Di Davide Amerio per ComeDonChisciotte.org
Come da copione – italico, – si aprono subito gli schieramenti opposti tra chi difende la Polizia (senza se e senza ma) e coloro che dipingono sulle pareti dell’immaginario collettivo l’acronimo A.C.A.B. (All Cops Are Bastard).
La questione non è accusare i preposti all’ordine pubblico di essere tutti colpevoli. Il punto è verificare se queste forze preposte a mettere in atto il principio dell’uso esclusivo della forza che il popolo – in quanto sovrano,- demanda loro, sia esercitato con cognizione di causa oppure con eccessi o con abusi.
Questo riguarda sia le FfdOo in sé (di ciò che viene tollerato al loro interno, del loro addestramento), sia della catena di comando (dall’ufficiale al politico) che concretizza l’autorizzazione all’uso della forza pubblica.
I casi, esecrabili e drammatici, del G8 di Genova, di Cucchi e Aldorovanti, ma soprattutto quelli sempre più frequenti contro studenti, lavoratori, “no-vax”, No Tav, Autonomi (Antagonisti) e tutti coloro i quali manifestano un dissenso rispetto alle linee della narrazione ufficiale del potere, denotano una deriva lampante verso un sistema intollerante nei confronti di qualsiasi pensiero alternativo.
Alcuni intellettuali, seppur dissidenti, ritengono che il pericolo di un “nuovo” Fascismo non esista; anzi considerano la contrapposizione tra destra e sinistra, fascismo e anti-fascismo, una creazione utile a mantenere vive quelle lotte orizzontali antagoniste tra pari (nel popolo), evitando il maturare della necessaria coscienza delle lotte verticali necessarie: tra il popolo e i reali detentori del potere.
In questo c’è assolutamente del vero! Ma non esclude che forme di repressione, di chiaro sapore fascista, siano esercitate da detentori di cariche pubbliche (che a quel modello politico si richiamano). Se non esiste il rischio della ricostituzione di un partito fascista, ciò non esclude che Fascisti alberghino ancora tra di noi e, per nostra disgrazia, esercitino anche poteri pubblici.
Sarebbe troppo facile additare l’attuale governo, composto in buona parte dai nipoti e pro-nipoti di quella esperienza storica del ventennio come i soli responsabili della situazione. Certamente non saranno loro a riconoscere queste forme repressive. Il punto è che da diversi anni, progressivamente, e in modo silente, quasi tutta la politica, di destra, centro e sinistra, si è adeguata al principio di intolleranza verso il dissenso.
Dalla pandemia Covid (con menzogne, arbitri, e falsità correlate), alla guerra in Ucraina, per giungere a quella di Gaza, il pensiero difforme dalla narrazione ufficiale, viene delegittimato con ferocia inaudita e impropria per uno Stato Liberale e Democratico. Anche quando – e forse soprattutto,- le tesi delle minoranza riflettono il pensiero della maggioranza nel paese, avversa agli indecenti atteggiamenti di sudditanza verso poteri esterni (UE, USA, NATO).
Il Diritto al Dissenso, la difesa delle Minoranze, assumo così una connotazione di “eccezione” della vita democratica: una “concessione” benevola dello Stato, il quale si riserva di decidere quale dissenso può essere ammesso e quale no. Per convincere la popolazione della legittimità di questo distorto principio si pratica la delegittimazione “morale” dei dissidenti. Per esempio, il rifiuto di violare la propria integrità fisica con vaccini sperimentali, si trasforma nella condanna riservata agli “untori” colpevoli di diffondere la “peste” – di manzoniana memoria, – contro ogni evidenza scientifica.
Le manifestazioni per ribadire il valore dell’art 11 della Costituzione Italiana (“l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa…”), e la richiesta popolare di risolvere i conflitti con le mediazioni e non con la vendita di armi e sanzioni inutili, diventano assembramenti di fanatici putiniani o antisemiti.
Le proteste di chi vede, con la lungimiranza necessaria, lo spreco di denaro pubblico, e le devastazioni ambientali, di faraoniche iniziative di “Grandi Opere” non necessarie, di cui traggono vantaggi solamente i promotori, si trasformano in contestazioni di individui antimoderni e antiprogresso.
Docenti, ricercatori, intellettuali, che osino mettere in discussione la trama del racconto a reti (e testate giornalistiche) unificate, si ritrovano invitati in trasmissioni televisive, di finto approfondimento, nel quale li attende un “plotone di esecuzione” che priva loro della parola e della continuità del discorso.
Il Diritto al dissenso, e la difesa delle minoranza, non è una concessione benevola dello Stato o del potere politico votato dalla “maggioranza”: maggioranza politica di cui è ben lecito dubitare in quanto le continue riforme elettorali finiscono per regalare maggioranze numeriche parlamentari a forze politiche minoritarie nel paese (considerando anche l’astensione).
La garanzia della difesa delle minoranza è il “sale” della Democrazia, la cui principale preoccupazione è quella di creare agevoli condizioni di alternanza, nella gestione del potere, in modo pacifico, anziché violento. La nostra Costituzione garantisce i diritti delle minoranze. Altre Costituzioni (anche europee) garantiscono addirittura il diritto all’opposizione “dura” per sovvertire il potere che non agisce nell’interesse dei cittadini [1].
Il confronto libero e democratico consente due condizioni socialmente importanti: scoprire di avere una opinione/conoscenza errata di determinate questioni, e quindi correggere la propria conoscenza, oppure rafforzare le proprie convinzioni dopo aver validato le proprie tesi a confronto di quelle degli altri [2].
Per dirimere la questione sarebbe necessaria l’azione di un “quarto” potere indipendente – l’informazione, – che ponga il potere (e i suoi artefici) di fronte alle loro responsabilità e mancanze. Ma sappiamo bene, per esperienza consolidata, come l’80% (90?) del sistema mediatico appartenga proprio a quei poteri politici, e non, che dovrebbero essere oggetto della critica e della messa in osservazione dei loro comportamenti [3].
Il corto circuito che così si crea diventa pericoloso per la sopravvivenza della stessa Democrazia Liberale. La palese violazione dei sei “Universali Procedurali” su cui si fonda [4] è evidente. Sarà sufficiente porre qui un breve riepilogo di essi affinché ciascuno possa agevolmente riconoscere il “tradimento” politico perpetrato sulla pelle dei cittadini:
1) tutti i cittadini che abbiano raggiunto la maggiore età senza distinzione di razza, di religione, di condizione economica, di sesso, debbono godere dei diritti politici, cioè ciascuno deve godere del
diritto di esprimere la propria opinione o di scegliere chi la esprima per lui
[ndr principio di eguaglianza e inclusività]
2) il voto di tutti i cittadini deve avere peso eguale
[ndr principio di equipollenza]
3) tutti coloro che godono dei diritti politici debbono essere liberi di poter votare secondo la propria opinione formatasi quanto è più possibile liberamente cioè in una libera gara tra gruppi politici organizzati in concorrenza fra loro
[ndr principio di pluralismo dell’informazione]
4) debbono essere liberi anche nel senso che debbono essere posti in condizione di scegliere tra
soluzioni diverse, cioè tra partiti che abbiano programmi diversi e alternativi
[ndr principio di pluralismo politico]
5) sia per le elezioni, sia per le decisioni collettive, deve valere la regola della maggioranza numerica, nel senso che si consideri eletto il candidato o si consideri valida la decisione, che
ottiene il maggior numero di voti
[ndr principio di efficienza]
6) nessuna decisione presa a maggioranza deve limitare i diritti della minoranza, particolarmente il diritto di diventare a sua volta maggioranza a parità di condizioni
[ndr principio di salvaguardia della minoranza]
Di Davide Amerio per ComeDonChisciotte.org
01.03.2024
NOTE
[1] Ugo Mattei – Il Diritto di essere Contro
[2] John Stuart Mill – Saggio sulla Libertà
[3] Marco Travaglio – La scomparsa dei Fatti
[4] Norberto Bobbio – Teoria generale della Politica (Il futuro della Democrazia)