Sulla filosofia delle università e sulle università in generale

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DI ANDREA GRIECO

Comedonchisciotte

“Sulla filosofia delle università” è un phamphlet che Schopenhauer pubblicò nel lontano 1851, inserito all’interno del Vol. I dei Parerga e paralipomena. Questo scritto si ammira oggi più che mai per la precisione del suo sarcasmo.

Scrive Schopenhauer: “Tutto lo scandalo filosofico di questi ultimi 50 anni è stato possibile soltanto grazie alle università, con il loro pubblico di studenti creduloni, che accettano tutto quanto piace dire al signor professore. Se non si trattasse d’altro che di favorire la filosofia e di avanzare sulla strada della verità, io raccomanderei come cosa migliore di porre un termine alla ciarlataneria che viene esercitata in questo campo nelle università. Queste, infatti, non sono davvero il luogo adatto per una filosofia seriamente e onestamente intesa, il cui posto è preso sin troppo spesso colà da una marionetta azzimata, rivestita dei suoi abiti, che si mette in moto e gesticola come un nervis alienis mobile lignum (marionetta di legno mossa da altri)”.

Questo concetto non si sarebbe potuto esprimere con parole migliori. Se allora la situazione era drammatica, oggi è catastrofica. Oggigiorno il pensare non esiste, è stato sostituito dal credo e, come scrive giustamente Sgalambro, “tutto il lavoro della filosofia universitaria ha quest’unico scopo: moltiplicare vertiginosamente la verità affinché non si individui mai la verità tra le tante”.

Chi può seriamente credere che nelle università si faccia filosofia e che quelli usciti da codeste accademie, con tanto di laurea, possano fregiarsi del titolo di filosofi? Oggi si dà spazio alle tronfie vacuità dei Severini, dei Ferraris, dei Galimberti, dei Cacciari, dei Fusari, dei Vattimi, dei Sini. Si considerano filosofi addirittura sionisti come Saviano: e se ne possono aggiungere altri se me ne sono dimenticato qualcuno. Per essere giusti, comunque, c’è da dire che alcuni di costoro vanno ascoltati non come filosofi, ma come esperti di psicoanalisi (nel caso di Galimberti), oppure di fenomenologia (nel caso di Sini), o come analisti di economia politica (nel caso di Fusaro). Ma quando si pensa che molta gente resta affascinata da studiosi come Biglino, che scrive stupidaggini da decenni, non si può non indignarsi.

Oggi è più che mai evidente che le università non sono sedi di cultura, ma luoghi di baroni e di massoni, di indottrinamento e di credi: ciò vale per tutte le facoltà, nessuna esclusa. L’università è, da tempi immemorabili, il luogo della mediocrità, il sito dove si diffondono credi piuttosto che sapienza. Questo vale per le facoltà umanistiche, per quelle scientifiche (escludendo quelle più tecniche) e per altre. Le conseguenze sono che abbiamo fisici che non comprendono cos’è la fisica (ma accelerano solo particelle al CERN); medici che non capiscono cos’è la medicina; avvocati che non comprendono cos’è una legge; giudici che non sanno cos’è la giustizia; economisti che non sanno l’abc dell’economia; politici che non fanno politica perché non hanno la più pallida idea di cosa sia la scienza politica e via di questo passo. Per la filosofia, poi, il discorso è drammatico: basti leggere le puttanate ben pagate e ben pubblicizzate che scrivono da decenni tutta quella bella compagnia dei filosofi accademici.

Bisogna difendere a spada tratta l’autodidattica, e, se proprio vogliamo mantenere l’università, questa va riformata radicalmente. Ma in una situazione del genere è un’utopia. Bisogna battersi affinché si dia spazio agli artisti di strada, ai bohémien, agli scrittori sconosciuti (non di successo), ai letterati da soffitta, ai poeti squattrinati e a tutta quella schiera di nobili spiriti che non cercano né fama né carriera, ma solo di esprimere il loro talento o il loro genio: ciò che l’università non insegna né tanto meno stimola a fare, anzi, al contrario, inibisce nella maniera più feroce e spietata. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Va detto a chiare lettere che l’università e le accademie in genere rappresentano la fabbrica del “giusto classismo”, giacché non producono conoscenze reali in grado di poter essere condivise pubblicamente e liberamente, bensì sfornano quella sapienza fatta ad uso e consumo di un potere che ruota non più intorno a pochi uomini, come erroneamente si crede, ma ad un sistema del quale tutti siamo vittime, ricchi e poveri. Le università sono gli strumenti di un sistema che le utilizza per diffondere ad arte una [pseudo]sapienza adatta unicamente a tenere in piedi ordini e gerarchie precostituite: dunque in quelle sedi non si fa cultura, ma si mantengono a galla idee come collanti per tenere insieme le forze degli uomini. È noto, infatti, che le idee sono fattori potentissimi, in grado di far muovere gli uomini e addirittura di scatenare rivoluzioni: perciò bisogna mantenerne il controllo per indirizzarle dove si vuole alla bisogna. La cultura, così come l’arte, dovrebbe essere libera e usufruibile da chiunque ne senta l’esigenza. Le lezioni dovrebbero essere pubbliche, gratuite, fatte nelle piazze; e il voto dovrebbe essere una crescita personale, non un confronto di valore con gli altri; i libri dovrebbero essere senza copyright, etc..

Ora il problema che la vera cultura si pone nei confronti di una collettività è questo: può esistere una società con un ordine di valori fondato sulla verità e senza dei gruppi che lottano tra loro per il dominio? Si può dar vita cioè ad una società senza gerarchie, senza “illustri signori”, “nobili” e “reali”, e senza uomini che strumentalizzano la cultura ai fini del potere? Può esistere una cultura libera e fine a se stessa, o meglio finalizzata ad una crescita spirituale dell’uomo, quale suo unico e autentico obiettivo?

Oggigiorno siamo nella condizione nella quale il cancro della politica partitocratica e dell’inciviltà corporativistica clientelare ha devastato ogni istituzione, dalla magistratura al parlamento, dalla sanità alla scuola e, in particolare, le università.

Ora le università sono strumenti del potere, ambienti che appartengono al potere; e il potere si regge su tre elementi fondamentali: la frode, la menzogna e la paura. Per raggiungere i suoi scopi il potere deve avere innanzitutto il controllo delle masse: e ciò lo può ottenere al massimo grado con il controllo della mente, quindi con l’addestramento e l’indottrinamento culturale. Questo spiega la drammatica situazione di degrado delle università.

Nelle università esistono due grandi gruppi egemonici che per anni hanno dominato: l’area cattolica (Comunione e Liberazione, Opus Dei) e la cosiddetta intellighenzia di sinistra.

Molti altri soggetti sono legati alla tradizione dei baroni neri di estrema destra e alla massoneria (Rosacroce, Gran Loggia Nazionale, Zamboni-de Rolandis, Grande Oriente d’Italia).

Circa la metà dei rettori risulta iscritta alla massoneria.

I privilegi, le prepotenze, gli abusi, i nepotismi, le corruzioni sono il pane quotidiano delle università. Il sistema, come tutti gli altri, è basato sull’obbedienza e non sul merito. Esistono delle vere e proprie gerarchie per ogni disciplina: chi occupa il vertice comanda su tutti. Sono pochi i veri docenti e i veri ricercatori, mentre ci sono moltissimi servi e padroni.

Questo malcostume, pur essendo oggetto di generale indignazione di facciata, è ben accetto: l’importante è non fare i nomi dei protettori politici.

Grazie alla politica ci sono stipendi d’oro assegnati con un criterio gerontocratico: con qualche anno di anzianità si finisce per guadagnare più del 90 per cento dei professori americani. Inoltre, si può arrotondare molto bene con le consulenze (c’è anche il business dei libri di testo e delle università telematiche pubbliche e private).

Gli atenei stanno prendendo il posto che avevano fino a pochi anni fa gli ospedali: ogni centro ne vuole uno a portata di mano. E per favorire il clientelismo, i corsi di laurea si sono inflazionati.

Dunque gli studenti, i dottorandi, i ricercatori devono sottostare a questa forma di “Mafia d’élite”, magari dopo una vita di studio, esperienze all’estero e pubblicazioni in riviste autorevoli. A volte la loro rabbia ricerca una valvola di sfogo nei blog e nei siti internet per difendere l’università pubblica, la meritocrazia e la giustizia. Ma anche un preside di facoltà è costretto ad ammettere che non ha mai conosciuto nessuno che sia diventato professore solo in base ai propri meriti.

È così che si addomesticano i giovani, li si educa alla sottomissione, gli si spegne lo spirito critico e gli viene distrutta ogni facoltà di pensiero libero e autonomo, in grado di condurre a qualcosa di superiore.

Non ci sorprendiamo quindi, e non ci spaventiamo se ciò che viene sfornato dalle università è solo marciume; se i filosofi sono ignoranti e fideistici (la prova più palpabile la si può avere, in Italia, con i cultori del pensiero di Severino, una sorta di setta composta di perdigiorno, stralunati e inconcludenti, veri fenomeni da baraccone che credono seriamente e con aria di assennatezza di ragionare di filosofia con la retorica del maestro; e sono talmente indottrinati di bolle d’aria che nemmeno se ne rendono conto, né capiscono la colossale presa per il culo di tutta la pagliacciata severiniana. Di Severino me ne sono occupato in dettaglio in diversi video. La cosa sconcertante, ma anche grottesca e tragicomica, è che chi lo critica o chi non è d’accordo con il suo pensiero, si muove sempre sul suo terreno, accettandone la retorica di base e tentando di farlo con le stesse logiche o pseudologiche: e con ciò dimostra di essere peggio di colui che vuole criticare, di appartenere alla stessa scuola, oltre che l’ottundimento intellettuale). Ma non esiste solo il marciume dei filosofi, esiste anche quello dei medici la cui specialità non è di curare, ma di prescrivere farmaci, ossia veleni; quello degli avvocati, che non sanno interpretare le leggi; dei giudici che non sanno giudicare; dei magistrati che non riescono ad amministrare la giustizia; degli scienziati che sono ottusi; dei politici che sono dei buffoni; degli economisti che sono dei pagliacci… e chi più ne ha più ne metta.

E noi dovremmo affidarci a questa società?

No signori miei, noi non ci affidiamo a questa società, noi usciamo da questa società e andiamo altrove a cercare le competenze; tanto più che gli uomini di talento soffrono ogni istituzione e ogni forma di imposizione. I geni, poi, non hanno nulla a che spartire con le università: del signor professore di turno il genio diffida e non sa che farsene. Il genio vive in luoghi appartati, solitari, in luoghi di mare, nei boschi o sulle cime di alta montagna.

Andrea Grieco

Ottobre 2020

Fonte: comedonchisciotte.org

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