Perché Vladimir Putin merita il Nobel per la Pace (seriamente)

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DI ROBERT BRIDGE

strategic-culture.org

Per molti anni, e nonostante tutte le prove contrarie, i media occidentali hanno portato avanti la narrazione per la quale Putin fosse un dittatore simil Hitler.

La realtà è che il leader russo ha promosso la pace nel mondo più di qualsiasi altro governo occidentale recente. Questo spiega perché è oggetto di tale intenso disprezzo.

L’ascesa di Putin come statista di primo piano è iniziata, stranamente, l’11 settembre 2001. Da quel giorno, Washington ha approfittato della tragedia nazionale per raggiungere i propri fini geopolitici, la maggior parte dei quali – casualità o no – diametralmente opposti alla sicurezza nazionale russa. Mosca, da parte sua, doveva fungere da niente più che uno spettatore della macchina da guerra statunitense, che al tempo cominciava il proprio tour in Medio Oriente.

A fine 2013, cioè da quando la violenza ha cominciato a dirigersi sulla porta di casa russa, la corrente ha cominciato a cambiare direzione. Kiev improvvisamente cominciò a protestare violentemente contro il governo Janukovyč, il cui unico crimine era quello di essere titubante sull’annessione alla UE.

Questo è stato il momento in cui l’investimento di Washington in Ucraina ha iniziato a pagare dei bei dividendi (Victoria Nuland, il vicesegretatio di Stato americano per gli Affari Europei ed Euroasiatici, ammise spudoratamente che il suo governo aveva investito più di 5 miliardi di dollari dal ’91 per aiutare l’Ucraina a raggiungere “il futuro che merita”).

Con la benedizione di innumerevoli ONG e think tank statunitensi, i manifestanti hanno invaso le strade nella cosiddetta rivolta di Maidan, barricandosi nella capitale ed attaccando la polizia, costringendo infine il presidente democraticamente eletto a fuggire dal paese.

Come ha osservato John J. Mearsheimer nella prestigiosa rivista Foreign Affairs, “gli Stati Uniti ed i suoi alleati europei condividono la maggior parte delle responsabilità della crisi”.

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha fatto eco a questa sicnera valutazione il mese scorso, quando ha comunicato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: “L’Occidente ha costruito la sua politica sulla base di un principio: ‘se non sei con noi, sei contro di noi’. La NATO ha scelto la strada di una sconsiderata espansione verso est, provocando instabilità nello spazio post-sovietico… Questa politica è proprio la causa principale del conflitto prolungato in Ucraina sudorientale”.

Putin merita un premio Nobel per la Pace solo perché è dell’Occidente, e non della Russia, la colpa della crisi ucraina? No, ma la storia non finisce qui. Anche se i media occidentali continuano a rigurgitare la delirante storiella di un'”invasione russa” del territorio ucraino, tali teorie non sono mai state documentate da una singola immagine satellitare. O dovremmo forse credere che la Russia possieda anche carri armati ed artiglieria invisibili? La realtà non è così complessa: sono stati gli americani ad aver lanciato la propria invasione nelle prime fasi delle proteste, che sono servite solo ad aumentare il malcontento. E sì, su questo ci sono le prove.

La Nuland, ad esempio, è stata fotografata mentre per le strade di Kiev distribuiva felicemente dei biscotti ai partecipanti anti-governo, alcuni dei quali apertamente fascisti e che sono poi finiti a ricoprire le più alte posizioni nel nuovo governo.

Come scrive Mearsheimer: “Il nuovo governo di Kiev era fortemente pro-occidentale ed anti-russo, ed aveva quattro membri di alto rango che potevano legittimamente essere etichettati come neofascisti”.

E l’intrigo politico è andato ben oltre dei pasticcini raffermi. In una telefonata con l’ambasciatore statunitense in Ucraina Geoffrey Pyatt, la Nuland ha menzionato Arsenij Jacenjuk come candidato al governo ucraino. Qualcuno si è sorpreso quando Jacenjuk è diventato primo ministro il 27 febbraio? Nel corso di quella famosa telefonata, la Nuland ha anche espresso alcuni sentimenti verso l’alleato principale dell’America, dicendo: “Si fotta l’UE”.

Nel frattempo, anche il senatore americano John McCain, preminente falco di Washington, ha fatto una visita a Kiev al culmine della tensione, agitando i manifestanti anti-governativi in piazza Maidan dicendo loro che “il destino che cercate si trova in Europa”.

Bisogna ricordare che nessun politico russo ha avuto la sfrontatezza di mostrarsi ovunque in Ucraina per dire al popolo dove si trovava il loro destino.

Mentre i media occidentali continuavano a spingere la balla dell'”invasione russa”, il Cremlino stava lavorando assiduamente per rimettere ordine in Ucraina, causato da decenni di giochi sfrenati dietro le quinte, gran parte dei quali orchestrati da ONG e think tank assortiti. Putin ha svolto un ruolo significativo nel mediare e riunire i leader di Ucraina, Germania e Francia per ratificare gli accordi di Minsk (11 febbraio 2015), destinati a porre fine alle violenze nella regione ucraina del Donbass.

Malgrado il riconoscimento internazionale delle richieste di Minsk (che includono “l’immediato e pieno cessate il fuoco in particolari distretti degli oblast’ ucraini di Donetsk e Lugansk e… il ritiro di tutte le armi pesanti da ambo le parti ad una pari distanza, con l’obiettivo di creare una zona di sicurezza di minimo 50 chilometri (31 miglia)…”), ci sono stati numerosi report di grosse violazioni.

Il mese scorso, Putin ha chiesto che una missione di pace della Nazioni Unite venisse inviata nelle regioni orientali dell’Ucraina, tormentate dalla guerra. I mediatori sarebbero stati schierati sulla linea di demarcazione per proteggere la missione OSCE, che controlla il cessate il fuoco tra le forze governative ed i ribelli.

Il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel ha abbracciato l’idea, esortando gli Stati membri a “discutere apertamente con la Federazione russa le condizioni di una missione ONU”. Washington e Kiev, tuttavia, hanno respinto la proposta senza mezzi termini.

Nel contesto della crisi ucraina in corso, c’è un aspetto importante che non può essere trascurato, e che coinvolge il referendum sulla Crimea, che alla fine ha portato la penisola nella Federazione russa.

Anche se gli esperti occidentali parlano vagamente sia di una “invasione russa della Crimea” che di una dell’Ucraina, nulla potrebbe essere più falso. Il Consiglio Supremo della Crimea ha considerato la rimozione di Janukovyč come un colpo di stato ed il nuovo governo di Kiev come illegittimo, affermando che il referendum è stato una risposta a questi sviluppi, nonché alla rottura dell’ordine civile che stava devastando il paese.

In Crimea, una repubblica che per gran parte parla russo e che era parte integrante della Russia fino a quando non venne donata all’Ucraina da Chruščёv nel ’54, i risultati ufficiali del referendum parlavano chiaro: il 96,77% degli abitanti aveva votato a favore dell’annessione della regione nella Federazione Russa.

La Duma di Stato russa ratificò la riunificazione con la Repubblica di Crimea e la città di Sebastopoli il 20 marzo 2014. La condanna occidentale arrivò veloce e furiosa, ma Putin ricordò ai critici che la situazione rispecchiava quella del referendum per l’indipendenza in Kosovo.

“In una situazione del tutto identica a quella in Crimea, hanno riconosciuto legittima la secessione del Kosovo dalla Serbia, sostenendo che ‘non è necessario alcun permesso da un’autorità centrale di un paese per un’unilaterale dichiarazione di indipendenza”, disse Putin, aggiungendo che la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite concordava con tali spiegazioni.

“È quel che hanno scritto, è quel che hanno strombazzato in tutto il mondo, l’hanno imposto a tutti – e adesso si lamentano. Perché?”, si chiese.

Anche se pochi lo vogliono ammettere, gli sforzi di pace di Putin in Ucraina hanno determinato una drastica riduzione della violenza. Molti osservatori occidentali invece avevano predetto che la Russia avrebbe lanciato un’invasione a pieno titolo del territorio ucraino. Immaginate la loro delusione quando è accaduto il contrario…

I suoi sforzi di pace, tuttavia, non si sono fermati alle frontiere della Russia.

L’intervento in Siria

Molti probabilmente hanno già dimenticato l’immenso contributo russo nel garantire la pace in Siria, che soffriva di conflitti interni sin dal 2011. E no, non sto parlando della decisione di Putin di aiutare Assad a cacciare i terroristi ISIS da paese, anche se questo è sicuramente importante.

Sto parlando di quel giorno, quasi esattamente quattro anni fa, in cui Obama – vincitore di un Nobel per la Pace, vi ricordo… – stava per dare l’ordine di lanciare un attacco militare totale contro lo stato sovrano della Siria. Il motivo? Washington diceva che il governo Assad poche settimane prima aveva usato armi chimiche per attaccare un sobborgo di Damasco. Non importa che Assad sapeva benissimo che fare una cosa del genere avrebbe significato suicidio politico e nazionale, e che l’uso di armi chimiche avrebbe solo aiutato la causa dei ribelli. Ma qui divago.

Quando la Camera dei Comuni britannica si è rifiutata di autorizzare l’allora prima ministro Cameron ad unirsi agli americani nel loro ultimo gioco di guerra, ad Obama improvvisamente prese paura. Nel tentativo di salvare la faccia, il segretario di Stato John Kerry, a quanto si dice, ‘sbagliò ad esprimersi’ quando disse che gli Stati Uniti avrebbero annullato un attacco alla Siria se Assad avesse concordato di consegnare tutte le sue armi chimiche entro una settimana.

La diplomazia russa fece uno sforzo immane, con una maratona di incontri a Ginevra tra Kerry e Lavrov, che alla fine portarono ad un accordo che non solo ha attenuato la minaccia della guerra, ma ha rimosso le armi chimiche dalla Siria.

Lavrov dichiarò che l’accordo eliminava ogni possibile uso della forza contro la Siria, sottolineando che le deviazioni dal piano, inclusi attacchi ad ispettori ONU, sarebbero stati portati al Consiglio di Sicurezza, che avrebbe preso i relativi provvedimenti.

Ban Ki-moon, l’allora Segretario Generale, diede un brillante resoconto dell’accordo USA-Russia-Siria, che rese la Siria anche firmataria dell’Organizzazione per il Divieto delle Armi Chimiche (OPCW).

Questo grande esempio di diplomazia da parte dell’amministrazione Putin dimostra che, se c’è reciproca volontà tra uomini e nazioni, la guerra può sempre essere evitata. Gli Stati Uniti purtroppo hanno continuato a dimostrare un’insaziabile volontà di interferire – illegalmente – negli affari interni della Siria, arrivando al punto di lanciare anche attacchi sfrontati al suo esercito (cosa ancor più inquietante è che i media americani hanno elogiato Trump dopo tali attacchi). Sebbene anche la Russia si sia coinvolta militarmente in Siria, l’ha fatto solo su esplicito invito di Damasco, per aiutare Assad a liberare il suo paese dalle forze terroristiche che le forze occidentali, guidate dagli americani, non sono riuscite a distruggere.

In sintesi, dati gli straordinari sforzi per realizzare le condizioni di pace sia in Ucraina che in Siria, Putin sembra essere il candidato più adatto a vincere il Nobel per la Pace. Ovviamente le capitali occidentali non la penserebbero mai così, il che evidenzia la grande distanza che separa ora la Russia dall’Occidente, il quale oramai ha perso la propria capacità di distinguere il giusto dallo sbagliato, la verità dall’inganno.

Il Premio Nobel per la Pace viene presentato dal re di Norvegia il 10 dicembre di ogni anno.

 

Robert Bridge

Fonte: www.strategic-culture.org

Link: https://www.strategic-culture.org/news/2017/10/19/why-vladimir-putin-deserves-nobel-peace-prize-seriously.html

19.10.2017

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG

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