi nello studio del nostro sistema punitivo, si impegnò per restringere la carcerazione ai delitti gravi, per offrire l’opportunità di reinserimento sociale dei detenuti attraverso il più ampio ricorso alle misure alternative alla detenzione. Il suo insegnamento umano e professionale di fedele servitore della Repubblica rimane prezioso per rendere coerente il nostro sistema penitenziario coi principi costituzionali”.
Le parole, ai massimi livelli, vanno soppesate. Se Mattarella dice “bianco” non afferma solo il “bianco”, ma anche l’errore di chi sostiene il “nero”; e di chi voglia situarsi a ridosso del “nero”, bruno o blu di prussia, e persino di chi rivendica, che so?, un bel verde foresta o un acceso vermiglione. Ma v’ha di più, come intercalava quel professorino di diritto romano: è che Luigi Daga morì in un attentato terroristico id est in un atto violento cagionato da individui con lo straccio in testa: estremisti, guerrafondai, teocrati, soppressori dei diritti delle donne e degli uranisti, gentaglia che fa saltare in aria i Buddha … il succo vitaminico-polcorretto è questa: andiamo verso un mondo nuovo, privo di colpa, in cui la passione, le credenze, la religione, l’amor di patria, la definizione di sé stessi, l’orgoglio, la scuola e le carceri andranno aboliti … persisteranno i reati di sangue, forse …  le grandi associazioni a delinquere sussunte nelle organizzazioni economiche multinazionali, in fondo il modo di operare è lo stesso … prostituzione, droga e gioco d’azzardo? Legalizzati. Incesto? Anche. Parafilie maggiori? Pure, l’importante è il consenso … non torcere un capello … summa della nova theologia: godetevi la vita che vi rimane, vi daremo tutto … dal cubicolo all’olovisore … ma guai, dico: guai!, a chi voglia ricordare le profondità vertiginose del Cielo … non esiste il Cielo, è un fondale oppressivo concepito da persone maligne … Sant’Agostino è come Hamas, diciamola tutta, e di Cristo faremo un santino innocuo, un hippie giudeo … purtroppo l’abbiamo travisato per secoli … ma ora, ma ora … c’è Victor Fernandez, l’omarino dei baci sulla bocca.

L’ebreo Yuval Harari, il libertario Pannella e il cattolico Mattarella sono araldi del medesimo sentire. Per il fatto, evidente, che non sono ebrei, libertari o cristiani. Solo la dissoluzione conta, la distruzione dell’antico ordine. Si va verso il polso a quaranta battiti al minuto, al nepente, all’elettrocardiogramma da poltiglia. La vita d’un Jack Russell è superiore a quella d’un neonato, la libertà di un uranista a quella di interi popoli. La gerarchia psicologica collassa, vige l’amore. Ah, l’amore … Dio è amore, Cristo è amore … ma che significa? Niente, di fatto. Sol un mezzo per ridicolizzare, per at-terrare la metafisica … non deve restare in piedi nulla … la maceria e il pietrisco da demolizione, come a Gaza, sono i benvenuti, si deve accogliere la Totalità in seno al Nulla; per renderlo Nulla: tale l’intimo segreto dei Nuovi Tempi … la coincidentia oppositorum fra Essere e Nulla, alla fin fine, perseguìta attraverso gli atti più vili e insensati. Uccidere un neonato, giustificando tale enormità attraverso i mille rivoli del progressismo più idiota: razionalità tecnica, antispecismo, trionfo della medicina … una serqua di sciocchezze che ci servono a colazione da decenni. Ecco la vicenda umana in un guscio di noce: l’uomo è intriso di de-voluzione, egli decade … il sol dell’avvenire è un sepolcro imbiancato da illusioni … questo ha sempre affermato la Vera Sapienza, dai Greci ai Padri della Chiesa, dal Sileno a Origene. Solo il Sacro, originando Sapienza e Bellezza e Santità, ci proteggeva da tale catastrofe.

Cristo opera il Bene e si serve del Male, che domina. Egli è la Totalità. Nel libro di Giobbe è Dio a istigare Satana; egli lo usa per mettere alla prova il proprio servo più devoto. Addirittura concede a Satana il potere del Male su di lui (“Eccolo nelle tue mani. Soltanto risparmia la sua vita”) perché anche il Male fa parte della Totalità. Cosa non ne fa parte? Il Nulla. Quello l’Arcinemico, il tumore profondo dell’umanità, la voglia di Indifferenziato che ci domina. Il Male oggi sarebbe il benvenuto. Il Male raffina, purifica, crea disperazione; e gioia. Traslare il “non ci indurre in tentazione” in “non abbandonarci alla tentazione” equivale a privare Dio di una parte dell’Essere.

Il nichilismo affiora nell’incomunicabilità dei personaggi di Ingmar Bergman, cresciuti non a caso, nella landa postmoderna delle libertà civili. La libertà, ora assoluta, è una malattia vischiosa in cui conglutinano assieme paura del prossimo, ansia di sopraffazione, disgusto verso sé stessi.

Borboglio I afono a un incontro mattutino coi rabbini. Rinuncia al proprio discorso in prima persona. Cosa significa, si domandano tutti, cosa vuole dirci con tale gesto che, a questi livelli, assume inevitabilmente un rilievo simbolico? In altre parole, hic stat busillis, perché un globalista e un atlantista come Borboglio I, impegnato a dissolvere la propria confessione bimillenaria, si distingue da Israele? Con un messaggio minuscolo e insinuante, ma, a occhi attenti, addirittura plateale? Sciogliere la contraddizione è un’operazione logica: la globalizzazione esige la dissoluzione massima; e, perciò, la dissoluzione di tutti e tre i monoteismi, compresi i relativi ricaschi teocratici. Id est: Israele e Iran non possono più esistere. Il modo in cui si arriverà a questo è, per ora, imperscrutabile. Un colpo da maestri consisterebbe in una guerra fra i due con inserti spettacolari dei relativi alleati. Attenzione! Non una guerra ordinaria bensì una serie di scontri costellati da accensioni propagandistiche che ammaestrino il popolicchio: vedete voi cosa succede quando si va contro la pace perpetua? Vedete i morti, i bambini insanguinati, gli edifizi polverizzati? Ecco, dobbiamo porre fine a tutto questo … via le oppressive teocrazie, via i popoli, via il cielo, via tutto … rimanga la poltiglia antropologica polcorretta … ebrei e persiani si diano la mano in un McDonalds’ di loro scelta … gli Ebrei servirono, ora non servono più, i millenaristi si trasmutino in predicatori da olovisore, si dia gradualmente spazio alle donne, si dismetta la sharia per la famiglia aperta …

Su Netflix abbondano le produzioni gonfie di superdonne, superuranisti, supernegri (e supernegre); e di drogati, sciattoni, parafiliaci: quasi sempre bianchi. Manca del tutto la nozione di eroe. L’immedesimazione in qualcosa di superiore mai deve scattare. Per tale motivo i filmetti ivi prodotti sono avari di autentici divi. Il divismo crea fenomeni imitativi: invece qui deve rappresentarsi il diporto più squallido dei personaggi, quasi tutti sbandati, asettici o psicopatici illuminati dalla luce azzurrina dei PC. L’aveva già detto Rollerball nel 1976: distruzione del passato, pace perpetua garantita dalle multinazionali, violenza fine a sé stessa che si esaurisce nel corso di riti sanguinari sportivi (la pista del rollerball è circolare, quindi infinita); e, soprattutto, rifiuto di ogni eroe. Il protagonista Jonathan E. dura da troppo tempo, più di dieci anni; i suoi colleghi crepano prima, o sono costretti da infortuni devastanti al ritiro. Cosa vuoi fare Jonathan, gli dice suadente un capoccia della corporazione, Bartholomew, vuoi forse divenire un modello di ribellione? Vuoi, forse, Jonathan, lo diciamo per il tuo bene, dimostrare d’avere una personalità?

Ronaldo e Messi durano da più di dieci anni, però, caro mio! Sì, ma sono nullità. Ho persino qualche dubbio sulle loro reali capacità. Sono atleti superiori, senza dubbio; purtroppo vacui. Più fenomeni da baraccone per l’omarino da poltrona con la pizza che cola mozzarella adulterata sul cartone da multinazionale … non significano granché. Anche il recente trionfo argentino mi è sembrato più telefonato che altro, quasi un risarcimento a chi si è impegnato per la causa della distrazione di massa. Non si cercano uomini di spessore che possano indurre l’imitazione. Si anela, invece, la foca con la palla sul naso, il superfreak. Come per l’NBA. Dopo l’ultima epoca degli eroi (Bird e Magic, Jordan già fu più costruito), arrivò Lebron James, il superfenomeno; e fenomeno fu, ma di stampo diverso, buono per la spettacolarizzazione estrema: tanto da far diventare un circo insulso anche l’All Star Game, la partita dei migliori, oramai ridotta a stanca ripetizione di gesti estremi. La personalità di James non esiste, si tratta di un talentuoso fascio di muscoli e null’altro. Lo si può amare oppure no, ma egli mai stuzzica velleità extrasportive. Oggi tutti attendono altri freaks: il bianco Chet Holmgren e il negro Wembanyama, un 2.25 che tira come una guardia, son in rampa di lancio: prodotti globalisti, senza caratteristiche e peculiarità, buoni per Nashville e New York, San Francisco e Chattanooga, Milano, Buenos Aires, Johannesburg, Tel Aviv, Tehran.

Se c’è una categoria che muove alle risa è quella dell’Occidentale Fallace. Fallace poiché si illude di essere occidentale, provocando uno smottamento di senso a un termine preciso e gravido di significati; e perché imbevuto di fallicismo, la postrema messa in burla dell’orgoglio bianco e occidentale … Questa ridicola figura è convinta che l’insieme della tradizione ch’egli si picca di rappresentare (il Cristianesimo, Raffaello, il liberalismo, la democrazia) possa essere difesa stando ai tavolini di un bar; all’ora dell’aperitivo; masticando tartine e salatini.

Ci invadono! L’invasione islamica! Hamas! I minareti! Dobbiamo … contrattacco … bombardare … Iraq … Israele … Hezbollah … La sua mente, settata da decenni per il tifo, e solo per quello, scatta paventando la fine delle nostre abitudini; e usi; e costumi … abitudini e usi e costumi fra cui risalta essenzialmente lo stare ai tavolini di un bar; all’ora dell’aperitivo; masticando tartine e salatini.

L’Occidentale Fallace è essenzialmente un omarino, ignorantissimo quanto arrogante, che mai in vita sua ha difeso, o penato per difendere, o illuminato, di una grazia sua, ciò che veramente di grande ha prodotto il cosiddetto Occidente. Anzi, tutte le scelte da lui operate vanno in direzione contraria. Egli ha sposato il peggio del peggio del consumismo più triviale, entusiasmandosi ai concetti e ai personaggi più superficiali e squallidi di ogni ambito del sapere: e ora pretende che gli Altri, the Heathens, non ci invadano. E perché non dovrebbero farlo? Anche nella storia della cultura vige l’horror vacui. Se tu sei niente, ridotto a niente, a uno spaventapasseri delle peggiori idiozie edoniste d’importazione, il cappello sdrucito di paglia e la camicia a brandelli agitata da qualsiasi vento abbia mai soffiato … chiunque potrà soppiantarti. Giusto che sia così. Credete che l’ucraino che piscia a piazza della Signoria o l’africano con l’i-phone che ci tocca mantenere vita natural durante siano gli araldi di una conquista dall’esterno? O il cinese che vende chincaglieria a piazza Vittorio in luogo dell’ex gioielleria a conduzione familiare sia arrivato coi barchini? Macché, cari signori, li avete fatti arrivare voi, con il vostro cicalare da quattro soldi, il tifo per la merda politica, la liquidazione progressiva e furiosa rivolta contro la vostra stessa cultura.

Spiegatemi come funzionano i centri della conoscenza, oggi. Università, licei, oratori, caserme, confraternite e ginecei, corporazioni artigiane … non vedete, voi, che tutto è stato liquidato? Credere che l’indignazione social al tempo della tartina (porti anche dei rustici, per favore!) possa surrogare ciò che siamo stati … quale genio della dissoluzione ha mai instillato tale credenza? Eppure c’è riuscito … non l’ha instillata direttamente, per carità, tramite inoculazioni forzate; la propaganda non agisce così. Ha solo veneficato, costantemente, con emissioni inavvertite, l’aria circostante; la menzogna, quindi, fu respirata quotidianamente, sino a depositarsi nell’anima. Dopo anni e anni e decenni di queste ventilationes, l’omarino occidentale ha finito per scegliere il peggio per sé stesso, a danno di sé stesso, credendo di combattere dalla parte giusta l’apocalisse dell’Armageddon. Oggi, infatti, reclama, con furia e passione, il proprio omicidio. L’iprite sprigionata nel tempo ne ha sconciato le fattezze, schiantato gli organi interni, sfasciato la capacità di vedere il giusto. Aborto ed eutanasia, la buona morte, gli sembrano il succoso frutto dell’Albero del Progresso, ma non c’è nessun serpente a sobillarli. Vogliono morire, non c’è niente da fare; hanno disgusto e orrore di sé stessi, non si sopportano più; vacui, impagliati; tale l’insegnamento che costituisce il loro ossigeno vitale. Qualcuno cerca di ribellarsi: no, non è così, è colpa di Hamas, dei minareti, dei ciabattoni col mitra! Quali spettacoli per la città di confusione, Roma. Anche il Morselli di Roma senza Papa fu ottimista con quell’arietta crepuscolare di “chiudiamo i giochi a San Pietro” … no, oggi va molto peggio. L’Italia, quale perdita per l’umanità … tremila anni liquidati in trenta … certo, il processo fu più lungo, ma l’epilogo vanta sei lustri, non di più.

Pare che Satollo I, il tizio che ancora regna sulla spianata del Vaticano, abbia avuto bisogno di uno psicologo. Alla fine dei Settanta. Perse la fede? Stress da superlavoro? Oppure aveva bestemmiato mentre si bruciava i polpastrelli con la fiamma d’un cero troppo vivace, proprio lì, davanti all’altare della Vergine de los Vasconcellos, e ne aveva tratto un deliquio di piacere (il che ci riconduce al punto primo)? Non lo sapremo mai. Conoscendo l’Edonista azzardo tale ipotesi: poiché non ebbe mai fede in nulla, men che mai in Cristo e la Madonna, egli entrò in una crisi di mezza età: si sentiva stanco di fingere. E così si rivolse, lui supposto esperto dell’anima, e preposto alla salvezza della stessa, a un collega, lo psicologo, colui che studia l’animo, ma rovesciato, con le nervature che affondano nella discarica interiore. Laddove il Cristianesimo cercò sempre pepite celesti, la psicologia, infatti, rinvenne solo breccole di merda; e lui fu così fortunato da trovare non solo uno psicologo, ma una psicologa, e pure ebrea, cioè la somma epitome di chi studia l’anima al contrario. Dalle cure (una volta a settimana per sei mesi = 26 sedute; o sdraiate) ne uscì rinfrancato, afferma il Panciuto medesimo; tanto leggero da riacquistare l’antica voglia di liquidare il Cristianesimo camuffandosi da filantropo dell’ecumene. Il Bud Spencer della Catastrofe Teologica, un bulldozer eretico, cominciò a scalare a sganassoni la parete di sesto grado del cursus honorum romano; arrivato quasi alla vetta, incapace di aspettare oltre, ne scaraventò giù il capocordata, un tedesco metaforico e allusivo poco tagliato per il gangsterismo degli ultimi tempi. E dal soglio di Pietro, da guitto qual è, iniziò subito a intortare il popolicchio con la maschera dell’umiltà francescana mentre la coda dello scorpione avvelenava i residui estremi del dogma, oramai disciolto in un pastone indistinto di sociologia, affarismo e buone intenzioni ipocrite.

L’uomo psicologizzato è inevitabilmente un omarino. Perché? Perché lo si considera essenzialmente un malato la cui infermità trova cagione nella personale interiorità. L’uomo psicologico è solo. Non ha nessuno attorno a sé. Anzi, proprio i pochi che ne condividono il sangue, e la vita, sono gli untori, altamente sospettabili, del contagio dell’animo. L’uomo dell’Antico Ordine non poteva rimanere solo. Egli faceva parte di comunità spirituali e positive più vaste (militari, antropologiche, religiose, corporative) che ne impedivano la dissoluzione nella pura individualità. E ogni comunità vantava regole d’esistenza, gerarchie, etiche; anche la condizione di povero preservava dall’annientamento; persino il povero poteva esclamare: “Ecco i miei fratelli!”. E noi? Quanti fratelli abbiamo? A chi possiamo rivolgerci quando il dolore, che sorge da un disagio indistinto, ci preme il petto? A nessuno. Divisi in monadi fra loro incomunicabili, illusi dalla virtualità, nemici  del proprio sangue: nemici, oramai, di sé stessi tanto da agognare la fine della vita.

La psicologia crea malati allontanando l’uomo dal cielo. Dapprima ci si confrontava con l’eterno e la perfezione, ora ci si appaga del trogolo. La distruzione della via che ci univa al cielo, questo fu il capolavoro dell’inversione psicologica.

Non è un caso che l’evento centrale dell’Occidente sia una Nascita scaturita dalla congiunzione fra una vergine mortale e la divinità. William Butler Yeats fa precedere i duemila anni del Cristianesimo da un altro ciclo, quello classico, anch’esso di duemila anni. I Dioscuri, Elena e Clitemnestra, infatti, rampollarono dall’unione tra Zeus e la regina spartiate Leda.

La verità sul destino di noi tutti si nasconde negli anfratti più impensabili. Sulla lingua di un comico o in pubblicazioni marginali, che nessuno si sognerebbe di considerare. Un di questi è Per farla finita con la famiglia. Dall’aborto alle parentele postumane, di una tal Angela Balzano. E chi è? Si presenta lei stessa: “Ricercatrice precaria eco/cyborg/femminista, coordinatrice e docente del modulo Scienze del Master in Studi e politiche di genere dell’Università degli Studi Roma Tre”.
Degustiamo il resumé:

Il binomio ‘biologia e capitalismo’ ha condizionato la riproduzione della vita sul pianeta in modo devastante. I danni che la riproduzione dei ricchi e bianchi sapiens arreca agli ecosistemi hanno provocato l’estinzione di troppe forme di vita. Invece di curare e riprodurre la sola popolazione occidentale bisognerebbe generare parentele postumane e decoloniali con persone razzializzate, legami transgenere che superino la dicotomia maschio/femmina, ma anche parentele transpecie con gli animali non-umani, con le piante, con le forme di vita create nei laboratori del tecno-capitalismo globale: dalle mucche clonate alle cellule immortalizzate. Ricorrendo alle analisi e alle utopie fantascientifiche femministe ci libereremo dalla “misura di tutte le cose”, l’Uomo, e dalla sua incubatrice, la famiglia eterosessuale”.

Il libercolo è una parete di sesto grado irrorata di lubrificante. La comprensione intima risulta impossibile (nel capitolo “Il cyborgfare tra fabula speculativa e tecnoscienza femminista“, a esempio, è scolpito questo cammeo: “L’esclusione delle femministe dalla scienza ne determina la configurazione strutturale come sapere in sé“). Ella inizia al passo (“potere pastorale cristiano … feudalismo patriarcale … neofascismo pro-vita …“), indi, dopo il primo nitrito d’autodeterminazione vaselineggiante (il maschio si responsabilizzi mercé il pillolo … ché, Carla Lonzi dixit, “per il piacere di chi abortiamo?“) e un invasamento glossolalico (“Il desiderio di avere figl* … tutela* di minor* stranier* non accompagnat* … noi tutt*“), s’effonde al trotto: “la decrescita cui aspiro è ri/produttiva perché eco/cyborg/transfemminista …” per cui è giusto “generare parentele post umane per la rigenerazione del pianeta“; da qui, e siamo al galoppo sfrenato da hierba mala, nasce “un invito a tessere legami transpecie non antropocentrici …” dacché “gli affetti che circolano tra le sostanze organiche e inorganiche sono potenti e in nulla inferiori a quelli della genitorialità antropocentrica (le diatomee insegnano)“.

Qui siamo, se ben intendo, non solo all’ammucchiata epocale fra lesbiche, trans, gay, immigrati, zoofili e gatti anticapitalisti, microbioti comunali  e “le cugine mucche“, bensì all’ossessivo desiderio dissolutorio di sé stess*: “Dovremmo … estirpare le radici dell’umano per piantarle nel terreno e farci humus … postumane e postume … una politica transfemminista … chiudere le gambe e aprire i porti …“. Uno di tali paradisi venne ribattezzato dalla femminista Donna Haraway col nome lovecraftiano di Chthulucene.

Fasi del progressismo: i cieli, dapprima dimora del divino, si rivelano fondali di cartapesta; al centro della creazione è ora l’uomo; l’uomo, però, delude, sbattendo continuamente il cranio contro quell’arco di stelle che prima gli era sembrato così vicino; meglio, perciò, sacrificarlo; dove? Sull’altare della libertà, della donna, dell’eguaglianza; ma non funziona! Allora metteteci i gatti, le translesbiche, una mucca clonata, un baby cyborg, un mazzo di asparagi, le diatomee, il compost, le amebe! La pozza protozoica! E così sia!

Voi direte: per comprendere il presente ci son ben altri intellettuali! E rispondo: assolutamente no. Chi meglio di tali rincalzi? Son proprio le terze e quarte file a essere le più impregnate dello Spirito del Tempo. Ne sono talmente imbevute che alcune stille colan giù persino alla lettura; come certi fazzolettini da poco comprati agli incroci metropolitani, tra le sgasate impazienti e le brucianti accelerazioni da verde, che, a causa della loro rapidissima imbibizione, si saturano delle moccicose colature invernali.
In loro l’apostasia dall’umano è potente.

Allo stesso modo compresi da subito il secolo americano dell’Enduring Freedom leggendo un libercolo del Fregoli Daniele Capezzone, allora nelle vesti di neoconservatore illuminato: Uno shock radicale per il 21. secolo: Stati Uniti d’Europa e d’America verso l’organizzazione mondiale della democrazia: abbattere in tutto il mondo gli ostacoli al diritto individuale alla libertà e alla democrazia.
Siamo nel 2003, ma l’elaborazione risulta ancor più risalente. Un capitoletto futuribile è titolato Netizens: la nuova cittadinanza è digitale. E-democracy versus e-government. E non riserva sorprese. Almeno non a me.

Per comprendere il nostro ruolo nel mondo occorre volgerci agli autori celesti; per conoscere il bugliolo riservatoci occorre frequentare gli angiporti più luridi.

Grillo parla e dice la verità. La gente, tuttavia, equivoca, così come mal intende Capezzone, la Boldrini e la Balzano. Si pensa che stiano scherzando, ma traverso le loro mascelle feroci parla lo Spirito luciferino del Tempo. Son questi i carnefici. Dietro, inavvertiti, si muovono legioni di ciechi, in teorie innumeri, ognuno col proprio coltello di ossidiana. A tali esserini, inebriati dalle altezze che godono dalla piramide a gradoni del falso progresso, è stata sacrificata Indi Gregory.

Ho sempre tratto una serenità somma dagli incontri con gli “antiqui huomini”. Se c’è una discesa benigna è quella nel silenzio ove parole immortali risuonano con presenza cristallina. In tali riti iniziatici, che collezionai grazie all’insonnia e alla vita al contrario, rinvenni anche miracolose guarigioni. Dormire nel tempio, infatti, consente di lenire ferite mortali. Tale la forza di Apollo.
La singola parola riacquista una preziosità che la volgarità del quotidiano più non riconosce. E una ricchezza dolcemente labirintica.
Qui non si legge, si ausculta.
L’uomo accende a sé stesso una luce nella notte, quando essa è spenta nei suoi occhi: vivo è a contatto col morto mentre dorme, desto è a contatto col dormiente”. Così Eraclito, citato negli Stromata di Clemente Alessandrino.
Cosa significhi tale frase è, forse, inessenziale. Il suo valore risiede proprio nell’imperscrutabilità. Un problema si risolve, l’enigma è inesauribile. È nella meditazione circolare e continua attorno a tale nodo inestricabile che si costituisce, per concrezione da deposito, il pensiero più profondo. Traduco: se l’uomo desto, apparentemente vivo, dorme quando non riconosce la Totalità, al pari di un morto, il dormiente, metafora della morte e dell’inconoscibilità, trattiene invece a sé un barlume di Sapienza.
La tenebra più cupa, quando lo sguardo è spento, è sempre rischiarata da una luce, pur flebile, e tutta personale.
La folla è madre dei tiranni” sentenzia altrove il filosofo cinico Diogene di Sinope. E ci si immagina questo greco del Ponto, ruvido e sarcastico, mentre fissa le vastità del Mar Nero; egli, che non volle niente, e rifiutò moneta e legge, s’incontrò con chi ambiva tutto, Alessandro Magno; destini contrapposti che si spensero nello stesso giorno, all’unisono, come a richiamarsi l’uno all’altro, perché dalla guerra nasce ogni cosa, e “ciò che si oppone converge, e la più bella delle trame si forma dai divergenti”.
E cos’è la vita se non questa trama impalpabile di cui tuttora non conosciamo tutti gli arabeschi?
Cosa avrebbe riservato il destino a Indi Gregory? Nessuno può davvero saperlo perché non tutti gli arabeschi della “più bella delle trame” ci sono noti. Tra Verità e giudizio umano cade l’Ombra. Solo la pietà potrebbe rischiararla, ma chi ha, oggi, pietà?

Nel film Nostalghia, un poeta in esilio, Andrej Gorčakov, arriva in Italia per scrivere la biografia del compositore Sosnovskij.
Si ferma a Tuscania, nella cripta di San Pietro, ov’è l’affresco della Vergine. “Madre di tutte le madri che conosce il dolore di essere madre, Madre di tutte le madri che conosce la gioia di essere madre“, recita una donna; il poeta, però, si ritrae.
Nella chiesa diruta di San Vittorino, sprofondata nelle acque, incontra una bambina. “Come ti chiami?“, le fa. “Angela!“, risponde. “Angela … brava … sei contenta?“. “Di che cosa?“, chiede Angela. “Della vita“, spiega il poeta. E la bambina: “Della vita sì“.

Infine accenderà una luce a sé stesso, una candela, in ricordo dell’amico. Recandola con sè, a proteggerla dal vento, cercherà di traversare faticosamente un’antica vasca, priva d’acqua. Una volta, due volte; infine la terza, vittoriosa: ora, solo ora, dopo la prova, potrà dirsi salvo.

Di Alceste

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