“State ora entrando nel settore americano” (la Siria sarà suddivisa?)

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DI ISRAEL SHAMIR

unz.com

La Russia, nonostante le terribili previsioni, ha evitato il pantano siriano. Putin ha minimizzato la sua impronta, la sua guerra è quasi finita, l’ISIL è stato sconfitto. Trump potrebbe anche esclamare “missione compiuta!” – e volare a casa. Ma sembra che sia ansioso di precipitarsi dove gli angeli temono di camminare. Non teme di fare per il primo ministro israeliano ciò che i suoi predecessori, democratici o repubblicani, hanno rifiutato di fare, vale a dire combattere la guerra di Israele, prolungando indefinitamente l’occupazione ostile ed illegale della Siria.

Dovrebbe aver ormai imparato che la politica estera non è il suo forte. I suoi avversari liberali a casa neutralizzano efficacemente ogni mossa che fa. Peggio ancora, i suoi passi sono controproducenti. Avrebbe ottenuto di più se avesse dimenticato il mondo e lasciato che il mondo si dimenticasse di lui.

Prendiamo ad esempio le proteste iraniane. Sembravano così pericolose per il regime, con le folle che chiedevano la risurrezione del defunto Shah ed il ritiro dalla Siria. Avrebbero potuto diventare pericolose, ma si sono dissipate grazie al suo puntuale intervento. Aveva prontamente espresso sostegno ai manifestanti.

Persino i segmenti più filo-americani del corpo politico europeo hanno ormai imparato che il vero establishment americano non è mai d’accordo con il vero presidente. Si è dunque rifiutato di entrare nella retorica dei diritti umani e della condanna all’Iran. Potremmo tranquillamente rallegrare l’odiosa Nikki Haley, che aveva infastidito così tanto la comunità internazionale durante il voto su Gerusalemme che il suo tentativo di chiamare alle armi il Consiglio di Sicurezza è fallito miseramente.

Russi e turchi hanno preso lo spunto di Trump ed hanno denunciato l’intervento americano, mentre gli europei se ne sono tenuti ben lontani. I manifestanti iraniani hanno capito chi avrebbe gradito ulteriori tumulti e sono tornati a casa, per negare a Trump questo piacere. Un ottimo risultato per i russi, che, senza le truppe di terra iraniane, avrebbero potuto trovarsi in gravi difficoltà in Siria.

In Palestina, il costante genio di Trump ha raggiunto l’impresa quasi impossibile di costringere la leadership palestinese a ritirarsi dagli accordi di Oslo. Questi miserabili accordi, benedetti da Stati Uniti e UE, e condannati dal compianto Edward Said, erano stati la base della perpetuazione dell’apartheid in Israele/Palestina. Finché erano in funzione, non ci si poteva aspettare un grande cambiamento; erano la Cupola di Ferro della politica israeliana. Ora sono stracciati, e nuove regole saranno stabilite, presumibilmente con la partecipazione della Russia.

Lo stallo Nord Corea – USA sembrava pericoloso e la guerra nucleare imminente. Ma l’ovvia insanità di The Donald ha restituito i sensi all’anima tormentata del presidente sudcoreano Moon. Ha capito che probabilmente sarebbe diventato il presidente di una Seul incenerita, ed ha chiamato la sua controparte nordcoreana per una chiacchierata amichevole. I due leader coreani si sono scambiati virtuali sigari ed hanno accettato di fornire una squadra comune ai Giochi Olimpici, con grande disappunto del guerrafondaio Trump. Questa svolta ha stimolto sia russi che cinesi, così tanto che si sono rifiutati di visitare il raduno di Vancouver; senza di loro, l’incontro ha avuto poco o zero significato.

In Siria, i russi sono passati sotto l’attacco dei droni, coinciso con l’offensiva dell’esercito governativo nella provincia di Idlib, guidata dai ribelli. Anche i droni venivano da Idlib, dove si sta giocando l’ultimo atto della guerra civile. La Turchia avrebbe dovuto mantenere la pace in quella zona, per questo si è arrabbiata per l’attacco. I turchi hanno detto che negoziati di pace con i ribelli sono l’unico modo per ristabilire l’ordine; cosa che si confa ai russi, che di solito preferiscono negoziare piuttosto che combattere. Ma Damasco non crede nei negoziati con gli islamisti radicali; questi, nuova reincarnazione di al-Qaeda, fanno richieste impossibili, come “Assad se ne deve andare”, ed usano il tempo di negoziazione per trincerarsi. Un confronto su Idlib tra i turchi ed i “loro” ribelli da un lato, e i russi ed i “loro” siriani dall’altro, era incombente e minaccioso.

Le cose sarebbero potute diventare scomode per i russi, ma anche qui gli Stati Uniti hanno aiutato, dichiarando che stavano armando ed addestrando un nuovo esercito ribelle nel Kurdistan siriano. Niente spinge velocemente i turchi all’azione come una mossa curda. Proprio di recente sono riusciti a sventare il tentativo di Barzani di creare un Kurdistan indipendente in Iraq; ed ora il Kurdistan versione due, questa volta in Siria. Erdogan ha promesso che affogherà il nuovo esercito curdo, a guida americana, in un bagno di sangue, ed ha iniziato a radunare truppe al confine con Afrin, la più piccola enclave curda. Persino lui, ricucendo i rapporti con Putin, non è stato così imprudente da affrontare contemporaneamente sia Russia che Stati Uniti. L’Attacco dei Droni è stato riassegnato, dai ribelli supportati dalla Turchia a quelli supportati dagli Stati Uniti; un aereo di pattuglia Poseidon della marina statunitense P-8A era infatti stato nell’aria in quella zona al momento indicato. Così è stato evitato il grande pericolo della lite tra Russia e Turchia, mentre l’inimicizia tra Stati Uniti e Turchia è rapidamente aumentata.

Questo sarebbe un ottimo momento per gli americani per tornare tranquillamente a casa. La Turchia è molto più importante per gli Stati Uniti di quanto la Siria possa mai essere; per Israele vale il contrario. Questo è stato il momento della scelta per Trump: cosa gli sta più a cuore, il proprio paese o Israele? La risposta è stata data nel discorso di Rex Tillerson presso l’Hoover Institution.

Se fino ad ora, la posizione ufficiale degli americani era che erano venuti in Siria per sconfiggere l’ISIS e poi tornare a casa quando la missione sarebbe stata compiuta, ora sappiamo che siamo stati ingannati. Non andranno da nessuna parte. Rimarranno lì per sempre, o fino a quando non verranno cacciati; un’altra parte della Siria, oltre alle alture del Golan, verrà occupata.

“Gli USA manterranno una presenza militare in Siria… Non ripeteremo l’errore del 2011 di ritirarci dall’Iraq. Ci impegneremo per la diminuzione dell’influenza iraniana: l’arco settentrionale sarà negato ed i vicini della Siria [leggi: Israele] saranno al sicuro. [Resteremo fino a quando] la Siria non avra più armi di distruzione di massa… Gli Stati Uniti non si ritireranno finché Assad non se ne sarà andato”.

Così, la valutazione di Sergey Lavrov fatta la settimana scorsa, che gli americani intendono smembrare la Siria, è diventata realtà. “È stato intrapreso un percorso per la partizione della Siria”, ha detto il ministro degli Esteri russo. Ora questa predizione si è trasformata in realtà.

Beh, qual è la novità? Gli americani non partono mai volontariamente. Ogni volta che vengono, cercano di rimanere per sempre. Giunsero nelle Filippine nel 1898 e sono ancora lì, nonostante molte richieste di andarsene. Giunsero a Cuba nel 1898 e sono ancora lì, nonostante molte promesse di lasciare l’insanguinata Guantanamo. Nel 1945 occuparono Germania e Giappone, e sono ancora lì, cambiando soltanto i burattini. Sono andati in Corea del Sud, e sono ancora lì. Hanno conquistato l’Afghanistan nel 2001, e sono ancora lì.

Tra le varie potenze coloniali, spiccano per ostinazione. È più facile sbarazzarsi di un chewing-gum rimasto attaccato alla suola di una scarpa.

È difficile, ma non impossibile. I vietnamiti ci sono riusciti. Ci sono voluti molti anni, cinque milioni dei loro morti, cinquantamila soldati americani morti, la rovina dell’economia, la distruzione delle foreste, città bombardate, My Lai bruciata e violentata, ma sono riusciti a mandare a casa gli yankee.

Anche i libanesi ci sono riusciti. Un autista kamikaze è riuscito ad oltrepassare la porta dell’accampamento dei Marines e ad uccidere oltre duecento soldati. Le cannoniere statunitensi hanno bombardato gli indifesi villaggi libanesi di montagna, ma poi gli Yanks hanno fatto rotta verso casa.

I somali hanno abbattuto un paio di elicotteri Black Hawk e, in una singola battaglia durata un giorno, hanno ucciso due dozzine dei migliori d’America. Successivamente, gli americani se ne sono tornati a casa.

La domanda è: di quanti cadaveri avrà bisogno Trump per capire che non c’è posto come casa, e che la presenza americana in Siria è sgradita? Gli israeliani diverranno furibondi dovessero gli americani andarsene. Per loro, non c’è nulla di meglio che aver vicino una presenza militare americana in Siria. Ma Trump è stato eletto dagli americani, e deve fare la scelta giusta: prima è meglio è.

Ben Cardin scalpita per uno scontro

Se dopo aver letto fino a questo punto, tu, mio lettore americano, ti stai pentendo di aver eletto Trump, ecco una storia che ti tranquillizza. Ben Cardin, un membro di spicco della lobby ebraica, un senatore noto per aver firmato un ddl che avrebbe reso crimine il sostegno al boicottaggio di Israele, ha fatto ora un nuovo passo coraggioso. Ha redatto un dossier molto lungo che accusa Putin di interferire con il mondo e sovvertire la democrazia. Potrebbe essere letto come una pubblicità pre-elettorale per l’abile  presidente russo. In alternativa, è un appello ad intensificare la guerra contro la Russia, per isolarla e sanzionarla fino in fondo.

Perché questo prominente leader ebreo è così desideroso di attaccare la Russia? Putin sembra essere un buon amico di Netanyahu, e gli ebrei sono felici in Russia. Ma questi tizi non sono grati.

In un recente articolo, Charles Bausman, caporedattore di Russia Insider, ha affermato che l’ebraismo è in prima linea nella campagna contro la Russia. Questo lungo pezzo (5.000 parole) ha infastidito molta gente, con alcuni ebrei americani che hanno accusato Putin della sua pubblicazione. È più complicato di così.

Mentre in effetti ci sono molti ebrei americani ferocemente anti-russi ed anti-Putin (Masha Gessen, Ben Cardin), di solito sono molto liberal ed anti-Trump.

Gli ebrei pro-Trump non si preoccupano molto della Russia, né in un senso né nell’altro. Vogliono che Trump combatta guerre per Israele in Medio Oriente.

Se trovi un ebreo americano non sionista e amico della Russia, hai trovato una cosa buona e rara, e probabilmente non un membro del Congresso.

Il solo pensiero che l’onorevole Cardin ed il suo gruppo avrebbero governato gli Stati Uniti anziché Trump (in caso di vittoria della Clinton), dovrebbe curare i tuoi rimpianti.

E Cardin è anche più stupido di Trump. Le sue accuse sono sciocche e banali. I russi che cercano di influenzare l’opinione pubblica americana? Qual è il problema? Chiunque abbia un’opinione cerca di influenzare gli altri, e queste influenze facilmente attraversano i confini. I russi influenzano gli americani, gli americani influenzano i russi. Gli Stati Uniti hanno molta, molta più influenza in Russia (o in qualsiasi altro posto su questo pianeta) rispetto al contrario.

L’Unione Sovietica non era molto influente in Occidente (al di fuori degli ambienti di sinistra), ma la Russia moderna ha molta meno influenza di quella dell’URSS, perché non è altrettanto variegata e non offre una reale alternativa su larga scala. La Russia ha i suoi miliardari, ha i suoi immigrati dal Sud del mondo, i russi hanno smesso di fumare e le scontrose commesse di una volta ora sorridono ai clienti. L’hype anti-russo è abbastanza infondato.

Cosa fanno i russi? Certo, cercano di contrastare la feroce campagna anti-russa condotta negli USA dalla banda di Cardin. Questo è ragionevole e c’è da aspettarselo. Diffondono però agli occidentali idee che loro stessi aborriscono? Questo è ciò che chiamerei “propaganda armata”, ed è quella che fecero gli Stati Uniti durante la prima guerra fredda, quando Voice of America e Radio Liberty incoraggiavano in Ucraina o nella Transcaucasia il conflitto intestino ed il nazionalismo etnico, promuovendo nel contempo l’antirazzismo in patria.

I russi non fanno cose del genere. Sono sinceri, promuovono ciò che piace loro. Hanno opinioni piuttosto conservatrici. Nella loro interazione con l’Occidente, esprimono queste opinioni. Sono contrari all’UE, e quindi sono per la Brexit e per la dissoluzione dell’Unione Europea. Per iloro, l’UE è troppo liberale, o comunque non abbraccia la Russia (ricordiamo che ad un certo volevano aderire).

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i russi sostengono quegli elementi tradizionali, conservatori, anti-globalisti e parrocchiali che hanno contribuito all’ascesa di Trump. Il loro sostegno a Trump non è manipolativo, ma una risposta sincera.

I russi non hanno correttezza politica. Dicono “ebreo” con la stessa facilità con cui si direbbe “polacco” o “cherokee”. A loro non piacciono le migrazioni di massa. Non sono entusiasti di greci e georgiani, arabi e armeni o addirittura di tagiki, perlomeno non in Russia e non in grandi quantità, ed esprimono questo pensiero proibito (per voi) senza esitazione. I russi sono “razzisti”, agli occhi di un liberal di New York, ma facilmente si sposano e socializzano oltre i confini etnico-razziali. Quindi, quando i russi esprimono orrore per l’afflusso in Europa di loschi stranieri, non stanno cercando di causare problemi, ma parlano dal proprio cuore. Disapprovano la teoria gender tanto quanto farebbe vostro padre. Valorizzano uomini maschili e donne femminili, e non si vergognano di ammetterlo.

Queste sono le trasgressioni dei russi scoperte da Ben Cardin nel suo rapporto. Perché la Russia infastidisce lui ed il suo gruppo fino al punto di minacciarla con sanzioni e guerre?

Il senatore, che è in politica dall’età di 24 anni, è un tipico ebreo potente, una di quelle figure del Deep State che governano di fatto, se non di nome, gli Stati Uniti. Una volta, questi potenti ebrei lasciavano il lavoro sporco a gentili potenti e con mentalità simile alla loro. Non più. Americani veri di questo tipo o non esistono più o non sono più affidabili.

Questo è il motivo per cui la lobby ebraica vuole eleggere una donna di colore alla Casa Bianca: che sia Oprah, Michelle o Condoleezza, non importa. Ognuna di loro può essere governata da Ben Cardin e dai suoi simili da dietro le quinte, in stile Mago di Oz. Ed ora i democrats non riescono a trovare uomini normali e regolari nemmeno per i gradini più bassi del potere.

Ben Cardin vuole correre di nuovo al Senato; sarà opposto da Bradley (“Chelsea”) Manning, l’uomo che ha fatto filtrare a Wikileaks i telegrammi diplomatici del Dipartimento di Stato. Lo benedico per averlo fatto: la gente deve sapere gli oscuri segreti del Deep State. Sono anche solidale con la sua sofferenza. Dopo mesi di torture, è stato costretto a subire la castrazione per uscire dal carcere. Però è un capro espiatorio, non una persona volitiva adatta ad una posizione di autorità. Si è messo nei guai perché non riusciva a tenere la bocca chiusa. Doveva vantarsi della sua impresa, e presto si è ritrovato al gabbio. Mentre il suo predecessore, Gola Profonda, ha mantenuto segreta la sua vera identità fino al suo ultimo giorno.

Il problema è che gli avversari di Ben Cardin sono orribili come lui. Scrive Glenn Greenwald sull’Intercept: “I Democratici centristi lanciano una campagna diffamatoria contro la giovane donna transessuale, tutto per mantenere un uomo vecchio, etero, bianco al potere”. Ogni parola in questa frase infastidisce. Manning non è una donna, un uomo castrato non è una donna (leggete Germaine Greer, se non via piace la mia opinione). Chiamare Cardin un “vecchio, etero, uomo bianco” è un chiaro esempio di razzismo, sessismo e discriminazione sull’età; è un ‘ad hominem’ del peggior tipo, ma a questa gente non importa dare agli altri un assaggio della prelibatezza che odiano.

Aborro Cardin non perché sia ​​un “vecchio, etero, uomo bianco”, perché questa definizione sarebbe adatta a Lincoln e Tolstoj, ma perché è un guerrafondaio, un lobbista ed un nemico dei lavoratori americani.

Detesto anche Greenwald, non perché sia ​​un giovane ebreo gay di colore, ma perché ha privatizzato il tesoro datogli da Ed Snowden e lo ha trasformato in una fonte di arricchimento personale, invece di condividere il suo contenuto con la gente, come gli era stato detto di fare. Detesto Greenwald perché ha dato quei preziosi dati alle agenzie di spionaggio, affinché le filtrassero come meglio credevano.

Ma soprattutto, detesto Greenwald per il suo sostegno all’identity politics; per il suo sforzo di escludere i comuni cittadini dalla nostra lotta per la libertà.

Greenwald e Cardin sono due facce della stessa medaglia. Sono abbastanza simili: non (solo) perché sono ebrei, ma per il loro rifiuto di permettere agli americani ordinari (che sono cristiani, “bianchi”, “etero”, “maschi”, nel loro linguaggio) di decidere del proprio destino. Per Greenwald e Cardin, le posizioni di autorità dovrebbero essere riservate a travestiti, gay, donne, gente di colore – o ebrei, che apparentemente non hanno sesso, razza o età.

In Israele assistiamo allo stesso fenomeno. I liberali usano “loro” come pronome, invece dei sessisti “lui” o “lei”; acclamano un autistico di razza mista e di genere non binario; insistono nel mantenere immigrati illegali africani ma non concedono ai goyim palestinesi le libertà elementari di muoversi, lavorare o votare. Tutte queste cose hanno la medesima spiegazione: rifugiati, autistici o dissidenti gender non sono un ostacolo al potere, i palestinesi sì. Non distrarti, tieni a mente che tutto questo politicamente corretto riguarda il potere.

 

Israel Shamir

Fonte: www.unz.com

Link: http://www.unz.com/ishamir/you-are-now-entering-the-american-sector/

19.01.2018

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di HMG

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