DI GRAHAM PEEBLES
L’inquinamento della plastica arriva ovunque, galleggia sulle spiagge, intasa gli oceani, soffoca la vita marina, viene ingerito da uccelli marini che poi muoiono di fame, ed è arrivato perfino nei ghiacci dell’ artico. È nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo (sia in bottiglia che dal rubinetto), e lo scorso anno per la prima volta la plastica è stata trovata nelle feci dell’uomo. Friends of the Earth riferisce che “recenti studi hanno rivelato che l’inquinamento della plastica nel mare è arrivato al 100% delle tartarughe marine, al 59% delle balene, al 36% delle foche e al 40% delle specie di uccelli marini presi in esamine.
Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, nel mondo si producono circa 300 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, metà delle quali sono articoli monouso, principalmente imballaggi alimentari. Di questa montagna di plastica se ne recupera solo il 14% per il riciclaggio e solo il 9% viene effettivamente riciclato; Il 12% viene incenerito e rilascia fumi altamente tossici. Il resto – quasi l’80% – finisce nelle discariche o, peggio ancora, viene scaricato o buttato illegalmente negli oceani; circa otto milioni di tonnellate di plastica si depositano ogni anno sul fondo degli oceani e i danni ambientali provocati dalla plastica sono chiari, quello che non è ancora chiaro è l’impatto finale che la plastica avrà sugli ecosistemi marini e terrestri.
Il tasso di riciclaggio della plastica è spaventosamente inferiore rispetto a quello di altri materiali industriali; il riciclo dell’alluminio, del rame e delle lamiere di acciaio, ad esempio, arriva al 50% , mentre la plastica non scompare, ma si trasforma in particelle sempre più piccole, riducendosi nel corso di centinaia o addirittura di migliaia di anni in microplastiche e nanoplastiche.
Un campanello d’allarme
La quantità di rifiuti di plastica prodotta varia da paese a paese. basandoci sul rapporto “Plastic Pollution” del 2018, i rifiuti di plastica pro capite giornalieri negli Stati Uniti, Germania, Paesi Bassi, Irlanda, Kuwait e Guyana sono “dieci volte superiori a quelli di paesi come India, Tanzania, Mozambico e Bangladesh”.
Non sorprende che, per effetto della sua enorme popolazione (1,3 miliardi) e per la sua enorme industria manifatturiera, la Cina ogni anno produca la maggior quantità di rifiuti di plastica al mondo, 59,8 milioni di tonnellate, che però equivale solo a 12o grammi pro capite al giorno, cioè a uno dei più bassi livelli di rifiuti di plastica per persona al mondo. Gli Stati Uniti (327 milioni di abitanti – un quarto degli abitanti della Cina) producono 37,83 milioni di tonnellate all’anno, quindi tre etti e mezzo chili di rifiuti per persona al giorno, tre volte più della Cina. L’America produce anche “oltre 275.000 tonnellate di rifiuti di plastica che rischiano di finire ogni anno nei fiumi e negli oceani”. La Germania produce 14,48 milioni di tonnellate all’anno, cioè mezzo-chilo di rifiuti per persona al giorno. Questo è uno dei più alti livelli nel mondo, ma a differenza degli Stati Uniti, la Germania ha uno dei più tassi di riciclaggio più alti al mondo: ricicla circa il 48% dei suoi rifiuti di plastica (mentre gli USA riciclano solo il 9%) .
Dagli anni ’80 il riciclaggio è stato considerato il modo ecologico più responsabile per affrontare l’enorme quantità di spazzatura prodotta dall’umanità. In tutti i paesi sviluppati si è diffusa la raccolta differenziata di rifiuti domestici riciclabili, ma per decenni tutto il lavoro del riciclaggio è stato esportato, principalmente in Cina. Ma il 31 dicembre 2018, la Cina ha annunciato che non sarà più il mondezzaio del mondo, ed ha annunciato – secondo il Financial Times – “che gran parte dei rifiuti sono troppo ” sporchi “o” pericolosi “e che costituiscono una minaccia per l’ambiente.” La politica “National Sword”, introdotta dal governo cinese, ha portato la Cina e Hong Kong a ridurre le loro importazioni di rifiuti di plastica dai paesi del G7, dal 60% nella prima metà del 2017 a meno del 10% nello stesso periodo del 2018. Nel complesso la plastica importata dalla Cina è diminuita del 99%.
Ora la Cina vuole solo rifiuti che non causino inquinamento e che soddisfino determinati criteri di pulizia. Si tratta di un enorme cambiamento nel modello di riciclaggio che doveva essere previsto già da tempo e che ha prodotto il caos in molti paesi occidentali, dove gran parte dei rifiuti avrebbero dovuto già essere riciclati, bruciati o stoccati. Nel disperato tentativo di trovare una discarica lontana in alternativa alla Cina, sono state spedite nel sud-est asiatico enormi quantità di rifiuti di plastica. La maggior quantità è arrivata in Thailandia, Vietnam, Indonesia, Filippine e Malesia, secondo Greenpeace, le importazioni di rifiuti in plastica arrivate in Malesia sono aumentate da 168.500 tonnellate nel 2016 a 456.000 tonnellate nei primi sei mesi del 2018, la maggior parte dei rifiuti sono arrivati da Regno Unito, Germania, Spagna, Francia, Australia e Stati Uniti.
L’afflusso di queste enormi quantità di rifiuti tossici in questi paesi ha portato alla contaminazione dell’acqua, alla morte dell’agricoltura e a malattie respiratorie. A maggio le Filippine hanno costretto il Canada a riprendersi “69 container contenenti 1.500 tonnellate di rifiuti che erano stati esportati nel 2013 e 2014” – scrive The Guardian – Altri paesi hanno risposto analogamente e con indignazione: sia Thailandia che Malesia e Vietnam hanno approvato leggi per bloccare i rifiuti contaminati che arrivano nei loro porti. Il ministro dell’ambiente malese, Yeo Bee Yin, ha dichiarato: “La Malesia non sarà la discarica del mondo. Manderemo indietro [i rifiuti] ai paesi di origine “. Sono stati rifiutati containers di rifiuti illegali provenienti dalla Spagna e altre 3.000 tonnellate di rifiuti di plastica importati illegalmente da Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Francia e Canada.
I passi fatti dalla Cina e la comprensibile rabbia dei paesi del sud-est asiatico dovrebbero servire come campanello d’allarme per gli stati occidentali che alimentano questa crisi ambientale con leggerezza e arroganza. È tempo che i paesi sviluppati la smettano di sfruttare i paesi più poveri e si assumano la responsabilità dei propri rifiuti di plastica (e di altri). Il riciclaggio deve essere riconosciuto dai governi occidentali come una necessità ambientale, un imperativo sociale. Dato che il business è soggetto al sistema e agli interessi commerciali, la corruzione e le pratiche illegali abbondano, per cui il profitto e il contenimento dei costi passano sempre sopra ogni altra considerazione e gli interessi ambientali diventano un ostacolo; è molto più economico, per esempio, incenerire i rifiuti di plastica, o scaricarli in una foresta o negli oceani, piuttosto che riciclarli, cose che richiederebbero molto lavoro.
Oltre a riciclare la propria immondizia, le nazioni sviluppate, che sono in gran parte responsabili della crisi ambientale, devono collaborare con i paesi più poveri, dove si verificano gli effetti della maggior parte della cattiva gestione dei rifiuti, aiutandoli a progettare sistemi di gestione dei rifiuti efficienti, sostenendoli finanziariamente in questi progetti. Se si vuole ridurre l’inquinamento da plastica e stabilire sistemi di riciclaggio efficaci, è essenziale lavorare insieme.
Come comprare nei Negozi : Zero rifiuti
Il potere di apportare cambiamenti fondamentali con politiche responsabili, investimenti in tecnologie verdi e con l’educazione spetta ai governi che hanno il dovere di agire con urgenza e in modo radicale.
Bisogna fare certi passi fondamentali: ridurre drasticamente l’uso della plastica – eliminare completamente la plastica monouso – riciclare di più: riciclare solo il 9% è vergognoso. Bisogna investire in impianti di riciclaggio ad alta tecnologia e in sistemi di gestione dei rifiuti; assicurare che i prodotti di plastica possano essere riciclati; introdurre degli standard nazionali per il riciclaggio (per esempio nel Regno Unito variano le normative di accettazione locali) e stipulare accordi mondiali, consultando paesi leader sulla strada al riciclaggio, come Germania e Svezia.
Una mossa in questa direzione è stata fatta l’anno scorso al vertice del G7, cinque paesi – Uk, Canada, Francia, Germania, Italia e UE – hanno firmato la Ocean Plastics Charter, con l’impegno “di portare il riciclaggio della plastica al 50% e di mirare al 100% del recupero della plastica riutilizzabile o riciclabile entro il 2030”. Gli Stati Uniti e il Giappone non hanno firmato. La plastica è la terza industria manifatturiera degli USA che producono il 19,5% della plastica mondiale; Il presidente Trump non ha nemmeno partecipato a questi colloqui e a quelli sul clima del G7.
Ma anche ogni singolo individuo deve svolgere un ruolo chiave nel trattamento dei rifiuti di plastica e nello spingere i politici a mettere in atto i necessari drastici cambiamenti.
Possiamo tutti insieme ridurre la quantità di rifiuti che produciamo; puntare a Zero rifiuti, abbracciare uno stile di vita più semplice ed ecologicamente responsabile, fare acquisti nei negozi Rifiuti Zero, dove i clienti arrivano con un contenitore e lo riempiono direttamente dal distributore. Le grosse catene di supermercati di tutto l’occidente sono responsabili della produzione di una enorme quantità di rifiuti di plastica e devono cambiare radicalmente il modo in cui i loro prodotti vengono progettati, impacchettati e venduti; nel Regno Unito, Waitrose, che ha una quota di mercato del 5%, ha introdotto uno schema pilota in una filiale di Oxford dove vengono testati i nuovi distributori di alimenti, incoraggiando i clienti a usare vaschette e barattoli riutilizzabili, portati da casa o forniti gratuitamente dal negozio.
È una mossa di buon senso che tutte le catene di supermercati dei paesi occidentali devono adottare, è il modo ambientalmente giusto per fare acquisti e, logicamente, i prodotti che non devono essere impacchettati con la plastica dovrebbero costare meno. Comprare ZERO rifiuti deve essere l’obiettivo che vogliono molti clienti e che l’ambiente richiede. L’inquinamento della plastica è un aspetto della crisi ambientale globale, una crisi radicata nel consumismo e in un sistema socio-economico sostenuto dalle nazioni sviluppate, dovuto a avidità, egoismo e divisione. Ci vogliono dei cambiamenti radicali nel sistema e nel cambiamento dello stile di vita e dei valori se vogliamo che il vandalismo ambientale finisca e se vogliamo che il pianeta guarisca.
Graham Peebles è un freelance inglese e charity worker. A seguito dell tsunami nel 2005, diede vita a The Create Trust in Sri Lanka dove ha svolto attività benefiche, poi estese a Etiopia e India.
Fonte : https://www.counterpunch.org
Link: https://www.counterpunch.org/2019/06/14/zero-waste-the-global-plastics-crisis/
14.06.2019
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario