Supermercati digitali

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Nestor Halak per Comedonchisciotte.org

Molti telegiornali hanno recentemente presentato una “sconvolgente” novità negli sforzi tesi a modernizzare la nostra società per raggiungere gli standard delle nazioni più “avanzate” (naturalmente gli Stati Uniti), e migliorare conseguentemente la vita della popolazione: finalmente (!?) anche in Italia, ai margini della grande pianura ipermercata, è stato inaugurato un supermercato senza più casse nel quale il pagamento può essere comodamente effettuato esclusivamente tramite i dispositivi elettronici di sorveglianza e controllo che tutti noi ci portiamo felicemente appresso in ogni circostanza della nostra vita e chiamiamo eufemisticamente “telefonini”.

Nonostante la grande enfasi che caratterizzava il “servizio” del “giornalista” di turno, l’unico reale vantaggio del nuovo metodo di pagamento che il propagandista è stato capace di evidenziare  era “l’eliminazione delle file alla cassa”. Be, sì, certo, non c’era più la cassa.

Sembra chiaro che lo stesso fine avrebbe potuto essere raggiunto molto più semplicemente aggiungendo qualche cassa in più, ma evidentemente le casse costano e soprattutto costano i cassieri. A ben guardare, quindi, lo scopo dell’operazione non è tanto la sbandierata eliminazione delle code, ma piuttosto l’eliminazione dei cassieri con conseguente aumento dei profitti del supermercato.

Posta in questi termini, però, la faccenda risulta molto meno appetibile al grande pubblico, specie in una contingenza sociale nella quale la disoccupazione, la sotto occupazione, la precarietà del lavoro e l’insufficienza degli stipendi al mantenimento di un dignitoso standard di vita sono problemi da decenni costantemente crescenti, la propaganda preferisce pertanto focalizzarsi su qualche raro aspetto pratico positivo.

Naturalmente questa tendenza all’eliminazione del personale, non è limitata ai supermercati, ma si evidenzia in ogni settore dell’industria e dei servizi, anche le banche, ad esempio, tendono a eliminare sempre di più gli operatori al pubblico facendo eseguire direttamente ai clienti il lavoro prima loro riservato con evidente risparmio sui costi che vengono in tal modo accollati all’utenza; anche la pubblica amministrazione si “informatizza”, riducendo sempre più sportelli e operatori umani in favore di procedure automatizzate da far eseguire e gravare sostanzialmente sul pubblico. Se non funzionano, tanto peggio per loro: si può sempre dire che non sono “al passo coi tempi”.

E’ facile peraltro vedere che molto spesso il preteso “guadagno” di velocità per l’utente è tutt’altro che scontato: dopo l’informatizzazione della procedura, ottenere un passaporto è diventato un problema serio e i tempi, lungi dal diminuire, sono diventati biblici, tanto da far sospettare che il vero fine non sia tanto quello di snellire le procedure, ma quello di rendere più difficile l’acquisizione del documento senza ricorrere a impresentabili misure giuridiche.

Molte aziende sono diventate di fatto non contattabili: loro hanno il tuo numero e lo usano con larghezza al fine di venderti ciarpame, puoi star certo che se non fosse a loro vantaggio non chiamerebbero. Se ci provi tu, riesci solo a parlare con un computer che ti fa fare una procedura lunga, complicata ed inutile e poi ti prende pure per i fondelli chiedendoti una valutazione della “soluzione” proposta.

Questa tendenza generale all’abolizione dei posti di lavoro umano per sostituirli con procedure automatizzate che, come abbiamo visto scaricano i costi, il lavoro e l’acquisizione delle necessarie competenze per operare sull’utente finale aumentando il profitto dei fornitori, è per il momento parziale, ma potrebbe essere portato decisamente più avanti, fino a fare dei mezzi lo scopo. Se il fornitore umano del servizio diventa inutile, perché mai non potrebbe diventare inutile anche il fruitore del servizio stesso? Si potrebbe paradossalmente arguire che l’economia potrebbe funzionare meglio automatizzando anche l’utenza ed eliminando così tutti quei noiosi problemi del vecchietto che sbaglia il tasto da premere o si rivolge al sottosistema sbagliato.

Nel caso del supermercato, se fosse il “telefonino” stesso a scegliere gli articoli da acquistare e, magari, anche a consumarli, non si sarebbe forse raggiunta la perfezione? Sembra paradossale, ma in fondo è questa la tendenza del sistema, quella di rendere sempre più inutili e sostituibili larghe fasce della popolazione che non servono più né come produttori, né perfino come consumatori e vengono sempre più messe ai margini della società, un po’ come i palestinesi a Gaza: sono lì, ma la loro presenza fisica non è evidentemente gradita, dovrebbero trovare il modo di sparire, possibilmente di loro iniziativa e con discrezione per non recare disturbo alla superiore sensibilità altrui e comportare costi di smaltimento irrecuperabili che, tra l’altro, sono anche ecologicamente insostenibili, non inclusivi e dannosi per “ il pianeta”.

Ora è tutta una questione di capire bene quali sono gli obbiettivi e cosa si vuole ottenere: se lo scopo è il buon funzionamento del sistema economico in sé, l’attuale tendenza ha un senso, il problema è che il sistema economico in sé non ha alcun motivo di esistere se non è al servizio della società, in altre parole non può essere un fine, ma solo un mezzo per servire in ultima analisi la vita umana, dato che è l’umanità che li ha creati. Qui sta l’inganno fondamentale, il tentativo da parte di esigue oligarchie di far percepire la popolazione come un ostacolo al buon funzionamento di un sistema che, almeno ufficialmente, dovrebbe esistere per servirla. Insomma la propaganda tende a far apparire la gente obsoleta o di troppo davanti ai suoi stessi occhi. Compito in apparenza piuttosto difficile, ma a tale scopo si sgolano i fanatici dell’elettronica e dell’ecologia. In ultima analisi cosa ce ne importa che l’economia di carta giri alla perfezione per la gioia di Wall Street e l’ecologia fiorisca per la “salvezza del pianeta”, se, come dice la canzone, noi non ci saremo? Se è prevaricante ricercare la nostra salvezza come specie, quale immensa arroganza potrebbe farci pensare di poter “salvare il pianeta”, insignificante puntolino nell’immensità del tutto, se non in relazione a nostra esistenza?

La Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica è “fondata sul lavoro”, cioè la produzione della ricchezza nazionale e la sua distribuzione hanno come criterio fondamentale la quantità e qualità del lavoro fornito da ciascun componente, ciò implica che diminuire i posti di lavoro esistenti senza fornire una valida alternativa è impedire di fatto al cittadino di far parte di una società e va in direzione contraria alla legge fondamentale. Questo non significa che non siano auspicabili e benvenute tutte quelle tecnologie che migliorano, risparmiano e facilitano il lavoro, ma non si vede alcun motivo legittimo per il quale il vantaggio tecnologico debba andare a favore del solo profitto di pochissimi individui nascosti nei consigli di amministrazione.

In altre parole se il cassiere, attraverso ausili tecnologici, raddoppia la propria efficienza, la soluzione è che lavori la metà, non che il guadagno che ne deriva si trasformi in profitto per la multinazionale che gestisce il supermercato.

D’altra parte capisco che tutto ciò non è scritto sulle stelle (ma sulla costituzione sì): non è necessario che la società debba per forza essere basata sul lavoro, potrebbe infatti basarsi ad esempio sulla gerarchia, come è avvenuto spesso in passato (il feudalesimo, per dire), ma in questo caso occorre ripensare completamente tutto il tema della redistribuzione della ricchezza nazionale in base a criteri equi, ma diversi dal lavoro (uno, ad esempio, è il reddito di cittadinanza), fatto sta che tutto questo deve essere discusso in parlamento, esplicitato in un progetto sociale presentato come tale, non semplicemente fatto passare sottotraccia dai propagandisti di regime che lo gabellano come progresso e modernità ineluttabili-

Ma quant’è figo pagare al supermercato col telefonino? Di sicuro lo fanno anche i Maneskin, eccellenza italiana all’estero! Chissà perché in questo caso l’”italianità” esiste, conta e diventa un valore positivo al contrario di quando si parla di immigrazione di massa.

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