C’è un’associazione tra l’uso a lungo termine di farmaci per l’ADHD e l’aumento delle malattie cardiovascolari. Lo mette in evidenza una ricerca condotta dal Karolinska Institutet in Svezia e pubblicata su Jama Psychiatry.
Su 278.027 individui con ADHD di età compresa tra i 6 e 64 anni, tenuti sotto osservazione per 14 anni (tutti soggetti che non avevano una diagnosi malattie cardiovascolari al momento in cui hanno iniziato ad assumere i farmaci), gli autori hanno riscontrato esiti di malattie cardiovascolari in 10.338 persone.
Già precedenti meta-analisi di studi clinici randomizzati avevano riportato aumenti della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna associati all’assunzione di farmaci per l’ADHD, sia stimolanti che non stimolanti. Si era trattato per lo più di studi clinici a breve termine, serviva per questo motivo una valutazione a lungo termine, proprio quella che ha fornito questa recente ricerca i cui risultati mostrano che l’esposizione a lungo termine a questo tipo di medicinali è associato a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, in particolare ipertensione e malattia arteriosa rispetto al non utilizzo.
In generale il rischio di malattie cardiovascolari è aumentato di circa il 4% ogni anno e l’aumento del rischio è stato maggiore nei primi anni di trattamento per poi stabilizzarsi. Gli autori concludono che “questi risultati evidenziano l’importanza di valutare attentamente i potenziali benefici e rischi quando si prendono decisioni terapeutiche sull’uso di farmaci per l’ADHD a lungo termine” e aggiungono che “i medici dovrebbero monitorare regolarmente e costantemente i segni e i sintomi cardiovascolari durante il corso del trattamento”. Anche i genitori – aggiungo io – dovrebbero essere consapevoli di quelli che sono gli effetti nel lungo periodo quando viene prescritta questa tipologia di farmaci ai loro figli.
Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività è caratterizzato da disattenzione, impulsività e iperattività ed è notevolmente aumentato negli ultimi decenni.
C’è da dire, tuttavia, che una volta, se i bambini si applicavano poco a scuola e disturbavano tanto, veniva detto che erano delle “pesti”, che erano “vivaci e disubbidienti”, che “non avevano voglia di studiare”. Oggi, invece, sono catalogati con questa sigla: “ADHD”.
Il che non semplifica affatto le cose, anzi. Perché, comunque, ci si può trovare di fronte a un quadro molto variegato: per qualcuno può trattarsi soltanto di una difficoltà di concentrazione con conseguenti complicazioni nei rapporti con genitori e insegnanti oppure, al contrario, c’è la capacità di stare attenti, ma troppa impulsività ed iperattività.
E banalizzare, semplificando troppo le cose, non serve.
Serve, invece, CAPIRE.
Perché oggi, nel mondo, di ADHD soffrono molti bambini e adolescenti.
Troppi.
Sono in prevalenza maschi e, crescendo, il loro futuro appare difficile. Anche perché spesso questi giovani e giovanissimi, inquadrati “con disagio psicologico”, sono sottoposti a diagnosi affrettate e cure farmacologiche non sempre necessarie che, nel tempo, appaiono peggiorare ulteriormente la situazione.
Questi bambini, infatti, non sarebbero dei malati mentali, ma vivrebbero semplicemente un disagio a cui non si può rispondere subito con la somministrazione di psicofarmaci (tant’è che anche alcuni psicoterapeuti si oppongono alla somministrazione di questi medicinali ritenuti una scorciatoia non scevra da conseguenze).
Le cause che possono scatenare questi disturbi del comportamento possono essere svariate. Si è parlato, ad esempio, di accumulo dei metalli pesanti e di esposizioni a inquinanti (come i pesticidi organofosforici), ma va detto che anche la dieta potrebbe influire in modo pesante.
Ad esempio, una ricerca pubblicata diversi anni fa sulla rivista scientifica The Lancet richiamava un possibile legame con alcuni coloranti (E102, E104, E110, E124, E129, E122) e conservanti usati nell’industria alimentare (come il benzoato di sodio E211). Ma non solo: c’è da dire che stanno destando preoccupazione e sono sotto osservazione anche il caramello E150C, ottenuto con l’ammoniaca (che può essere contenuto in salse, gelati, ghiaccioli, biscotti e conserve) e l’E132, colorante blu di canditi, sciroppi, dolciumi e caramelle.
Ovviamente per tutti gli additivi ci sono dosi giornaliere da non superare che le autorità sanitarie hanno fissato, ma se si mettono insieme tanti cibi diversi che i giovani normalmente consumano quotidianamente, si scopre che si rischia facilmente di andare in sovradosaggio.
Oltre agli additivi, vanno anche considerate le bevande ricche di cola o caffeina che spesso fanno parte dell’alimentazione, poco equilibrata, dei ragazzi: sono stimolanti, dunque, se non provocano i sintomi dell’ADHD, di sicuro però li aggravano.
Per non parlare di tutto il cibo spazzatura già pronto e di facile preparazione (povero di vitamine e minerali e ricco di sale, zuccheri e grassi trans) che i ragazzi si ritrovano non di rado nel piatto: non va certamente a nutrire lo sviluppo armonioso del cervello, quanto piuttosto a ostacolarlo.
Fin dallo svezzamento, invece, la dieta dovrebbe comprendere cibi biologici, freschi, di stagione, vitali e grassi di qualità. E si dovrebbe fare attenzione anche ai giusti abbinamenti per evitare fluttuazioni di insulina che possono causare sbalzi di umore e cali di concentrazione. Insomma, prima di ricorrere agli psicofarmaci, meglio intervenire a tavola.
Dopodiché, prima di iniziare ad assumere medicinali di sintesi non esenti da effetti collaterali anche gravi, come mostrato dalla ricerca citata a inizio articolo (si parla, inoltre, anche di depressione, allucinazioni e persino istinti suicidi), meglio tentare approcci più dolci che rispettano l’essere umano nella sua naturale ed indivisibile complessità come, ad esempio, quello della medicina omeopatica.
A tal proposito segnalo uno lavoro scientifico molto interessante, pubblicato nel giugno 2022 nella sezione Pediatric Research di Nature, una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, che evidenzia l’efficacia dell’Omeopatia nel trattamento dei disturbi dell’attenzione/iperattività.
La ricerca – una meta-analisi stranamente ritirata nel settembre scorso, dopo più di un anno dalla pubblicazione – ha preso in considerazione vari precedenti lavori scientifici e, dopo aver escluso quelli ritenuti inattendibili o incompatibili per motivi metodologici, si è concentrata in particolare su sei mostrando che “la terapia omeopatica individualizzata ha un effetto clinicamente rilevante e statisticamente robusto nel trattamento dell’ADHD”.
Scrivono, specificatamente, gli autori: “Sebbene il meccanismo d’azione dei farmaci omeopatici sia sconosciuto, potrebbe valere la pena utilizzare l’omeopatia come opzione aggiuntiva nell’approccio terapeutico all’ADHD”. E ancora: “I nostri dati mostrano che potrebbe essere utile: una dimensione dell’effetto di 0,6 deviazioni standard è clinicamente rilevante e nella nostra analisi anche statisticamente robusta. […] Raccomandiamo quindi ai medici di considerare il trattamento omeopatico come complemento al loro piano di trattamento per i bambini con ADHD, ad esempio, rivolgendosi a medici competenti”.
Oggi la salute è completamente in mano alle grandi lobbies farmaceutiche e, nelle varie facoltà ad indirizzo sanitario, gli studenti sono perlopiù indottrinati dalla visione riduzionista e meccanicista.
La vera Medicina, invece, è incentrata sulla persona vista nel suo complesso e non può fare a meno di integrare varie diverse conoscenze. Non solo, quindi, l’Omeopatia andrebbe tenuta maggiormente in considerazione, ma anche tutte le altre Medicine Tradizionali e Naturali.
Sarebbe un sicuro vantaggio per i pazienti se, in tutti i paesi del mondo, e in tutti i territori senza differenze, le tante conoscenze nel campo della salute potessero convivere e l’offerta sanitaria pubblica potesse garantire diversi metodi di approccio terapeutico.
Disgraziatamente questo, al momento, rimane solo un bellissimo sogno.
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VB