L’imminente Novus Ordo Seclorum – Dobbiamo cambiare, non c’è scelta!

Tentare di utilizzare la razionalità secolare come primo strumento analitico per comprendere gli eventi geopolitici può essere un errore.

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Alastair Crooke
strategic-culture.su

In occasione di una visita a Oxford qualche settimana fa, Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’UE (scrive Walter Münchau), ha fatto un’osservazione interessante: “La diplomazia è l’arte di gestire due pesi e due misure”. Münchau ne ha illustrato l’ipocrisia intrinseca contrapponendo l’entusiasmo con cui l’anno scorso i leader dell’UE avevano sostenuto la decisione della Corte Penale Internazionale di spiccare un mandato di arresto contro Putin con il fatto “che non lo accettano quando colpisce un membro della vostra squadra” (cioè Netanyahu).

L’esempio più eclatante di questo doppio “pensiero” riguarda il suo correlato: la “gestione” occidentale delle realtà create. Viene creato un doppio standard – una “narrazione” di noi che “vinciamo” – contrapposta poi ad una narrazione di “loro che falliscono”.

Il ricorso alla creazione di narrazioni vittoriose (invece di essere effettivamente vittoriosi) può sembrare piuttosto intelligente, ma l’incertezza che provoca può avere conseguenze impreviste e potenzialmente disastrose. Ad esempio, le minacce deliberatamente offuscate del Presidente Macron di inviare forze NATO in Ucraina, che hanno solo contribuito a far sì che la Russia si preparasse ad una guerra più ampia contro tutta la NATO, accelerando le sue operazioni offensive.

Invece di scoraggiare – come probabilmente intendeva fare Macron – [questa minaccia] ha avuto come conseguenza quella di rendere più determinato l’avversario, dal momento che Putin ha avvertito che la Russia avrebbe eliminato qualsiasi “invasore” della NATO. Non è stata una mossa così intelligente, dopo tutto…

Prendiamo come esempio più sostanziale la risposta del Presidente Putin alla domanda di un giornalista durante la sua visita in Uzbekistan: “Questi rappresentanti dei Paesi della NATO, soprattutto in Europa, … ci hanno prima provocato nel Donbass, ci hanno preso per il naso per otto anni, ci hanno deliberatamente ingannato facendoci credere che loro [l’Occidente] volessero risolvere le cose in modo pacifico – nonostante il loro tentativo apparentemente contrario di forzare la situazione ‘verso la pace’ – con l’uso delle armi.

“Poi ci hanno ingannato durante il processo negoziale”, ha proseguito Putin, “avendo deciso a priori e in segreto di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia – e quindi di infliggerle una sconfitta strategica. Questa costante escalation può portare a gravi conseguenze (Putin si riferiva probabilmente ad un sempre più intenso scambio di missili che potrebbe arrivare – addirittura – all’utilizzo delle armi nucleari). Se queste gravi conseguenze si verificano in Europa, come si comporteranno gli Stati Uniti in considerazione della nostra parità di armamenti strategici? Vogliono un conflitto globale? È difficile dirlo… Vediamo cosa succederà”, aveva concluso. (Questa è una parafrasi di quella che è stata una lunga ed esaustiva sessione di domande e risposte del Presidente Putin).

Naturalmente, alcuni in Occidente diranno che questa è solo una “storia” russa e che l’Occidente ha agito in modo ragionevole in risposta alle azioni di Mosca.

La razionalità e la ragionevolezza sono pretestuosamente considerate le qualità che definiscono l’Occidente (ereditate da Platone e Aristotele). Tuttavia, tentare di utilizzare la razionalità secolare come primo strumento analitico per comprendere gli eventi geopolitici può essere un errore. Uno strumento così limitato, infatti, costringe ad una brutale amputazione delle dinamiche più profonde della storia e del contesto, che rischia di produrre analisi distorte e risposte politiche errate.

Per essere chiari: cosa ha ottenuto questa diplomazia ingannevole? Ha portato alla totale sfiducia di Mosca nei confronti dei leader europei e al desiderio di non avere più nulla a che fare con loro.

È “razionale” lasciare che attori come Putin si chiedano se la Russia si trovi davvero di fronte ad un Occidente determinato a “infliggerle una sconfitta strategica”, o se Washington voglia solo creare una “narrazione vincente” in vista [delle elezioni] di novembre?

Putin ha sottolineato (durante la conferenza stampa) che le armi ad alta precisione a lungo gittata dislocate in Ucraina (come l’ATACMS) sono preparate sulla base di “informazioni e ricognizioni spaziali”, che vengono poi tradotte automaticamente nelle impostazioni del bersaglio appropriato (con gli operatori che forse non capiscono nemmeno a quale bersaglio corrispondano le coordinate che stanno inserendo).

Questa complessa preparazione di un missile ad alta precisione, tuttavia, non è compito dei militari ucraini, ma dei rappresentanti dei Paesi della NATO, ha sottolineato Putin.

Putin sta dicendo: “Voi – europei, che fornite e gestite queste armi – siete già in guerra con la Russia”. Cercare di “gestire questi due pesi e due misure” non funzionerà; non si può affermare, da un lato, che una volta trasportate [in Ucraina] le proprie armi diventano magicamente “ucraine”, mentre contemporaneamente si “racconta” che la NATO – con i suoi mezzi di sorveglianza, i suoi tecnici ISR e i suoi gestori di missili – non è in “guerra con la Russia”.

Nelle sue risposte esplicite, Putin ha dato all’Occidente un chiaro avvertimento: questi rappresentanti dei Paesi della NATO – soprattutto in Europa, soprattutto nei Paesi piccoli – dovrebbero essere consapevoli “di ciò con cui stanno giocando”.

Eppure, in Europa l’idea di colpire in profondità la Russia viene presentata come del tutto razionale, pur sapendo che tali attacchi all’interno della Russia non cambieranno il corso della guerra. In parole povere, Putin sta dicendo che la Russia può solo interpretare le dichiarazioni e le azioni occidentali come un intento ad ampliare la guerra.

La stessa “doppia narrazione” si può dire che valga anche per Israele. Netanyahu e il suo governo, da un lato, sono presentati come un’entità messianica che persegue un’apocalisse biblica. Al contrario, l’Occidente sostiene di perseguire semplicemente la propria comprensione razionale di ciò che è nel vero interesse di Israele, ossia la soluzione dei due Stati.

Può essere scomodo dirlo, ma lo zeitgeist “non secolare e non razionalista” di Netanyahu riflette probabilmente una pluralità di opinioni diffuse oggi in Israele. In altre parole, che piaccia o meno – e a quasi tutto il mondo non piace – [questo spirito del tempo] è comunque autentico. È quello che è – e quindi non ha molto senso elaborare politiche strettamente laiche che, semplicemente, ignorano questa realtà (a meno che non ci sia la volontà di cambiare radicalmente questa realtà, cioè di imporre uno Stato palestinese con la forza).

La realtà è che in Medio Oriente è in arrivo una prova di forza. E sulla sua scia, con l’esaurimento di una o dell’altra parte, una corrente politica o un cambiamento nello zeitgeist (se Israele riconsiderasse i diritti speciali per un gruppo di popolazione rispetto a un altro che vive su una terra condivisa), potrebbe aprire un percorso più produttivo verso una “soluzione”, in un modo o nell’altro.

Ancora una volta, l’insistenza su un’ottica laica e materialista porta ad una lettura errata della situazione e può peggiorare le cose (mettendo Israele all’angolo nella massiccia escalation sul cui orlo ci troviamo).

Quando Gantz – considerato una possibile e più ragionevole alternativa a Netanyahu – chiede elezioni anticipate, le chiede, scrive Roger Alpher su Haaretz, “per rinnovare il contratto tra il popolo e il governo e per mobilitarsi per una seconda guerra di indipendenza. Secondo la nuova visione, Israele è all’inizio di una lunga e sanguinosa guerra per la sopravvivenza”.

“Gantz non è una persona laica; la sua mentalità è religiosa… Quando accusa Netanyahu di portare secondi fini nel ‘santo dei santi’  (sono parole sue), cioè quando [Netanyahu] fa considerazioni sulla difesa, [Gantz] sta esprimendo la sua fede religiosa nella fede della nazione. Lo Stato è sacro, lo Stato viene prima di ogni altra cosa”.

“Le sue divergenze di opinione con Netanyahu stanno offuscando un ampio consenso – che comprende Yair Golan, Bezalel Smotrich, Yair Lapid, Avigdor Lieberman, Naftali Bennett, Yossi Cohen e il partito Likud con o senza Netanyahu – sul fatto che la guerra è ciò che conta. Il pubblico israeliano è un eroe grazie alla guerra. È al suo meglio durante le guerre: una nazione non ha un’elevazione spirituale maggiore dell’amore per il sacrificio nel ‘portare la barella’, come dicono gli israeliani”.

In parole povere, Gantz – come Netanyahu – non appartiene al campo laico occidentale e liberale.

Ed è qui che entra in gioco il concetto di “gestione dei due pesi e delle due misure” di Josep Borrell: possono l’Europa o gli Stati Uniti continuare a tollerare una visione del mondo sionista così “irragionevole”, con tutte le sue implicazioni negative per un’egemonia statunitense sempre più instabile?

Ebbene, c’è una certa “razionalità” nella visione di Netanyahu, ma non è radicata nella nostra ontologia meccanicistica.

Forse anche i riferimenti biblici di Netanyahu ad Amalek (il popolo che Re Saul aveva ordinato di annientare) toccano i nervi scoperti dell’Occidente: L’Illuminismo scientifico non avrebbe dovuto porre fine a questa “altra” ontologia? Ricorda forse all’Occidente i propri “peccati” coloniali?

Il professor Michael Vlahos, che ha insegnato guerra e strategia alla Johns Hopkins University e all’U.S. Naval War College ed è stato direttore del Centro di Studi Esteri del Dipartimento di Stato, sostiene che anche l’America è “una religione” consumata dall’apocalisse eternamente ricorrente, e che la guerra è il suo “rituale di pulizia“:

“I Fondatori – i nostri ‘creatori’ – avevano immaginato più di una nazione… Avevano anche redatto l’arco narrativo di un viaggio divinamente eroico, mettendo al centro gli Stati Uniti come il culmine (da raggiungere) della Storia. Questa è la sacra narrazione dell’America. Fin dalla sua fondazione, gli Stati Uniti hanno perseguito, con ardente fervore religioso, una chiamata superiore per redimere l’umanità, punire i malvagi e segnare la nascita un millennio d’oro sulla Terra.

“Mentre Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia si aggiravano per il mondo alla ricerca di nuove colonie e conquiste, l’America si era costantemente attenuta alla sua visione unica della missione divina come ‘Nuovo Israele di Dio‘.

“Così, tra tutte le rivoluzioni scatenate dalla modernità, gli Stati Uniti si dichiarano – nella loro stessa scrittura – i pionieri e gli apripista dell’umanità. L’America è la nazione eccezionale – la singolare, la pura di cuore, la battezzatrice e la redentrice di tutti i popoli disprezzati e oppressi: l’’ultima, migliore speranza della Terra’“.

Il Presidente Biden ha pronunciato questo catechismo proprio a West Point il 25 maggio 2024:

“Grazie alle Forze Armate statunitensi, stiamo facendo ciò che solo l’America può fare in quanto nazione indispensabile… l’unica superpotenza mondiale e la principale democrazia del mondo”. Gli Stati Uniti si oppongono ai tiranni” in tutto il mondo: proteggono la libertà e l’apertura”.

“Stiamo affrontando un uomo [Putin] che conosco bene da molti anni, un tiranno brutale. Non possiamo e non ci tireremo indietro”.

È il catechismo della “religione civile americana”, spiega il professor Vlahos:

“Agli occhi del mondo, tutto questo può sembrare un rituale di vanità egoistica, eppure la Religione Civile è l’articolo di fede nazionale degli americani. È la Sacra Scrittura, che prende forma retorica attraverso quella che per gli americani è la Storia.

“La religione civile americana è inestricabilmente legata alla Riforma, al Cristianesimo calvinista e alla sanguinosa storia del Protestantesimo, con la narrazione sacra dell’America plasmata e battezzata attraverso il primo e il secondo Grande Risveglio del Paese. Sebbene la sua lettura scritturale sia diventata laica nell’era del Progresso, la religione americana è rimasta legata alle sue radici formative. Infatti, anche la nostra contemporanea “Chiesa di Woke” non può sfuggire alle sue originarie radici cristiane e calviniste”.

“Dal 2014, una nuova setta in rapida crescita – la “Chiesa di Woke” – ha cercato di trasformare e prendere pienamente possesso della religione civile americana, per regnare come fede successore. Ironicamente, il fervore del suo evangelismo incanala il post-millenarismo del Primo Grande Risveglio, il cui messianismo era stato codificato nel Novus Ordo Seclorum (Nuovo Ordine dei Secoli)”.

Qual è il punto? Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri francese e segretario generale della presidenza francese sotto il presidente Mitterrand, afferma che l’Occidente (cioè anche l’Europa) – che comprende i “discendenti della Cristianità [latina]” – è “consumato dallo spirito del proselitismo”.

“Che l’’andate ed evangelizzate tutte le nazioni’ di San Paolo è diventato ‘andate e diffondete i diritti umani in tutto il mondo’… E che questo proselitismo è estremamente radicato nel nostro DNA: “Anche i meno religiosi, i totalmente atei, lo hanno ancora in mente, [anche se] non sanno da dove viene”.

È questo il nervo scoperto? “Gli Stati Uniti come nuovo Israele” – secondo il professor Vlahos – che non può essere guardato direttamente negli occhi? Eppure, se ci guardiamo allo specchio, è questo che vediamo?

“Questa è di gran lunga la domanda più profonda e importante che l’Occidente deve affrontare”, afferma Védrine.

“È in grado di accettare l’alterità – un Occidente che può vivere con gli altri e accettarli per quello che sono… un Occidente che non fa proselitismo e non è interventista?”, si chiede.

A cui risponde: “Non c’è scelta”. Assolutamente no -.

“Non diventeremo i padroni del ‘mondo che verrà’. Siamo quindi costretti a pensare oltre, siamo costretti ad immaginare un nuovo rapporto per il futuro tra il mondo occidentale e il famoso Sud globale”.

“E cosa succederà se non riusciremo ad accettarlo? Allora continueremo a essere emarginati – sempre più tagliati fuori dal resto del mondo – e sempre più disprezzati per il nostro malriposto senso di superiorità”.

(Novus Ordo Seclorum è latino – “un nuovo ordine dei secoli”. La frase è uno dei due motti latini sul retro del Grande Sigillo degli Stati Uniti. L’altro motto – Annuit cœptis – si traduce come “Dio favorisce (o ha favorito) le nostre imprese”).

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.su
Link: https://strategic-culture.su/news/2024/06/03/the-coming-novus-ordo-seclorum-change-we-must-there-is-no-choice/
03.06.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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