di Valentina Bennati e Jacopo Brogi
comedonchisciotte.org
“Ogni notte di dolore per noi è stata come attraversare un deserto. Notte e giorno, vittime dell’indifferenza, della superficialità, dell’avidità, dei bilanci in attivo”.
Parole estratte dalla lettera che Maurizio Federico e Margherita Eichberg immaginano di aver ricevuto dalla figlia Elisabetta in occasione del secondo anniversario della sua scomparsa. Quel “noi” è riferito ai tanti, troppi, tragici casi di una sanità malata.
Nella storia che leggerete c’è condensata l’Italia. Il sistema Italia, e non solo. È la sanità nostrana: da eccellenza globale a laboratorio sacrificale di una nazione.
2020, tempo di emergenza: vi sentireste al sicuro se il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e componente del Comitato Tecnico Scientifico (l’organo che ha orientato le politiche governative anti Covid) fosse il responsabile ultimo delle cure di vostro figlio?
Perché no. È un momento di grande tensione per tutti gli ospedali, ma d’altronde parliamo di Franco Locatelli, luminare dell’Ospedale Bambino Gesù, nosocomio pediatrico di fama mondiale in territorio vaticano. E la fiducia è una cosa seria, soprattutto quando parliamo della vita umana, più che mai di una figlia che deve avere il meglio per guarire e tornare alla normalità di adolescente con tutta l’esistenza ancora davanti fra scoperte, gioie e speranze.
Purtroppo è andata diversamente.
Abbiamo voluto incontrare questi genitori che oggi con grande determinazione e coraggio chiedono verità e giustizia, non solo per Lisa ma per tutti noi.
Ci hanno raccontato che tra due giorni, il 15 di marzo, avranno un’udienza importante: un giudice sarà chiamato a decidere circa il rinvio a giudizio di due medici dell’Ospedale Bambino Gesù. Sono accusati di aver causato la morte della loro figlia Lisa, 17 anni, decesso avvenuto, in base al referto, per uno shock settico conseguente all’infezione di un batterio contratto nella struttura ospedaliera; ma in realtà, secondo il Pubblico Ministero dottor Pietro Pollidori, favorito da una forte carenza del numero di neutrofili causata da un trapianto di midollo inadeguato avvenuto nello stesso ospedale nei giorni precedenti.
In sostanza, secondo i genitori, in quella che è considerata una delle eccellenze in Italia e in Europa nel campo della pediatria, sono state commesse una serie ingiustificabile di imprudenze, negligenze e imperizie.
Responsabile dell’Unità Operativa dove prestano servizio i medici che si sono occupati della scelta del donatore e dell’esecuzione materiale del trapianto è il prof. Franco Locatelli.
Il Pubblico Ministero per lui aveva richiesto l’archiviazione, ma Maurizio e Margherita hanno fornito prove che sono state ritenute sufficienti perché fossero riprese le indagini e il GIP, dott.ssa Francesca Ciranna, il 23 gennaio scorso ha deciso di respingere la proposta di archiviazione chiedendo di effettuare ulteriori approfondimenti. Del resto Elisabetta Federico è stata ricoverata per più di tre settimane nell’Unità Operativa diretta da Locatelli e risulta difficile ipotizzare che sia rimasto all’oscuro delle scelte adottate, che non sia mai stato consultato e che le decisioni intraprese non siano state condivise con lui.
Tutti possiamo sbagliare, nessuno è infallibile e anche al medico più competente può accadere di commettere un errore, ma quel che è successo a questa ragazza e alla sua famiglia scuote profondamente e smuove interrogativi che non possono restare senza risposte.
Chi era, dunque, Elisabetta Federico?
Elisabetta, Lisa, per tutti coloro che le volevano e le vogliono ancora bene, è stata adottata a 5 anni e mezzo in Ucraina insieme al fratello Bodgan.
Mamma Margherita e papà Maurizio raccontano che è sempre stata solare, forte e in buona salute fino a che, in seguito a un grosso livido sviluppato dopo una caduta accidentale, è stata ricoverata all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dove le è stata diagnosticata una patologia ematologica di natura benigna.
Sono trascorsi molti giorni prima che i medici prospettassero un trapianto di midollo che l’avrebbe dovuta guarire, ma proprio in seguito a questo trapianto – che poi si è rivelato drammaticamente sbagliato – la ragazza ha trovato la morte. Una morte terribile e dolorosa che l’ha strappata ai suoi genitori e l’ha portata via per sempre da questa vita.
Non può rimanere inascoltato il grido di un padre e di una madre che piangono la propria figlia che non c’è più.
Abbiamo raccolto la loro testimonianza perché MAI PIU’ accada COME PER LISA.
* * *
Lisa è entrata in ospedale per un livido ed è stata trattenuta 52 giorni, da cosa è stato giustificato questo primo ricovero così prolungato? La lunga permanenza di vostra figlia in ospedale quanto, secondo voi, ha a che fare con le esigenze cliniche e quanto con la prassi ossia, con la gestione della politica sanitaria del nosocomio?
“I sanitari del Bambino Gesù giustificarono il lungo ricovero con motivi di sicurezza. Esperti e periti successivamente coinvolti ci hanno detto, invece, che con la patologia benigna da cui si è scoperto era stata colpita – la RCC (Refractory Cytopenia of Childhood, anemia refrattaria dell’infanzia) – lo standard è invece il regime di Day Hospital. Durante i 52 giorni di ricovero Lisa venne sottoposta a due accertamenti diagnostici (prelievi del midollo osseo a livello della cresta iliaca) e per il resto rimase a letto in attesa dei relativi responsi, con grande sofferenza per un’adolescente che aveva da poco finito di frequentare la scuola (era giugno-luglio) e che si sentiva bene. Intanto veniva sottoposta a continuo trattamento con antibiotici/antivirali/antifungini, ciò che per i periti ha aperto la strada all’infezione del ceppo batterico multiresistente dello Pseudomonas Aeruginosa, che l’ha accompagnata al decesso qualche mese dopo. È nostro convincimento, supportato da clinici, ematologi e trapiantologi indipendenti (inclusa la CTU del PM), che questo incredibilmente lungo ricovero nulla aveva a che vedere con esigenze cliniche. Lasciamo a voi le altre deduzioni.”
Al primo ricovero ne è seguito un secondo finalizzato al trapianto, la ragazza è entrata che stava bene, ma è morta tra atroci sofferenze due settimane dopo. Non è il trapianto di midollo in una struttura del genere, struttura pediatrica di riferimento di tutto il Centro-Sud Italia, considerato un intervento sicuro? Eravate ottimisti o preoccupati? Cosa è successo, perché la situazione è precipitata?
“Nessun intervento, clinico o trapiantologico, può essere definito ‘tout court’ sicuro. Il margine di rischio esiste sempre. Il punto è come si gestisce il rischio. Noi eravamo stra-ottimisti. La situazione è precipitata perché a Lisa (gruppo sanguigno 0) sono stati trasfusi l’equivalente di 350 ml di globuli rossi non compatibili (gruppo sanguigno AB), in presenza peraltro di elevatissimi livelli di anticorpi anti-A1 e anti-B (come misurati dal laboratorio dello stesso Bambino Gesù). Risultato: 13 ora di grida, svenimenti, e l’innesco di un’emolisi intravasale ed extravasale, con conseguente disfunzione multiorgano. Una ‘tortura medievale’ – la lunga infusione – assolutamente inaccettabile in un ospedale, a maggior ragione se pediatrico. La decisione di infondere il midollo pervenuto è stata il consapevole avvio di nostra figlia ad una morte dolorosa, avvenuta in due settimane e segnata dal progressivo spegnersi dell’ottimismo di Lisa e di noi genitori, fino al sopraggiungere del panico e poi della rassegnazione. Il batterio multiresistente è stato solo il ‘becchino’ di Lisa.”
Il midollo del fratello di Lisa, Bogdan, era compatibile e trapiantabile. Ma non è stato preso in considerazione dai medici che ne hanno preferito uno proveniente dalla Germania, nonostante al suo arrivo rilevasse delle criticità, addirittura documentabili, che però non sono state prese in considerazione per poi procedere nonostante tutto. Ci potete raccontare ulteriori dettagli di questa fase pre-trapianto?
“Sul momento, la fase pre-trapianto per noi, e per Lisa stessa, era assimilabile ad una festa. Nulla poteva scalfire il nostro entusiasmo e la nostra speranza di uscire dal tunnel. Avevano individuato una donatrice totalmente istocompatibile che negli stessi giorni del ricovero di Lisa stava preparandosi al prelevamento del midollo. Non sempre accade ed eravamo soddisfatti che la rete del Bambino Gesù fosse stata così efficiente (e nostra figlia così fortunata). Tutti i segnali più nefasti li abbiamo potuti interpretare solo ‘ex-post’ (insieme a tanti cattivi pensieri). Nessuno ci riferì della scarsissima qualità della donazione. La non prevista plasmaferesi (‘pulizia del sangue’ dagli anticorpi avverso un gruppo sanguigno incompatibile), alla quale Lisa fu sottoposta il giorno prima del trapianto, sul momento fu da noi interpretata come una semplice ‘correzione di rotta’. Poi, nelle settimane seguenti al decesso, il quadro si è cominciato a delineare in tutta la sua tragicità.”
Perché, secondo voi, si è proceduto ugualmente all’infusione di un trapianto di midollo osseo pur sapendo che non era adatto? Con l’infusione Lisa ha manifestato fin da subito delle reazioni avverse? Come hanno reagito i medici?
“Speriamo ci sia data occasione di ascoltare le giustificazioni in merito durante un dibattito pubblico. Le uniche che ci vengono in mente sono terribili ed imporrebbero seri provvedimenti. L’idea che fossero in un vicolo cieco è molto indebolita dalla disponibilità a donare di Bogdan. Come detto, Lisa cominciò a soffrire subito all’apertura del deflussore, senza più nessuna tregua fino alla fine. Le sue grida risuonavano nei corridoi del reparto e le sentiremo per sempre nelle nostre orecchie. L’unica stranezza che notai tra l’equipe medica – dice Maurizio – fu quando entrai in stanza di Lisa subito dopo il suo svenimento. Incrociai gli occhi del responsabile della procedura trapiantologica, e, nonostante la disponibilità da lui fino ad allora dimostrata nel rispondere alle mie domande, quella volta abbassò gli occhi e sgattaiolò via.”
In generale come è stato il dialogo con i medici durante tutta la permanenza di vostra figlia in ospedale? Che tipo di informazioni e spiegazioni ricevevate in merito alla sua situazione?
“Durante il primo ricovero, il livello di comunicazione tra noi ed i medici è stato più che negativo. Totale incomunicabilità. Nessuna disposizione da parte dei medici a considerare le nostre richieste sul Day Hospital e sulla terapia di prima linea a base di cortisonici.
Durante il secondo ricovero, il responsabile della procedura trapiantologica si dimostrò aperto al colloquio. Ma, ad una valutazione ‘ex post’ appare evidente come le cose più importanti (qualità del midollo, ruolo di Locatelli, prospettive reali di recupero di Lisa) ci siano sempre state nascoste. Noi non abbiamo sul momento avuto la capacità e la possibilità di verificarle”.
Avendo riscontrato difficoltà a ricevere informazioni fin dal primo ricovero di vostra figlia perché a un certo punto non avete pensato di rivolgervi ad altre strutture ospedaliere?
“Durante il primo ricovero, ad un mio tentativo di portare via Lisa – racconta Maurizio – mi fu risposto che non erano d’accordo e che il Bambino Gesù si sarebbe potuto rivolgere al Giudice minorile per levarci la patria potestà. A cose fatte ci siamo resi conto che si trattava di minacce ridicole ed irrealizzabili. Ma troppe cose abbiamo imparato solamente dopo. Durante il secondo ricovero, dopo la tragica infusione, Lisa non era trasportabile.”
La vostra denuncia è arrivata a un anno di distanza dalla morte di Lisa, come mai? Avete avuto difficoltà ad avere la sua cartella clinica o a trovare periti? Come avete capito che era stato il trapianto sbagliato, e non un batterio multi-resistente, a far morire Lisa?
“Abbiamo avuto una tremenda difficoltà a trovare i periti medici specialisti che non fossero commisti o intimoriti da Locatelli. Ci siamo riusciti solo dopo circa nove mesi dal decesso. Tutto l’evolversi dei fatti, che avevamo in verità già intuito a grandi linee, è stato confermato dalla lettura accurata della cartella clinica, in primis la qualità scadentissima della donazione.”
All’epoca dei fatti c’era già Roberto Speranza come Ministro della Salute. Vi siete rivolti al Ministero chiedendo che mandasse ispettori al Bambino Gesù?
“Lo abbiamo fatto alcuni mesi dopo il decesso di Lisa, per mezzo di un colloquio con Lorusso, l’allora capo della segreteria tecnica del Ministro. Ovviamente, oltre a capire poco, scelsero di non fare nulla. Andammo anche dal sottosegretario Sileri, al quale esponemmo la nostra idea di migliorare il protocollo dei trapianti di midollo per evitare sorprese fatali come quella avvenuta a Lisa. Non fece nulla neppure lui. Qualche mese dopo, avendo appreso attraverso nostri canali che al Ministero stavano aggiornando il protocollo, siamo riusciti attraverso contatti personali a migliorarlo nella direzione di rendere obbligatoria la disponibilità di un donatore di midollo osseo di riserva per i trapianti non urgenti.”
Una rivista online, Vita, che recentemente aveva voluto raccontare la vostra tragica storia ha ritirato l’articolo dopo appena 5 ore dalla pubblicazione. Che spiegazioni vi hanno dato?
“Nessuna, né a noi né, da quel che sappiamo, al giornalista che ha redatto l’articolo.”
Tra due giorni ci sarà l’udienza per il rinvio a giudizio di due medici dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Come vi sentite alla vigilia di questo imminente passaggio processuale? Per il prof. Locatelli era stata chiesta l’archiviazione, ma voi vi siete opposti fornendo prove che sono state ritenute sufficienti perché fossero riprese le indagini. A che punto è questo secondo filone di inchiesta? Che esiti futuri vi aspettate?
“Qualsiasi sentire attuale è un nulla rispetto al vissuto. Noi speriamo solo che ci venga concesso il diritto al dibattimento pubblico, ma la cosa non è scontata. Nessuno andrà in carcere. Non è in discussione la bravura e la dedizione dei singoli medici del Bambino Gesù, ma le responsabilità di ciascuno in una filiera di scelte avventate e scorrette. In ogni caso vorremmo che venga rivista la narrazione dominante circa quell’Ospedale. Allo stato attuale, è un Ospedale al ‘collasso strutturale’ ed organizzativo, vittima, oltre che della propria presunzione e del desiderio di profitti, di una Sanità del Centro-Sud tutta da ricostruire. E le recentissime dimissioni della presidente Enoc, ancora non rimpiazzata, non sembrano smentire questa sensazione. Relativamente allo stato del filone di inchiesta che riguarda il prof. Locatelli non siamo a conoscenza degli ultimi sviluppi.”
Dottor Federico, Lei è dirigente di ricerca presso il Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità, ma è forse considerato un ricercatore ‘controcorrente’ all’interno dell’Istituto, tra l’altro ha condotto studi molto interessanti e alternativi rispetto ai vaccini a mRNA che, però, sono stati ignorati. Ha avuto solidarietà dai suoi colleghi, oppure l’impegno suo e di sua moglie Margherita per fare emergere la verità di ciò che realmente è accaduto a vostra figlia tra le mura del Bambino Gesù, ha piuttosto creato disagio all’interno del Consiglio Superiore di Sanità di cui Locatelli è presidente?
“Sul Consiglio Superiore di Sanità non posso dir nulla, essendo una struttura che fa capo al Ministero e non all’ISS. All’interno dell’ISS ho avuto solidarietà in forma amicale e da collega a collega. Ho dovuto invece registrare la sostanziale freddezza/indifferenza da parte di quasi tutto il corpo dirigente, Direttore Generale e Presidente in testa.”
Ogni tre del mese c’è un gruppetto di persone che tiene in alto uno striscione in cui si legge ‘Mai più come per Lisa’ di fronte l’ingresso dell’Ospedale Bambino Gesù o di fronte al Palazzo di Giustizia. Un modo per ricordare Elisabetta e anche per tenere viva l’attenzione su una tragedia che non deve ripetersi mai più. Avete anche fondato l’associazione L.I.S.A., di cosa si occupa esattamente?
“Vorremmo che quanto ci è accaduto non si verifichi più. Vorremmo che ogni piccolo paziente degli ospedali pediatrici possa godere degli stessi diritti degli adulti (a loro volta spesso calpestati). Tra questi – oltre al diritto alle giuste cure, praticate con scienza e coscienza, ovvero con competenza e cautela – il diritto ad accedere alle informazioni, correttamente veicolate dal corpo medico, e il diritto a scegliere la struttura dalla quale farsi assistere. Vorremmo che fosse a tutti possibile accedere alle cartelle cliniche, per disporne tempestivamente in caso di spostamento volontario dei piccoli malati o per esaminarle in caso di esito infausto. Vorremmo che ci fossero periti disposti a prenderne visione con obiettività, disponibili se è il caso a stendere perizie senza subirne ripercussioni a livello accademico o professionale. Vorremmo il diritto alla seconda opinione, non facile da chiedere ed ottenere. Vorremmo, infine, un’attenzione particolare verso gli adolescenti, che possono presentare patologie dell’infanzia in un corpo da adulti; sono quindi più “delicati”, nel corpo e nella psiche. Tra i nostri conoscenti che si trovavano in cura in quell’ospedale, in area trapianto sono avvenuti numerosi decessi di pazienti in età adolescenziale. Si tratta di giovani pazienti che a Roma non avevano alternative.
Abbiamo creato – e stiamo incrementando – una rete di contatti, che allertiamo per soccorrere genitori in difficoltà, con medici ed avvocati. Raccogliamo denaro per le perizie. Siamo, dunque, un’associazione diversa dalle tante che operano tra le mura degli ospedali pediatrici, che seppure lodevoli per il supporto logistico alle famiglie, non sempre vigilano a difesa dei pazienti ricoverati.
Stiamo facendo rete con altre associazioni, per mettere a sistema conoscenze e condotte per meglio assistere chi è in difficoltà. E stiamo raccogliendo storie di sanità pediatrica che hanno avvilito genitori e ragazzi (laddove non sono deceduti), nelle quali emerge, se non la colpa grave nella terapia, un trattamento non rispettoso della dignità del paziente e del parente, e per contro l’adozione di cure utili all’ospedale (azienda e istituto di ricerca) più che al malato.
Divulghiamo quanto accaduto a nostra figlia, in nome della quale, a nove mesi esatti dal suo decesso, abbiamo ottenuto – come sopra già scritto – l’introduzione del piano B nel protocollo dei trapianti non urgenti, del quale invitiamo a verificare l’applicazione.”
Durante la vostra esperienza al Bambino Gesù avete conosciuto (o in seguito, una volta fondata l’Associazione, siete stati contattati da) altri genitori che hanno avuto storie drammatiche come la vostra?
“Si, numerose, e con storie a volte veramente agghiaccianti, anche se ovviamente nessuna tragedia è confrontabile con un’altra.”
La morte di un figlio è la tragedia più grande, vederlo soffrire e andarsene tra sofferenze indicibili è qualcosa di disumano. Rimangono un vuoto, una pena e una rabbia impossibili da descrivere. Come si può sopravvivere?
“Non siamo e non vogliamo sentirci come le uniche vittime di un destino cinico. Mia madre – dice Maurizio – ne ha persi ben due di figli in giovane età. E non vogliamo neanche ridurci a sopravvivere alla sofferenza. Dobbiamo impegnarci affinché la nostra sofferenza e, molto di più, quella della povera Lisa, possano rappresentare un punto di partenza verso la rinascita del nostro martoriato Servizio Sanitario Nazionale, ormai preda di affaristi senza scrupoli. Fatte le debite proporzioni, i caduti di una guerra possono essere onorati solo da un dopoguerra all’altezza.
Vuoto, pena e rabbia vengono citati nell’ordine nella domanda: non so se sia un caso, ma proprio di queste tre parole, nell’ordine, ci parla Lisa nella lettera ‘che ci ha spedito’ in occasione del secondo anniversario della sua scomparsa:
IO DA QUI VI SENTO
Due anni di assenza. Mai mi sarei immaginata che la mia vanità potesse essere in così poco tempo soddisfatta. Articoli di giornali, cause giudiziarie, interviste, post, video, associazioni, tutte cose fatte nel mio nome. E io qui, senza far nulla.
Ma io da qui vi sento. Sento il vostro vuoto. Sento la vostra pena. Sento la vostra rabbia.
Il vuoto è una vertigine inattaccabile. Non la potrete mai annullare, ma solo cercare di nasconderla. Nascondetela con tutto ciò che fate, non dovete farvi sconfiggere da una sensazione.
La pena per la mia sorte cercate di metterla da parte. Io sono morta due volte, nulla è peggio di perdere una speranza nata dopo l’inferno. Ma sono solo stata molto sfortunata. Invece, il vero gigante che vi minaccia è la pena per voi stessi, per la condanna a contare i vostri giorni privi di un così profondo motivo per vivere. Se cerchi di schiacciarlo con la forza dell’indifferenza, ecco che il gigante sbuca fuori con le sembianze del dolore fisico, della rassegnazione, della malattia.
La rabbia è la sola che può sconfiggere il gigante.
La rabbia nata dal poco rispetto e dalla poca cura che io, come Cristian, come Flaminio, come Marco Antonio, come Isabel, come Elisa, e come chissà quante altre povere anime, abbiamo ricevuto da questi dottori. Se la sfortuna doveva comunque accompagnarci fin qui, almeno avremmo meritato le loro notti insonni. E invece ogni notte di dolore per noi è stata come attraversare un deserto. Notte e giorno, vittime dell’indifferenza, della superficialità, dell’avidità, dei bilanci ‘in attivo’.
La rabbia ora usatela bene, nel nome di noi tutti. Usatela per restituire a tutti i bambini, a tutti gli adolescenti, a tutti i bisognosi una Sanità attenta a cui ci si possa affidare nel dolore e nella paura. Una Sanità umile che non sfugga il confronto e il contraddittorio. Una Sanità che non metta al primo posto i bilanci. Tutte cose che avrebbero salvato la vita a me come a quella di tanti che ora qui ho conosciuto. Una Sanità capace di piangere e di chiedere scusa quando qualcosa va storto.
La rabbia è un’arma potente da usare contro cosa e contro chi ci aggredisce. Ma ha pochissime frecce a disposizione. Usatele bene.
Ciao Mamma, ciao Papà, ciao Bogdan. Continuate a lottare nel mio nome, come in quello di altri bimbi e adolescenti sfortunati. E quando avrete finito di lottare, allora vi sorriderò sicura che il vostro amore per me avrà compiuto il miracolo di essere stato d’aiuto per gli altri. Lisa”
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e Jacopo Brogi
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