DI MIGUEL MARTINEZ
kelebeklerblog.com
Come sapete, di Repubblica parlo spesso, volentieri e male.
Ma questa volta c’è un articolo straordinario su una delle questioni fondamentali dei nostri tempi: le centinaia e centinaia di migliaia di giovani maschi africani che rischiano la vita, e spessissimo la perdono, per arrivare in Europa.
Quando un giornalista d’Occidente cerca di raccontare storie d’altri, sappiamo che di mezzo c’è una marea di storie, un’infinità di mondi orali che esulano da ogni comprensione dell’idiota medio iperletteralizzato delle parti nostre, con i suoi Principi, le sue Certezze e tutto il resto.
Però qualcosa, in mezzo alle storie, passa:
Seny e Demba spiegano però qualcosa di decisivo per capire la disperazione che sale dall’Africa: “Quando un anno fa abbiamo deciso di partire abbiamo mobilitato le famiglie, abbiamo chiesto soldi, abbiamo venduto animali, abbiamo dato una speranza ai nostri cari, abbiamo detto loro che avremmo mandato indietro soldi dall’Europa. Ecco, adesso tornare indietro è ammettere il fallimento, è confessare che i soldi richiesti sono stati perduti. Bruciati! Noi non si sa come siamo riusciti a fuggire dopo quello che abbiamo visto. Tanti non ci provano neppure, perché morire in Libia o in mare è meno grave di tornare indietro. Morire in Libia per tanti è meglio che rivedere una famiglia che non ti perdonerà di avere fallito”.
Da questo articolo, ricaviamo alcune certezze terrificanti, comunque la mettiamo.
La prima è questa.
Nel nostro quartiere, ogni negozio o bar si trova davanti un ragazzo nero, maschio, tutto intabarrato per resistere al freddo europeo, con un cappellino in mano, che chiede soldi con una vocina tenue, e con straordinaria gentilezza.
Ognuno di loro ha alle spalle una storia da eroe, se ce l’ha fatta ad arrivare fin qui: verrebbe voglia di sentire da ognuno di loro l’orrore che lo ha segnato, abbracciarlo, essergli vicino, ammirarlo pensando alla coccolata feccia nostrana.
Non per farne una questione di superiorità razziale, ma nella mia vita, quasi tutti i neri che ho conosciuto erano gente straordinaria. Sarà un caso, poi ho scritto quasi per metterci anche dei neri che si comportavano da italiani qualunque.
Però rimane il fatto di fondo: tutti quelli che mi hanno dato addosso, erano sempre affetti da melaninodeficienza.
La seconda è che se l’intero continente africano non è ancora arrivato qui, è perché il filtro di assassini, sfruttatori, criminali tra il Niger e Lampedusa è talmente mostruoso, che ferma ancora la maggior parte (niente di strano, studiatevi la storia del Limes romano).
Se non ci fosse un filtro di questa mostruosa entità, tutta l’Africa diventerebbe come i paesini dell’Aspromonte, i meravigliosi ruderi vuoti su cui fischia il vento.
La terza considerazione è che l’abbandono dell’Aspromonte, del Molise (che nel 1860 era più popolato di oggi), di tutti gli infiniti luoghi del Sud, e la creazione dei mostri urbani dove si può arrivare soltanto in macchina, ecco, è stata la stessa cosa. Oggi non si arriva da Agnone, si arriva da Dakar.
Eppure la gente che è arrivata da Agnone, è stata il male che ci sta portando all’annientamento possibile del pianeta, se vogliamo dare retta ai climatologi…
ma almeno la fuga da Agnone è avvenuta in tempi in cui le nostre mostruose città erano tronfie di ottimismo, sovraccariche di godimenti futuristicoprogressiste, socialiste, fasciste, liberiste, keynesiane poco importa.
Invece un intero continente ci si sta buttando addosso, come falene attorno a un fuoco fatuo, esattamente mentre il fuoco fatuo dell’Occidente inizia a mostrare tutta la sua criminale vanità.
Esco dal negozio, e mi trovo davanti il ragazzo nero, che poi somiglia tanto ai ragazzi neri che poi sono diventati babbi – magari con mamme italiane – che fanno parte come tutti della nostra comunità, che sono noi come lo siamo noi stessi. Però sono quattro, cinque, dieci, i neri nostri, ci puoi parlare con ciascuno e condividere con ciascuno.
Mica son mica un miliardo.
Guardo il ragazzo nero, incappucciato, con il cappellino, che un pezzo di plastica non si nega a nessuno.
Sto sicuramente meglio di lui.
E allo stesso tempo, mi rendo conto che dargli un euro, che gli potrei dare benissimo (e penso a centinaia e migliaia di euro che ho dato a zingari che erano messi come loro, e di cui non mi pento)… mi rendo conto che di fronte all’infinita distesa della miseria africana, non serve a nulla.
Se dovessi spartire i pochi euro che ho con un continente intero…
Ma perché, se io non riesco a dare un miliardo di euro all’Africa, non posso dare un euro a lui, che mi trovo davanti? Ma anche se dessi un miliardo di euro, sarebbero un euro a testa, manco da comprarsi un panino per oggi…
E qui nasce il quarto punto, che è difficile davvero da comunicare ai nostri tempi.
Che l’Occidente (scusate la parola cretina) non è superiore a nessuno. Ha soltanto distrutto il pianeta intero, magari tra qualche decennio sterminerà ogni essere vivente tra cui gli esseri umani…
ma l’Occidente non è superiore proprio a nessuno, nemmeno ai tagliatori di testa della Papua Niugini.
E chi ha mai chiesto ai tagliatori di teste del Papua Niugini di farsi carico del mondo?
Miguel Martinez
Fonte: http://kelebeklerblog.com
Link: http://kelebeklerblog.com/2017/05/17/limmenso-viaggio-e-il-miliardo-di-euro-da-dare/
17.05.2017