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La Redazione

 

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Non abbiate paura del tempo che fa

Pretendere di salvare il pianeta non riguarda la scienza, ma esprime il desiderio di esercitare un’autorità morale
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A cura di CptHook
Il 4 Novembre 2023
17849 Views

Se nel discorso ufficiale i “negazionisti del clima” vengono presentati come personaggi strampalati o ignoranti, i climato-realisti ribaltano la critica e accusano i catastrofisti di fideismo e irrazionalismo. L’accusa è senz’altro corretta se riferita ad attivisti e opinionisti.

Se invece è riferita alla società in generale, pare ingenuo, nell’epoca degli Oligopoli mediatico-finanziari, immaginare che le idee si diffondano “spontaneamente” a seguito di un dibattito “culturale”. Se le istituzioni occidentali all’unanimità hanno optato per una gravosissima transizione ecologica, pur senza ragioni evidenti, è perché, a mio parere, spinte da interessi economici così forti da apparire invincibili.

A un certo punto l’autore evoca la correlazione tra concentrazione della CO2 e aumento della biomassa vegetale. Per una breve spiegazione del fenomeno posso rimandare ad es. al Simplicissimus che negli anni ha dedicato parecchi articoli all’argomento.

Alceste de Ambris

 – * – * – * – 

Benoît Rittaud – Valeurs Actuelles – luglio 2023

 

“Emergenza climatica” è la nuova espressione alla moda di fronte a ciò che ci viene presentato come una realtà innegabile: il nostro clima si è sfasato e noi ne siamo i principali responsabili. Non passa giorno senza che una personalità politica, mediatica o scientifica non faccia appello ad un’azione immediata e risoluta sulla questione.

Uno sguardo all’indietro mostra però che era più logico preoccuparsi per il clima quindici o vent’anni fa. In quel momento, la temperatura globale e le nostre emissioni di anidride carbonica (CO2) stavano aumentando di pari passo. La correlazione tra le due era chiara, e ben in linea con la teoria secondo cui l’aumento della CO2 atmosferica riscalda la Terra attraverso il meccanismo dell’effetto-serra. I carotaggi del ghiaccio dell’Antartide avevano dimostrato che era possibile osservare questa correlazione anche su una scala di centinaia di migliaia di anni; argomento-chiave del famoso documentario “Una scomoda verità”, di AI Gore. Infine una ricostruzione delle temperature dello scorso millennio, la curva “a mazza da hockey” aveva fornito la prova che, dopo nove secoli di stabilità (con una leggerissima tendenza al ribasso), la temperatura della Terra era aumentata in modo straordinario a partire dalla metà del XIX secolo e dall’inizio della rivoluzione industriale.

In termini di sceneggiatura, il catastrofismo climatico era una novità seducente. Come apocalittica pagana, permetteva di dare una nuova veste all’eterna paura della fine del mondo. È così Roland Emmerich nel 2004 sbancò botteghini con il suo film “L’alba del giorno dopo”, una predica millenaristica in stile hollywoodiano con effetti speciali impressionanti.

Questi “anni di Al Gore” furono segnati anche da alcune estreme e tragiche calamità meteorologiche: nel 2005 l’uragano Katrina devastò la Louisiana, uccidendo quasi 2.000 persone; l’ondata di calore del 2003 in Francia mostrò l’impreparazione delle autorità pubbliche di fronte a un evento che portò alla morte di 20.000 persone (memorabile anche la seconda ondata di calore del 2006, benché fortunatamente meno letale); dopo alcuni anni di declino, già di per sé preoccupante, lo scioglimento annuale della banchisa artica raggiunse nel 2007 un record assoluto, facendo temere la sua completa scomparsa nel giro di pochi anni.

In linea con le antiche superstizioni, ognuno di questi episodi era visto come un “segno” che preannunciava una catastrofe imminente. Si radicò nella mente della gente l’idea che fosse in atto qualcosa di grave e senza precedenti, con lo stesso colpevole di sempre: l’arroganza umana, questa volta incarnata dallo sviluppo industriale. Di fronte all’ “evidenza”, settori sempre più ampi del mondo intellettuale, politico e scientifico vestirono gli abiti dei profeti di sventura. Pur provenendo dalla sinistra dello spettro politico, la moda si è diffusa senza grande resistenza nella destra francese, che non voleva correre il rischio di essere accusata di empietà.

L’IPCC o il consenso immaginario

Così alla fine del 2002 Jacques Chirac pronunciò a Johannesburg il suo celebre discorso “La nostra casa brucia e noi guardiamo altrove”; due anni dopo fece inserire il principio di precauzione nella Costituzione, prima che Nicolas Sarkozy, neoeletto all’Eliseo, organizzasse il Forum ambientale di Grenelle

Momento culminante: nel 2007, il premio Nobel per la Pace fu assegnato congiuntamente ad Al Gore e all’IPCC “per i loro sforzi volti ad aumentare la conoscenza dei cambiamenti climatici causati dall’uomo, e a gettare le basi per le misure necessarie a contrastare tali cambiamenti”.

Va ricordato che l’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) (Giec in francese ndt) è l’organismo ufficiale incaricato di diffondere la buona novella sul clima. La risoluzione ONU, che l’ha creato, esprimeva fin da subito “la preoccupazione che alcune attività umane possano modificare il clima globale, minacciando le generazioni presenti e future, con conseguenze economiche e sociali potenzialmente gravi” (43/53, 6 dicembre 1988). L’IPCC, burocrazia climatica con un mandato unilaterale, invoca un consenso che non solo è immaginario, ma perdipiù non ha nulla a che fare con il metodo scientifico.

 

Il paradiso climatico originale non è mai esistito

Se, grazie a una qualche tecnologia spazio-temporale, gli allarmisti di quindici o venti anni fa potessero interrogarci sulla situazione nel 2019, senza dubbio ci chiederebbero a che punto è la tanto temuta catastrofe climatica. La banchisa si è completamente sciolta, come aveva profetizzato Al Gore nel suo discorso di accettazione del premio Nobel? Quali nuovi uragani Katrina hanno seminato distruzione? In che misura gli sconvolgimenti climatici incidono sui rendimenti agricoli? Quanti abitanti sono stati evacuati dalle Maldive a causa dell’innalzamento delle acque? In breve: è confermato che la Terra sta diventando inabitabile?

Incalzato da queste domande, l’uomo del 2019, un po’ informato, alza le mani al cielo per placare le preoccupazioni del decennio precedente. Non è successo molto negli ultimi anni. Sì, ci sono state siccità, tempeste, ondate di calore e inondazioni. Il mondo è sempre stato così, come apprendiamo dalla “Storia del clima dall’anno Mille” (Histoire du climat depuis l’an mil) di Emmanuel Le Roy Ladurie . La Terra non è, e non è mai stata, un giardino dell’Eden. Il paradiso climatico originale non è che un mito. Non c’è uno squilibrio climatico, perché non c’è una “regola” climatica. La cosa migliore che si può fare quando piove? Aprire un ombrello, e non cercare di impedire alle gocce di cadere. Le osservazioni disponibili non indicano alcuna apocalisse imminente. A parte qualche variazione occasionale, la temperatura globale non aumenta più, o aumenta di poco, anche se le emissioni di gas-serra battono i record anno dopo anno. La correlazione tra temperatura e anidride carbonica si è interrotta. Ora sappiamo dai carotaggi nel ghiaccio che la correlazione ha funzionato nella direzione opposta: su scala secolare e millenaria, l’evoluzione della temperatura precede quella della CO2 di diverse centinaia di anni.

Oggi fa un po’ più caldo rispetto a cento anni fa, ma non è affatto catastrofico. Ci arrangiamo come sempre: dopo l’ondata di calore del 2003, le autorità pubbliche hanno attuato un piano nazionale per le ondate di calore, che svolge correttamente il suo ruolo quando il termometro sale un po’ troppo. Non c’è stata una recrudescenza dei cicloni o altri eventi estremi. Nel nostro vasto pianeta è un falso paradosso affermare che gli eventi eccezionali sono divenuti frequenti. Con la tecnologia moderna, dai satelliti agli smartphone, è facile vedere una tempesta da ogni angolazione, e ogni spettatore è in grado di condividerne l’immagine, in diretta o quasi, sui canali sociali. Questo non prova che le tempeste siano più numerose, o più violente che in passato. I cicloni possono essere più distruttivi, ma per cause esterne: cambiamento demografico, urbanizzazione incontrollata, scarsa preparazione.

La banchisa artica non si sta più riducendo e gli orsi polari continuano a prosperare. Il livello del mare sta ancora aumentando più o meno allo stesso ritmo modesto di un secolo fa, molto prima delle massicce emissioni di gas-serra. Le rese agricole non sono mai state così elevate, in particolare grazie alla maggiore quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, che favorisce la fotosintesi. Sempre grazie a questo gas, in poco più di trent’anni, la superficie verde del nostro pianeta ha guadagnato l’equivalente di 18 milioni di chilometri quadrati, ovvero ben più della superficie del Sahara. Non ne avete sentito parlare? Immaginate i titoli dei giornali se ci fosse stata una diminuzione! Per quanto riguarda la curva “a mazza da hockey”, è completamente scomparsa dai rapporti dell’IPCC sotto il fuoco delle critiche.

Quando la realtà smentisce i computer

La catastrofe climatica è quindi puramente virtuale. Non abita nel nostro mondo, bensì in quello dei modelli generali di circolazione che tentano di prevedere come sarà il clima nel 2050 o nel 2100. Il pessimismo degli ideatori di questi modelli ha sempre prodotto curve preoccupanti per il futuro, ma il graduale confronto con la realtà dimostra che la stragrande maggioranza dei modelli “surriscalda” la Terra. Docili per natura, i computer riflettono solo le inquietudini inserite negli algoritmi. La realtà si incarica di invalidarli. Se ci concentriamo su ciò che vediamo piuttosto che su ciò che prevediamo, il panico per la questione climatica risulta essere inversamente proporzionale alla realtà.

Con alcune sfumature, la fuga in avanti di alcuni scienziati e attivisti su questo tema è simile al fenomeno che lo psicosociologo Leon Festinger ha chiamato dissonanza cognitiva: quando fatti osservabili contraddicono una convinzione, il profeta di sventura non si mette in discussione ma al contrario sviluppa un discorso sempre più estremo e proselitistico. Gli slogan diventano gusci vuoti, accompagnati da insulti e minacce ai miscredenti, in questo caso definiti “trumpisti”, “criminali” o “negazionisti”. Facendo mostra della propria fede, ogni adepto rafforza quella degli altri. Non importa se il discorso perde ogni legame con la realtà, l’essenziale è la sopravvivenza del credo.

È logico che un discorso irrazionale porti ad azioni irrazionali. Ad esempio, se il clima fosse veramente “il problema del secolo”, allora ogni responsabile politico dovrebbe proclamare a gran voce che l’energia nucleare è la nostra ancora di salvezza. La tecnologia non è perfetta, ma si è dimostrata efficace, producendo per decenni elettricità affidabile ed economica che non emette CO2. Tuttavia, la legge sulla transizione energetica impone di ridurre la quota di energia nucleare in Francia, a favore di energie intermittenti, inaffidabili e molto costose, che non ridurranno in alcun modo le nostre emissioni, ponendo al contempo notevoli problemi ambientali. Chi sa, ad esempio, che non ci sono piani per gestire, al termine dell’uso, le centinaia di tonnellate di cemento che costituiscono la base di una singola turbina eolica?

Mentre è facile vedere gli eccessi di alcuni militanti della causa ambientale, potremmo essere più riluttanti a considerare fuorviati così tanti scienziati seri, onesti e in alcuni casi di alto livello. La storia della scienza, tuttavia, mostra che, dall’eugenetica al “razzismo scientifico” passando per l’affare Lysenko, gli scienziati sono lungi dall’essere meglio protetti dagli abusi intellettuali, quando è in gioco una certa idea di bene.

Pretendere di salvare il pianeta non riguarda la scienza, ma esprime il desiderio di esercitare un’autorità morale. È anche un modo per rassicurare se stessi con uno schema interpretativo semplice e universale. Un rapporto parlamentare del 1995 già notava, in un contesto in fondo non così diverso (la lotta contro le sette), “la difficoltà per alcuni scienziati di sostenere l’idea del dubbio e, di conseguenza, la loro attrazione per i movimenti che offrono spiegazioni globali“. Lo stesso rapporto lanciava anche un avvertimento, che dovrebbe comparire a caratteri cubitali in tutti i manuali scientifici: «Chi, più di un intellettuale, è sicuro di non essere manipolato? L’uomo della strada è diffidente, ma l’intellettuale pensa: “Non sono manipolabile”. La vulnerabilità delle élite risiede proprio nella certezza di non poter essere manipolate.»

Ma, vi chiederete, manipolate da chi e perché? Siamo sempre alla ricerca di una meccanica razionale dei comportamenti, anche invocando le azioni più improbabili. Qui è ancora più facile in quanto certi circoli intellettuali hanno più volte flirtato con il complotto, come quando il ricco e famoso Club di Roma scriveva nel 1993: “Il nemico comune dell’umanità è l’uomo. Alla ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, siamo arrivati alla conclusione che l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la mancanza d’acqua, le carestie e simili avrebbero funzionato.» È tuttavia improbabile che questi centri di pensiero, per quanto influenti in certi ambienti, abbiano potuto esercitare da soli un’influenza così profonda e duratura.

Niente di nuovo sotto il sole

Ogni azione genera una contro-reazione, per ogni Club di Roma dovrebbe esserci un think-tank con idee opposte per riequilibrare la situazione. Il fatto è che non è così, nemmeno negli ambienti che avrebbero interesse a farlo. Va tuttavia sottolineato che, secondo due sondaggi, il clamore mediatico non impedisce alla Francia di contare circa un terzo di “climato-realisti”. Questo suggerisce piuttosto che l’unica cospirazione che vale la pena indagare è lo spirito dei tempi tra gli opinionisti.

Lo studio ragionato del grande movimento collettivo irrazionale sul clima occuperà certamente storici, sociologi ed epistemologi per decenni. Ma la sintesi del loro lavoro sarà senza dubbio assai semplice: vogliamo che la fine del mondo si avvicini. Vogliamo organizzare il nostro pensiero in modo binario. Vogliamo che ci siano dei cattivi. E come già sapeva Giulio Cesare, “gli uomini credono facilmente a ciò che desiderano”. In fondo, il clima è come la natura umana: non c’è niente di nuovo sotto il sole.

 

benoit_rittaudBenoit Rittaud matematico, presidente dell’Associazione dei “climato-realisti” o realisti climatici (https://www.climato-realistes.fr/), primo firmatario per la Francia del manifesto “There is no climate emergency”

 

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Scelto e tradotto da Alceste de Ambris  per ComeDonChisciotte

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