EDWARD CURTIN
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Il passato non è morto; è la gente che dorme. I nostri incubi odierni hanno origine da tutti quei delitti sepolti nel nostro passato e che sono arrivati fino ai giorni nostri. Nessuna finta amnesia potrà mai lavare la verità grondante di sangue della storia americana, quella grazia a buon mercato di cui ci ammantiamo. Ci hanno fatto vivere, come aveva detto Harol Pinter quando gli era stato conferito il Premio Nobel, in un “enorme tessuto di bugie,” tutte intorno a noi, bugie proferite per tantissimo tempo da leaders nichilisti e dai loro mezzi di comunicazione. Abbiamo, o dovremmo avere, la coscienza sporca perché non ci rendiamo conto di essere complici attivi o silenti nella soppressione della verità e nel feroce assassinio di milioni di persone, in patria e all’estero.
Ma, come aveva detto Pinter, “io credo che, nonostante le enormi difficoltà che potrebbero esserci, una inflessibile, salda, forte determinazione intellettuale, come cittadini, per stabilire ciò che è realmente vero nelle nostre vite e nelle nostre società è un obbligo fondamentale che riguarda tutti noi. E’ una cosa assolutamente vincolante.”
Nessuno è più rappresentativo di questo nobile sforzo di David Ray Griffin che, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, libro dopo libro, ha meticolosamente fatto luce sul lato oscuro dell’Impero Americano e sui suoi diabolici padroni. La sua costanza nel cercare di arrivare fino alla gente e metterla in guardia su tutti gli orrori che ne sono derivati è straordinaria. Non contando le sue pubblicazioni di filosofia e teologia, questo, dal 2004, è il suo quindicesimo libro imperniato sulle problematiche della vita e della morte e sul futuro del mondo.
In questo testo magistrale, porta avanti una convincente argomentazione storica, secondo cui, fin dagli inizi, con l’arrivo dei primi coloni europei, questa nazione, nonostante tutta la retorica che la vorrebbe fondata e guidata dal volere di Dio, è stata “più maligna che benigna, più demoniaca che divina.” Per provare la sua tesi, ci illustra la storia in modo cronologico, appoggiandosi ad una documentazione ineccepibile. Nel suo libro precedente, “Bush and Cheney: How They Ruined America and the World” [Bush e Cheney: come hanno rovinato l’America e il mondo intero], Griffin fa l’elenco di tutti gli infausti interventi che sono derivati dagli attacchi inside-job/false-flag [autoperpetrati] dell’11 settembre, mentre in questo, in pratica un antefatto, ci offre una lezione di storia americana andando indietro di qualche secolo e ci dimostra che sarebbe giusto chiamare gli Stati Uniti un “impero fondato sul false-flag.”
Gli attacchi dell’11 settembre 2001 sono stati l’apoteosi del false-flag, argomento su cui sono imperniati i suoi due libri. L’importanza [di questi attentati] non va assolutamente sottovalutata, perché hanno costituito la giustificazione della lunghissima campagna di assassini degli Stati Uniti, conosciuta come “la guerra al terrore,” che ha portato la morte a milioni di persone in tutto il mondo. Un assortimento internazionale di gente sacrificabile. Per quanto fossero terrificanti, e così dovevano essere, [questi attacchi] hanno tantissimi precedenti storici, anche se molti di essi sono ancora nascosti nell’ombra. Griffin li mette a giorno, con la parte preponderante della sua analisi che si concentra sul periodo 1850-2018.
Da studioso di filosofia e teologia, è perfettamente conscio di quanto importante sia per la società la legittimazione religiosa dell’autorità secolare, un modo per offrire alla propria popolazione un riparo contro il terrore e la miriade di paure della vita attraverso un mito protettivo, che è stato utilizzato con successo dagli Stati Uniti per terrorizzarne altre. Ci fa vedere come i termini secondo cui gli Stati Uniti si erano autolegittimati come “nazione prediletta da Dio” e gli Americani come “popolo prediletto da Dio” siano cambiati nel corso degli anni, man mano che avanzavano la secolarizzazione e il pluralismo. I nomi sono cambiati, ma non il significato. Dio è al nostro fianco e, quando le cose stanno così, gli avversari sono maledetti e possono essere uccisi dal popolo di Dio, che sta sempre combattendo contro el diablo.
Ce ne fa un esempio subito in apertura, con una citazione dal discorso del Primo Insediamento Presidenziale di George Washington, quando [il neo-presidente] parla di una “mano invisibile” e della “forza della Provvidenza” alla guida della nazione e termina poi con l’affermazione di Obama: “io credo nell’eccezionalismo americano con ogni fibra della mia persona.” Fra i due sentiamo Andrew Jackson dire che “la provvidenza ha fatto piovere su questa nazione favorita innumerevoli benedizioni” ed Henry Cabot Lodge definire nel 1900 la divina missione dell’America un “destino manifesto.” La religione americana dei nostri giorni è l’Eccezionalismo Americano, un eufemismo aggiornato degli ormai fuori moda “Nuova Israele di Dio” o “Nazione Redentrice.”
Al centro di tutta questa verbosità c’è la fissazione che gli Stati Uniti, nazione buona e benedetta, abbiano la divina missione di spargere “democrazia” e “libertà” in tutto il mondo, come aveva asserito Hillary Clinton durante la campagna presidenziale del 2016, quando aveva detto che “noi siamo grandi perché siamo buoni” e George W. Bush, quando nel 2004 aveva dichiarato che “come le generazioni che ci hanno preceduto, noi abbiamo una missione che ci arriva dall’alto dei cieli: lottare per la libertà.” Tutto questo ardore può solo suscitare delle risate sardoniche nelle innumerevoli vittime “liberate,” di tanto in tanto, dai violenti leaders americani, come documenta Griffin.
Dopo aver stabilito la pretesa condizione di santità dell’America, [Griffin] accompagna il lettore attraverso una rassegna di svariati pensatori che si sono espressi sulla cosiddetta benignità o malignità degli Stati Uniti. Questi sono tutti preliminari che ci portano al cuore vero e proprio del libro, una lezione di storia che documenta la malignità che sta alla radice della parabola americana.
“Si dice spesso che l’imperialismo americano è iniziato nel 1898, quando Cuba e le Filippine erano stati il bottino principale,” inizia [Griffin]. “L’unica novità dell’epoca, comunque, era solo il fatto che l’America assumeva il controllo di nazioni al di fuori del continente nord-americano.” Il “diritto divino” di impossessarsi delle nazioni altrui e di distruggerle era già iniziato da molto tempo e, anche se non erano stati valicati gli oceani alla maniera dell’imperialismo tradizionale, il genocidio dei Nativi Americani era iniziato ben prima del 1898. La stessa cosa era successa con il “destino manifesto” che aveva portato alla guerra con il Messico, alla conquista del suo territorio e all’espansione ad ovest, verso il Pacifico. Questo periodo di costruzione dell’impero era stato reso possibile in larga misura da quell’altro “grande crimine contro l’umanità” che era stata la tratta degli schiavi, durante la quale, secondo alcune stime, erano morti circa 10 milioni di Africani, per non parlare della perversa brutalità della stessa schiavitù. “Per quanto feroci fossero i metodi, gli Americani erano gli strumenti della giustizia divina,” scrive Griffin. E, correttamente aggiunge, non è neppure vero che le avventure imperialistiche d’oltremare dell’America fossero iniziate solo nel 1898, perché, cinquant’anni prima, il Commodoro Perry aveva costretto “gli altezzosi Giapponesi” ad aprire i loro porti al commercio americano con la diplomazia delle cannoniere.
Poi, nel 1898, l’espansionismo imperiale d’oltremare aveva accelerato in modo drammatico, con quella che è stata chiamata la “Guerra Ispano-Americana,” che ha avuto come risultato la conquista di Cuba, delle Filippine e l’annessione delle Hawaii. Secondo Griffin queste guerre potrebbero essere definite con più accuratezza come “le guerre per la conquista delle colonie spagnole.” La sua analisi della brutalità e dell’arroganza di queste campagne militari fa capire al lettore che My Lai e le altre nefandezze più recenti hanno un pedigree molto lungo, che fa parte di una struttura istituzionale e, mentre Filippini, Cubani e tanti altri venivano massacrati, Griffin scrive che “anticipando la dichiarazione del Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld secondo cui ‘ non non siamo un impero,’ il Presidente McKinley asseriva che l’imperialismo è ‘estraneo al temperamento e al genio di questo popolo libero e generoso.’”
Ora come allora, forse una sonora risata è l’unica risposta possibile a queste veraci stronzate, visto che poi Griffin si rifà a Mark Twain, quando quest’ultimo aveva detto che sarebbe stato facile creare una bandiera per le Filippine:
“Possiamo usare la nostra normale bandiera, con le strisce bianche colorate di nero. E, al posto delle stelle, il teschio con le tibie incrociate.”
Questo sarebbe andato bene anche per Colombia, Panama, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Haiti, Nicaragua e tutte le altre nazioni sottomesse secondo l’ideologia della Dottrina Monroe; dovunque la libertà e l’indipendenza nazionale sollevasse la sua brutta testa, gli Stati Uniti erano pronti ad intervenire con il loro poderoso esercito antirivoluzionario e il loro strapotere finaziario. In Estremo Oriente, per rapinare Cina, Giappone ed altre nazione si era usata la politica della “Porta Aperta.”
Ma tutto questo era stato solo l’inizio. Griffin ci fa vedere come Woodrow Wilson, il classico liberal-democratico infido e ambiguo, che diceva di voler tenere l’America fuori dalla Prima Guerra Mondiale, avesse fatto esattamente l’opposto, per far sì che gli Stati Uniti arrivassero a dominare i mercati esteri, così come gli chiedevano i suoi padroni capitalisti. Poi Griffin ci dimostra come Wilson avesse cospirato con Winston Churchill per utilizzare l’affondamento del Lusitania come casus belli e come le durissime condizioni imposte alla Germania in base al Trattato di Versailles avessero posto le premesse della Seconda Guerra Mondiale.
Ci dice come negli anni fra le due guerre mondiali fosse iniziata la demonizzazione della Russia e della neonata Unione Sovietica. Questa demonizzazione della Russia, che oggi procede a pieno regime, è il tema centrale di tutta “La Parabola Americana.” La sua importanza non può essere fraintesa. Wilson aveva chiamato il governo bolscevico “il governo del terrore” e, nel 1918, “aveva inviato migliaia di soldati nella Russia settentrionale ed orientale, facendoveli rimanere fino al 1920.”
Il fatto che gli Stati Uniti avessero invaso la Russia è una cosa di cui si parla di rado ed è anche poco conosciuta dagli stessi Americani. Probabilmente, una maggior consapevolezza di questo fatto e della secolare demonizzazione dell’URSS/Russia, farebbe capire come veramente stanno le cose a tutti quelli che credono all’odierna propaganda antirussa chiamata “Russiagate.”
Per controbilanciare quel “divino” gesto di intervento imperiale all’estero, Wilson aveva creato in patria lo “Spauracchio Rosso,” che, secondo Griffin, ha avuto un’importanza determinante nel creare la paura, tipicamente americana, delle idee radicali e dei moti rivoluzionari che esiste tutt’ora e che serve come giustificativo al sostegno accordato ai più brutali dittatori di tutto il mondo e alla repressione della libertà in patria (una cosa che sta accadendo sotto i nostri occhi).
[Griffin] fa poi un breve sommario di alcuni dei dittatori che hanno avuto l’appoggio degli Stati Uniti, e ci ricorda una famosa frase pronunciata da quell’altro liberal democratico, Franklin Roosevelt che, parlando del feroce dittatore nicaraguense Anastasio Somoza, aveva detto che “potrà anche essere un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana.” E così Somoza avrebbe terrorizzato la sua stessa gente per 43 anni. La stessa cosa era successa a Cuba, in Cile, in Iran, in Guatemala, nella Repubblica Dominicana, ad Haiti, ecc. Gli Stati Uniti avevano anche appoggiato Mussolini, non avevano fatto nulla per impedire che i fascisti di Franco rovesciassero la Repubblica Spagnola e avevano sostenuto il governo di destra di Chiang-Kai Shek nel suo tentativo di dominare la Cina.
E’ una storia buia e triste, che conferma la natura demoniaca delle gesta americane in tutto il mondo.
Poi, Griffin smonta le tante leggende riguardanti la cosiddetta “guerra buona,” la Seconda Guerra Mondiale. Ci spiega le bugie sull’attacco “a sorpresa” giapponese di Pearl Harbor, di come Roosevelt volesse trascinare gli Stati Uniti in guerra, sia nel Pacifico che in Europa, e come, dietro a tutto ciò, ci fossero, per l’America, notevoli interessi economici. Critica il mito secondo cui la volontà dell’America sarebbe stata quella di difendere altruisticamente i popoli amanti della libertà nella loro lotta contro i brutali regimi fascisti. Questa, ci dice, è solo una piccola parte della storia.
“Questo, però, non è un quadro accurato della politica americana durante la Seconda Guerra Mondiale. E’ vero che molte popolazioni sono state liberate da terribili tirannie grazie alle vittorie degli Alleati. Ma, che queste popolazioni ne abbiano beneficiato è stato un fatto incidentale, non un risultato voluto dalla politica americana. Quest’ultima, come ha scoperto Andrew Bacevich, era basata su un ‘irriducibile egoismo.’”
Poi ci sono i bombardamenti convenzionali e quelli atomici di Hiroshima e Nagasaki. Niente avrebbe potuto essere più demoniaco, come dimostra Griffin. Se questi massacri a sangue freddo di civili e tutte le bugie dette per giustificarli non riescono a convincere il lettore sul fatto che, da molto tempo, c’è qualcosa di veramente diabolico alla radice della storia americana, allora niente potrà farlo. Griffin ci fa vedere come Truman, i suoi consiglieri e i suoi generali di grado più alto, compresi Dwight Eisenhower e l’Ammiraglio William D. Leahy, Capo di Stato Maggiore di Truman, sapessero che lo sgancio delle bombe atomiche non servisse affatto a por fine alla guerra, ma come lo avessero ugualmente fatto.
Ci ricorda la risposta del Segretario di Stato di Clinton, Madeleine Albright, alla domanda se ritenesse che ne fosse valsa la pena far morire più di 500.000 bambini iracheni a causa delle davastanti sanzioni economiche imposte da Clinton: “Ma, certo, pensiamo che il prezzo sia giustificato.” Ma questa è la donna che aveva anche detto: “noi siamo la nazione indispensabile. Noi ci ergiamo dritti…”
Griffin dedica diversi capitoli, fra i tanti argomenti, alla nascita della Guerra Fredda, all’imperialismo americano durante la Guerra Fredda e agli interventi ad essa successivi, alla guerra del Vietnam, alla spinta per la dominanza globale e alle operazioni false-flag.
Per quanto riguarda le operazioni false-flag dice: “indubbiamente, la parabola dell’Impero Americano ha sempre fatto così tanto affidamento su questo tipo di attacco che potrebbe essere chiamato l’impero del false-flag.” Nel capitolo dedicato ai false-flag e, praticamente, in tutto il libro, analizza molte delle operazioni di questo tipo messe in atto dagli Stati Uniti, compresa l’Operazione Gladio, gli attentati terroristici USA/NATO in tutta Europa, documentati esaurientemente dallo storico svizzero Daniele Ganser, un‘operazione che aveva lo scopo di discreditare i comunisti e i socialisti. Le operazioni di questo genere erano gestite direttamente dall’OSS, dalla CIA e dal suo direttore, Allen Dulles, insieme al suo braccio destro, James Jesus Angleton, e dai loro complici nazisti, come il Generale Reinhard Gehlen. In uno di questi attentati, nel 1980, alla stazione ferroviaria di Bologna, Italia, questi terroristi americani avevano ucciso 85 persone e ne avevano ferite altre 20. Per quanto riguarda poi le bombe sganciate oggi dall’Arabia Saudita sugli scolari yemeniti, l’esplosivo utilizzato è stato prodotto per conto dell’esercito degli Stati Uniti. Su questi crimini documentati degli Stati Uniti, Griffin dice:
“Questi fatti mostrano la falsità di un presupposto molto popolare fra gli Americani. Anche se ammettono che il loro esercito a volte fa cose terribili ai propri nemici, la maggior parte degli Americani ritiene che le massime autorità militari statunitensi non ordinerebbero mai l’uccisione, per scopi politici, di civili innocenti in paesi alleati. L’Operazione Gladio ha dimostato che questo presupposto è falso.”
[Griffin] ha ragione, ma aggiungerei che dietro tutto questo c’erano anche leaders civili, in misura uguale o anche maggiore dei militari.
Nel caso dell’”Operazione Northwoods” erano gli Stati Maggiori Riuniti che avevano proposto al Presidente Kennedy questa false-flag, che avrebbe fornito agli Stati Uniti la giustificazione per l’invasione di Cuba. [Questa operazione] avrebbe comportato l’uccisione di cittadini americani sul territorio americano, bombardamenti, dirottamenti aerei, ecc. Il Presidente Kennedy aveva ritenuto quelle persone, e il loro piano, assolutamente folli e, in quanto tale, lo aveva rifiutato. Il suo comportamento ci dice molto di lui, dal momento che tanti altri presidenti lo avrebbero approvato. E, ancora una volta, quanti Americani sono al corrente di questa depravata proposta, che è ben documentata e facilmente rintracciabile? Quanti non vogliono neanche saperlo? Il bisogno di negare i fatti storici e il credere nell’innata bontà dei governanti americani sono pregiudizi molto difficili da rimuovere. Griffin, dopo l’11 settembre 2001, ha scritto una dozzina libri proprio a questo scopo.
Se però ci fosse qualcuno intenzionato a recepire la lezione della storia, questo eccellente libro gli farà vedere con chiarezza la ben consolidata natura demoniaca delle azioni dei governanti americani. Il lettore non può rimanere insensibile davanti a questa lucida presentazione storica, a meno che non viva in un suo mondo fantastico. I fatti sono chiari e Griffin li espone in tutto il loro esplicito orrore. E questo non vuol dire che gli Stati Uniti non abbiano “fatto cose buone e cose brutte, in modo che, ragionevolmente, non si possano definire completamente divine o completamente demoniache.” Le domande sulla purezza servono solo a nascondere le verità fondamentali. E il quesito che [Griffin] pone nel suo sottotitolo – Divina o Demoniaca? – è, in realtà, una domanda retorica; quando si parla della “parabola” della storia americana il demoniaco vince a mani basse.
Sarei negligente se mancassi di evidenziare un punto in cui Griffin tradisce il lettore. Nel suo lungo capitolo sul Vietnam, ricco di fatti interessanti e di analisi, fa un errore importante, cosa insolita per lui. L’errore è in un capitolo di quattro pagine che riguarda la politica del Presidente Kennedy sul Vietnam. In quelle pagine, Griffin fa riferimento all’orribile libro di Noam Chomsky, “Rethinking Camelot: JFK, the Vietnam War, and US Political Culture” (1993) [Ripensando Camelot: JFK, la guerra del Vietnam e la cultura politica degli USA (1993)], un libro in cui Chomsky, senza fatti o prove evidenti, ci dipinge Kennedy in perfetto accordo con i suoi consiglieri, la CIA e i militari sulla questione del Vietnam. Questo è oggettivamente falso. Griffin avrebbe dovuto stare più attento e rendersene conto. La verità è che Kennedy era circondato e assediato da queste demoniache persone, che facevano di tutto per isolarlo, ignoravano le sue istruzioni, arrivando fino al suo assassinio, per perseguire loro obbiettivi sul Vietnam. Nel suo ultimo anno di vita, JFK aveva fatto una svolta radicale in direzione della pace, non solo in Vietnam, ma anche, a livello mondiale, con l’Unione Sovietica e Cuba. Un simile cambio di rotta era un anatema per i guerrafondai. Per questo doveva morire. A differenza delle falsità di Chomsky, che era motivato dal suo odio per Kennedy e forse da qualcosa di più sinistro (dice di essere d’accordo con i risultati della Commissione Warren, pensa che l’assassinio di JFK non sia stato niente di importante e accetta la palesemente falsa versione ufficiale sugli attacchi dell’11 settembree 2001), Griffin avrebbe dovuto affermare con risolutezza che Kennedy, l’11 ottobre 1963, aveva emanato il NSAM 263 [National Security Action Memorandum 263], che ordinava il ritiro delle truppe americane dal Vietnam e che, un mese dopo il suo assassinio, Lyndon Johnson aveva annullato l’atto con il nuovo NSAM 273. Nonostante quello che dice Chomsky, ricerche minuziose e fatti documentati lo provano. E per quanto riguarda Griffin, che un valente studioso come lui scriva, riguardo al passaggio da Kennedy a Johnson, che “questo cambio di presidenti non avrebbe portato cambiamenti significativi in politica” è una cosa così smaccatamente lontana dalla verità, da farmi pensare che Griffin, un uomo dedito alla verità, qui abbia fatto un passo falso e sia stato semplicemente negligente. Nulla, infatti, potrebbe essere più lontano dalla verità.
E’ una vera e propria ironia che Griffin, mentre dimostra in modo magistrale la bontà della sua tesi, dimentichi l’uomo più importante, il Presidente John Kennedy, che aveva sacrificato la propria vita nel tentativo di far uscire la storia americana dal suo percorso demoniaco.
E’ un errore solo in un libro peraltro eccellente ed importantissimo, che dovrebbe assolutamente assere letto da chiunque dubiti della costante natura diabolica della politica estera del nostro paese. Anche chi ne è già convinto dovrebbe leggerlo, perché fornisce i necessari riferimenti storici e la forza necessaria per provare a cambiare quella traiettoria che, se dovesse continuare, porterà il mondo alla catastrofe nucleare.
Se (desiderio fantastico!) “La parabola americana: divina o demoniaca?” fosse una lettura obbligatoria nelle scuole e nelle università americane, forse potrebbe nascere una nuova generazione, in grado di trasformare in angeli i nostri demoni e di spingere il futuro universo morale dell’America verso la giustizia, facendole perdere quel ruolo di maggior dispensatrice mondiale di violenza che oggi le appartiene, e che è suo da così tanto tempo.
Edward Curtin
Fonte: edwardcurtin.com
Link: http://edwardcurtin.com/a-diabolic-false-flag-empire-a-review-of-david-ray-griffins-the-american-trajectory-divine-or-demonic/
04.09.2018
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org