Non solo Covid: quando la tachipirina ti toglie la salute

Il paracetamolo, la principale causa di insufficienza epatica acuta (e non solo)

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Il paracetamolo  – o acetaminofene – è uno degli antidolorifici e antipiretici più comunemente utilizzati e sicuramente si trova nella maggior parte degli armadietti dei medicinali delle case di tante persone. In Italia il farmaco più noto a base di paracetamolo è la Tachipirina, ma esistono in commercio numerosi altri medicinali con nomi diversi che lo contengono, sia da solo che in associazione ad altri principi attivi, e molti di questi sono liberamente acquistabili senza ricetta medica.
Generalmente utilizzato per il trattamento sintomatico degli stati febbrili (in caso ad esempio di influenza, malattie esantematiche, malattie acute del tratto respiratorio) e per il trattamento del dolore di diversa origine e natura (come mal di testa, dolori muscolari, dolori osteoarticolari, mal di denti, nevralgie, dolore post-operatorio, dolori mestruali, ecc.), è stato raccomandato anche per il Covid dall’AIFA e dal Ministero della Salute con le prime linee-guida diramate e tuttora lo ritroviamo consigliato come farmaco sintomatico, assieme agli antiinfiammatori non steroidei genericamente indicati come FANS, in quelle attualmente in vigore (agg. 10.03.23).
TUTTAVIA, al di là dei dubbi che sono presto emersi sulla validità di tale uso, in realtà il paracetamolo è anche una delle principali cause di danno epatico acuto che può essere fatale senza un trapianto di fegato. Il fegato, infatti, ha una capacità limitata di abbattere il paracetamolo. Dosi piccole non sono tossiche, ma quando viene assunto troppo paracetamolo nell’arco delle 24 ore, il fegato non riesce a scomporlo abbastanza velocemente. Il paracetamolo extra si riversa in un percorso di riserva nel fegato e viene scomposto in un altro prodotto che è particolarmente tossico. Maggiore è la quantità di paracetamolo assunta contemporaneamente, più prodotto tossico viene prodotto.

Purtroppo, c’è scarsa consapevolezza a riguardo, tant’è che non poche persone usano con disinvoltura il paracetamolo frequentemente in caso, ad esempio, di artrosi o di traumi, o di mal di testa o di crampi mestruali oppure semplicemente per abbassare la febbre.
La fregatura è che dopo un sovradosaggio i sintomi non compaiono per molte ore per cui ci potrebbero già essere danni al fegato senza saperlo. Nelle prime 24 ore, infatti, potrebbero esserci solo sintomi lievi come nausea e vomito, ma spesso non c’è alcun sintomo. Dopo uno o due giorni, invece, il danno epatico inizia a evidenziarsi e i sintomi possono includere dolori addominali, urine di colore scuro e occhi e pelle di colore giallo. Dopo tre giorni, la situazione peggiora e le persone a quel punto finiscono in ospedale: circa il 6% di queste sviluppano insufficienza epatica e in alcuni casi diventa necessario un trapianto di fegato e molte persone muoiono in attesa di un fegato oppure a causa di complicazioni dopo il trapianto stesso.
Il trattamento tempestivo è dunque fondamentale in caso di sovradosaggio e l’antidoto che in genere viene somministrato per via orale e/o endovenosa e la n-acetilcisteina che aiuta a ripristinare i livelli di glutatione, ma va fatto il prima possibile.

Una pubblicazione contenente informazioni cliniche e di ricerca sul danno epatico indotto da farmaci evidenzia che il sovradosaggio di paracetamolo è la principale causa di insufficienza epatica acuta negli Stati Uniti in Europa e in Australia.
A differenza dell’insufficienza epatica cronica, che si verifica nel corso di molti anni, quella acuta si verifica rapidamente nell’arco di ore o giorni. Solo in Canada ci sono circa 4500 ricoveri ogni anno a causa di overdose da paracetamolo e il 16% sono stati segnalati come overdose accidentali non intenzionali.
Ma come si può arrivare a un sovradosaggio accidentale?
Assumendo la dose successiva troppo presto oppure più della dose raccomandata alla volta oppure si assumono due o più tipi di medicinali contemporaneamente che contengono paracetamolo, ad esempio un antidolorifico con una medicina per il raffreddore e l’influenza. I casi di sovradosaggio non intenzionale nei bambini, invece, sono spesso dovuti a errori nel calcolo del dosaggio corretto o all’uso di compresse per adulti invece di formulazioni per bambini o neonati.
È necessario sempre leggere le etichette di tutti i farmaci assunti sia quelli prescritti che quelli che si possono comprare senza prescrizione medica perché il paracetamolo può essere contenuto in vari prodotti: antidolorifici, decongestionanti e rimedi contro la tosse e il raffreddore. Bisogna fare attenzione a evitare di superare la dose giornaliera massima raccomandata in base all’età e al peso considerando i foglietti illustrativi dei vari farmaci. Anzi, meglio sarebbe evitare di prendere più di un prodotto contenente paracetamolo alla volta, rispettare i tempi di assunzione indicati e prenderne comunque meno quantità se si bevono regolarmente bevande alcoliche o se si ha difficoltà a mangiare, ad esempio per un disturbo alimentare, o se si è in stato di fragilità per giovane età o età avanzata o per episodi di nausea e vomito.

La stessa attenzione andrebbe, in realtà, osservata con tutti i farmaci perché tutti i medicinali di sintesi comportano sempre dei rischi e degli effetti collaterali, noti anche come reazioni avverse, le quali possono verificarsi anche quando i prodotti vengono utilizzati correttamente: seguire le indicazioni del foglietto illustrativo non basta, infatti, bisogna anche porsi e porre domande e condividere la propria storia medica con una professionista sanitario di fiducia in modo da evitare ogni ricaduta negativa.
In particolare, prima di prendere qualsiasi prodotto sarebbe bene far presente se si hanno allergie e sensibilità e, eventualmente, quali sostanze si stanno già assumendo (questo vale sia per i medicinali che anche per i prodotti naturali) perché possono esserci interazioni indesiderate. E possono esserci interazioni anche con alimenti e bevande, come il succo di pompelmo o anche l’alcol. Parlando di paracetamolo, ad esempio, le persone che bevono regolarmente tre o più bevande alcoliche al giorno o che sono malnutrite o a digiuno, più facilmente possono andare incontro a un sovradosaggio anche con dosi indicate nel foglietto illustrativo come normali.

A maggior ragione bisogna fare attenzione se si è incinta, se si sta allattando, se si ha intenzione di avere un bambino.
Invece il paracetamolo è spesso troppo usato sia in gravidanza che in età pediatrica. È considerato da tanti pediatri il farmaco di prima scelta per far scendere la febbre e dare sollievo al dolore e da molti ginecologi è considerato l’unico farmaco sicuro da prescrivere come antipiretico e analgesico. In realtà uno studio pubblicato su JAMA Psychiatry, autorevole rivista di psichiatria, mette in correlazione il consumo di paracetamolo durante la gravidanza con i disordini del neuro sviluppo (tra cui autismo e deficit di attenzione-iperattività). Già altri studi in passato avevano messo in evidenza questo collegamento, ma si basavano semplicemente sulle dichiarazioni materne in merito all’assunzione di paracetamolo in gravidanza; invece, quest’ultimo lavoro citato fornisce una prova obiettiva dell’esposizione fetale al paracetamolo in utero. Infatti, lo studio si basa sulla misura della concentrazione dei sottoprodotti del metabolismo del farmaco nel sangue del cordone ombelicale.
Gli autori, pur riconoscendo che questi risultati supportano dati precedenti che collegano l’esposizione al paracetamolo in utero con ADHD e ASD, tuttavia sottolineano la necessità di ulteriori ricerche.

Ancora ricerche? Appare una dichiarazione davvero poco comprensibile.

Per affermare con assoluta certezza il nesso di causalità tra utilizzo di paracetamolo e disordini del neuro sviluppo probabilmente bisognerebbe fare uno studio randomizzato dando alle donne in gravidanza il paracetamolo o il placebo e poi seguendo nel tempo i diversi gruppi di bambini.
Ovviamente questo non è possibile perché non sarebbe etico.
Ma se si considera che i risultati di questo studio concordano con altri studi e meta-analisi fatti con altri metodi (vedere a riguardo questo mio precedente articolo), è inevitabile mettere in discussione l’utilizzo di questo farmaco in un periodo così delicato della vita come la gestazione.
E la questione assume contorni ancora più seri se si considera che il paracetamolo viene utilizzato con molta frequenza anche nella prima infanzia. Infatti, in caso di febbre, anche quella indotta dai vaccini, viene dato normalmente ai bimbi nella maggior parte dei casi.
Dunque, viene spontaneo chiedersi: se già vari studi hanno messo in luce la correlazione tra questo farmaco e le successive anomalie nello sviluppo cognitivo del bambino, perché si continua a ritenerlo un medicinale sicuro, a prescriverlo e a utilizzarlo? Tanto più che la febbre ha una funzione fondamentale e benefica ed è bene non intervenire subito su questo sintomo in modo da lasciare che svolga la sua funzione positiva di sostegno del sistema immunitario (come argomentato dalla Dottoressa Simona Mezzera in questa intervista).

Infine c’è un altro aspetto, molto preoccupante, da considerare: una revisione della letteratura scientifica, meta-analisi datata maggio 2021, fornisce la prova che l’assunzione di paracetamolo può essere associata a neoplasie ematologiche e suggerisce che un effetto dose-risposta è plausibile.
Un ulteriore, e più che valido motivo, per fare un uso assolutamente ragionato e parecchio limitato di questo farmaco.
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VB

 

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