L’urlo e la preghiera

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di Luca Cerardi

lucacerardi.wordpress.com

 

Per un filosofo e uno storico parlare di preghiera non è una cosa semplice come potrebbe essere per un teologo o per un credente a meno che, non si abbia Fede. Di solito ci si estrania dai vari credo cercando l’obiettività che, per quanto di impossibile realizzazione, si sviluppa all’interno del rigore metodologico e dello studio delle fonti oltre che sull’analisi di testi, esperienze, del proprio sé, in connessione con ciò che è la vita, intesa come Tutto, come unità della diversità. Si può disquisire sugli atti umani, su ciò che accadde, sulla storicità di alcuni fatti o meno, studiare la metafisica, confrontarla con la teologia, appassionarsi di fisica, di astronomia oltre che di biologia o botanica alla ricerca di risposte alle grandi domande. Tutto rimane nell’alveo dello studio e del necessario distacco tipico di qualsiasi scienza che recupera dati, li scambia con i propri colleghi e cerca di dedurre, definire, prevedere, scoprire, qualcosa che abbia come scopo una conoscenza scevra da interessi e con l’essere umano pensato come fine di questo processo e non come mezzo.

Questo momento storico, però, dove ormai il famoso uno più uno può dare come risultato ciò che si vuole, periodo ormai di evidente cambiamento forzato, di censura, di poteri sovranazionali, di mercificazione dell’individuo, di ridefinizione genetica, di persone corrotte e uomini massa, ci obbliga a pensieri ed azioni differenti frutto di una sensazione di impotenza aumentata esponenzialmente dalla demenza e dalla illogicità del pensiero comune. Il che vuol dire tornare indietro di cent’anni, [1] all’epoca oscura del positivismo scientista, del nazifascismo e del comunismo, dove la propaganda e il ribaltamento del senso diventò religione di Stato e dove l’uomo di tutti i giorni per interesse, per salire sul carro del vincitore, per ottenere un minimo di potere (simulacro di un riconoscimento fasullo) e per vendicare le proprie frustrazioni, ottenne l’illusione di essere al comando. E’ in questi momenti di follia assoluta che si sente la mancanza dell’arrivo della famosa “cavalleria”, incarnata da un gruppo di uomini che abbiano forza, carisma e che sappiano unire le forze umane resistenti, poiché il sentore è che lo scontro non sia solo terreno, bensì trascendente, coinvolgente tutti, tanto da necessitare il ricorso a forze interiori fino ad ora mai messe in campo. E così, in un momento in cui per la prima volta in duemila anni la Chiesa si sottomette a “qualcuno” o smaschera la sua vera natura di “comune altro potere”, svende la sua storia di “Bene” e si accoda alla lista infinita di ricchi, potenti e politici che improvvisamente bramano di aiutare tutto il mondo così “malato”, c’è bisogno di una vera preghiera per chi si sente Cristiano ma anche per chi, fino ad ora, non ha mai optato per l’atto di fede ma si è sempre rivolto ad una forza superiore, quella del “senso” di cui Hannah Arendt parlava come filosofa dell’esistenza, con cui l’uomo, protagonista terreno, è chiamato a confrontarsi. [2]

Assieme ad essa si sente il bisogno di un urlo, che rappresenti l’orgoglio e la forza della Ragione che è unicità umana, consapevole della caducità della vita ma della meraviglia della stessa. Un urlo di forza, quindi, di determinazione, di rivendicazione del ruolo della cultura, dell’Intelletto, della scienza che dialoga e confronta, di un’apertura al trascendente che sia confronto con l’esperienza mondana ma anche di orgoglio della propria provenienza europea, culla della Democrazia, della Repubblica, della Tradizione cristiana, dell’arte, della musica, della bellezza, che non sia solo quella fatta di nefandezze perpetrate dai soliti noti che da secoli, traditori e venduti, hanno attaccato e stanno attaccando anche oggi tutto ciò che è eredità culturale – spirituale del Continente.

Per questo rievoco due personaggi e un gruppo di uomini che permisero di mantenere in piedi la civiltà europea, per trarre dal loro vigore l’energia che serve per lottare e combattere in tempi oscuri.

Don Giovanni d’Austria il 7 ottobre del 1571 capitanò e guidò l’ammiraglia che a Lepanto affrontò i nemici in una delle più grandi battaglie navali che si ricordi. Affiancato dalle galee veneziane comandate da Sebastiano Venier, si scontrò contro coloro che al tempo rappresentavano una minaccia per la civiltà cristiana occidentale, gli Ottomani. Ciò che va ricordato non è tanto il confronto con Alì Pascià ma il modo in cui Don Giovanni affrontò il sommo momento della battaglia campale e il nemico che attentava alla sua millenaria storia. Egli spedì, contro le regole di ingaggio, la sua ammiraglia verso quella dell’avversario e poco prima che i legni si scontrassero, sul ponte della nave, assieme a suoi due amici, si mise, in attesa dello squarcio di prua, a ballare la “Gagliarda” al suon dei pifferi. A pochi minuti dal momento decisivo, nel silenzio fatto di tensione, di preghiera, in cui il tempo si fermò e diventò denso di istanti e pensieri in attesa del compimento del destino di migliaia di uomini e di due “mondi”, venne intonata una canzone erotica e rinvigorente di fronte al rischio della morte imminente. Atterriti dalla scena, i turchi, sorpresi, si impaurirono e reagirono scomposti. A nulla valse l’inizio della battaglia e il rumore della guerra; Don Giovanni continuò a ballare in mezzo al fuoco nemico, a testa alta, fermo e deciso. [3] Il suo gesto, in quel momento, contribuì alla vittoria e alla sua leggenda immortale al di là di chi fosse prima e dopo lo scontro. Lo spirito di Don Giovanni è ciò di cui oggi abbiamo bisogno, tornare ad essere consapevoli della vita che scorre in mezzo ad un mare impetuoso e spesso in burrasca, dove i nemici sono ovunque ma dove l’amicizia, l’amore, il bello, l’ardore e la Vita devono trionfare attraverso una scelta.

Come lui, impossibile non ricordare la forza e la determinazione dei trecento di Leonida che nel V secolo a.c., consci e consapevoli del pericolo imminente per la propria civiltà, per le proprie famiglie, per la propria terra e per l’eterna gloria, decisero di non arretrare di un metro pur di fermare il nemico proveniente da Oriente, che portava ideologicamente lo stendardo della sottomissione e della servitù contro quella della Libertà greca, [4] urlando con forza a chi chiedesse la resa incondizionata, in uno scontro impari, di “consegnare le armi”: “venite a prenderle!”. Entrambe le battaglie dimostrano l’incertezza delle vicende umane. La flotta cristiana vinse ma non riportò nel tempo significativi ridimensionamenti del nemico con cui né prima, né dopo, mancò di trafficare e aver commercio, pur salvando la cristianità, mentre nella seconda, ma prima nel tempo, la sconfitta delle Termopili permise a Temistocle la vittoria decisiva a Salamina che pose le basi dell’Europa attuale. [5]

Vincere o perdere non pare essere determinante ma lo è lo spirito con cui si affronta il momento decisivo. Sappiamo che solo l’uomo può tentare di trascendere se stesso cercando di modellare il suo futuro. Crederlo, anche non fosse così, è decisivo per poter vivere, sperare, sognare, essere ed esistere! Ora più che mai la nostra civiltà ha bisogno di nuovi Don Giovanni d’Austria, di Leonida, di uomini che per la loro capacità di unione, di spessore morale e tempra, abbiano il coraggio di ergersi a leaders di chi oggi è il nuovo soggetto discriminato, accantonando lo sterile nichilismo relativista, hybris, che dalla notte dei tempi corrode lo spirito umano. E’ ora che i migliori escano allo scoperto e uniscano in un’unica forza ciò che il nemico ogni giorno tenta di corrodere. E’ tempo che finiscano gli egoismi e i personalismi perché solo dalla coraggiosa unione dei veri aristoi, si possa pensare di costruire una controffensiva che superi la fase della resistenza. Con essi l’uomo perbene saprà riscoprire la forza dei propri avi, la forza dei giusti, la forza del sapere e di quel trascendente che è scelta del Bene. Preghiera, allora, perché l’uomo di buona volontà sappia difendere la sua civiltà, la sua terra, la sua famiglia, trovando il coraggio di danzare fiero e determinato per l’amore, per l’amicizia, per la vita, per la bellezza, per il futuro, in mezzo alla tempesta e, allo stesso tempo, sappia urlare in maniera decisa e determinata al suo rivale ancora una volta, senza indietreggiare di un millimetro, pronto a resistere ad ogni costo, per le generazioni di oggi e future, per un’Italia e un’Europa libere: Molon Labe.[6]

Luca Cerardi

 

[1] Si pensi, per esempio, alla lotta serrata tra l’intellettualismo etico di Socrate e il relativismo scettico, nichilista dei sofisti nel periodo della decadenza di Atene tra V e IV secolo a.c.
[2] Altra questione di cui si parla dalla notte dei tempi quando Aristotele credeva in una filosofia pratica basata sull’aretè o virtù, che consisteva nell’attuare la propria natura, ovvero la razionalità che distingue l’uomo dal resto dei viventi. Essa si esplicava attraverso la praxis o azione, basata sul giusto mezzo, avendo come scopo e senso il Sommo bene che risiedeva nella volontà individuale, tema caro ad Hannah Arendt; esso si trovava nel cuore e nell’anima di ogni uomo cioè sentimento del bene che lo rende felice. Praxis, azione, uomo che agisce e sceglie pertanto la responsabilità.
[3] Cfr., J. Beeching, La Battaglia di Lepanto, Bompiani, Milano, 2002, p. 254.
[4] Uno scontro che sembra essere tornato di attualità tra chi si schiera a favore della tradizione culturale di libertà d’Europa e chi per la sottomissione che ancora oggi proviene da Oriente incarnata dall’idea di super controllo tecnologico tratto dal modello cinese.
[5] Cfr., Erodoto, Storie, Newtoncompton, Roma, 2012.
[6] “Venite a prenderle”. Espressione che avrebbe detto, secondo Plutarco, il Re di Sparta Leonida alla Termopili dopo che Serse chiese di lasciare le armi al proprio esercito.

 

FONTE: https://lucacerardi.wordpress.com/2021/11/06/lurlo-e-la-preghiera/#_ftnref1

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