di Alessandra Turra per ComeDonChisciotte.org
Il cinema ha avuto da sempre un ruolo fondamentale nel corso della mia vita.
Mi ha fatto sognare, piangere, ridere, arrabbiare, inorridire, arrossire.
Pensandoci bene, c’è sempre una motivazione personale nella scelta di una pellicola, in base allo stato d’animo del momento. Alle volte sembra che un film sia stato confezionato ad hoc dal regista e si rivolga direttamente alla nostra parte animica, al bambino che c’è in noi.
“Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé”. Pablo Neruda.
Il cinema ha fissato indelebilmente sulla pellicola, come pennellate sulla tela vergine, il corso della storia, delle tradizioni, dei sentimenti di interi popoli. Esso è il corrispettivo visivo di ciò che è scritto su carta ed è un mezzo incredibilmente efficace per arrivare all’anima di qualsiasi spettatore.
L’arte cinematografica arriva all’uomo di cultura, al borghese, al ricco, al povero, alla donna in carriera, alla casalinga ed ognuno di loro la interpreta a suo piacimento, come evasione, come accrescimento del proprio ego (“io avrei saputo fare di meglio”), come sfogo della propria rabbia.
Nel mio intimo, cos’ha esattamente rappresentato il cinema?
Dal momento che provo rispetto nei confronti di voi lettori, come mia abitudine caratteriale, sarò schietta e darò sfogo ai miei sentimenti, nella speranza che qualcuno si immerga in un mondo che per me ha assunto un ruolo catartico.
Figlia unica, intrappolata in una realtà cittadina dispersiva e tentatrice, passai anni della mia adolescenza avviluppata in un bozzolo creato ad arte da una madre separata e iperprotettiva.
Immersa nella solitudine fino all’età di diciott’anni, mi creai un universo parallelo, fatto di sogni e di speranze. Fu così che mi avvicinai al magico mondo cinematografico.
La prima volta che misi piede in un cinema fu in un paesino di montagna, ove trascorrevo abitualmente le mie vacanze estive, lontano dallo smog e dalla calura infernale della città.
Ricordo nitidamente il distributore di bibite in entrata, quando ancora si vendevano le bottigliette in vetro della più famosa bevanda a stelle e strisce. Ricordo anche che acquistavo le caramelle Charms, da assaporare durante la proiezione e no, non esisteva in quel piccolo cinema la macchinetta per i pop corn e vi garantisco che si potrebbe aprire un intero capitolo dedicato al legame tra sala proiezioni e il caldo e profumato mais scoppiettante!
Il film era “Mi faccio la barca”, del lontano 1980, di Sergio Corbucci, con i mitici Johnny Dorelli, Christian De Sica e Laura Antonelli.
Altro film, genere horror, che ricordo a tratti e che andai a vedere questa volta nella mia città, fu “L’isola del Dr. Moreau” del 1977, con Burt Lancaster e Michael York.
In proposito, vi devo assolutamente raccontare un aneddoto che mia madre cita divertita ancor oggi.
Nel bel mezzo di una scena raccapricciante, il silenzio fu squarciato da un mio recondito e primitivo desiderio, ahimè espresso a voce alta, “Mamma, ho fame, voglio un panino con la mortadella!”.
Tutti in sala scoppiarono a ridere ed io, già da piccola, dimostrai un’innata predisposizione al genere horror, che per nulla mi impressionava.
Ancor oggi, adoro crogiolarmi sotto la coperta, in inverno, gustando un film horror, meglio ancora se durante una giornata buia e piovosa, il sole mi oscurerebbe il pathos del momento.
La sala cinematografica, intesa come luogo fisico, racchiude all’interno odori, fetori di umana gente, brandelli di solitudine, prime cotte, amori clandestini.
Ad ogni film ecco che riaffiora un ricordo, un periodo della nostra vita, più o meno piacevole.
Con l’avvento delle varie piattaforme a pagamento di film e serie tv, purtroppo perdiamo il senso di comunità e l’autentica visione di una pellicola. Scompaiono il contatto umano e il grande schermo che permette l’interezza dell’immagine. Ne è un palese esempio la scena di “Via col vento”, durante la quale 850 comparse devastarono la stazione di Atlanta e furono impiegati inoltre ben 1000 manichini (mossi dagli attori per farli comparire realistici).
Immaginiamo una scena del genere all’interno di un 50 pollici di casa nostra. Il paragone non regge in alcun modo.
Il cinema, come il teatro, svolge un ruolo catartico, di liberazione delle proprie energie e stati d’animo.
Aristotele interpretava la catarsi come una liberazione dalle passioni che conducono al male.
Nel teatro greco (V secolo a.C.) si creava una simbiosi tra attori e spettatori, tale da far vivere un’esperienza unica, offrendo l’occasione di liberarsi dagli impulsi peggiori che provocavano il male.
Il cinema è talmente potente e coinvolgente da farci, alle volte, provare ammirazione verso personaggi alquanto discutibili, diventando così noi stessi loro complici.
Il regista trova alibi per edulcorare alcuni personaggi di per sé diseducativi, tant’è che talvolta mi sono ritrovata ad immedesimarmi nella parte della strega cattiva.
Varie pellicole mi hanno insegnato la storia, come non avrebbe mai saputo fare un testo scolastico.
Molte scene e frasi si sono impresse nella memoria e rimarranno lì a ricordarmi chi sono.
Vogliamo parlare dei platonici innamoramenti nati tra spettatore e personaggi di alcuni film?
Chi non avrebbe voluto avere un professore come Robin Williams ne “L’attimo fuggente”?
Chi non avrebbe voluto fuggire ai Caraibi con il capitano Jack Sparrow o ripristinare la giustizia come Batman?
Il cinema ci permette di essere, per quelle due ore scarse, chi vogliamo e ci sono consentiti poteri straordinari, senza limiti. Per questo la scelta di un film è fondamentale e accompagna i sentimenti che proviamo in quell’istante.
Il cinema ci fa sentire qualcun altro, ci fa precipitare in un burrone, o volare in cielo come aquile e riveste un ruolo fondamentale nella nostra vita.
Ho letto da poco un articolo nel quale si annunciava la chiusura di produzioni italiane e cancellazioni di serie tv, con conseguenti nuovi licenziamenti.
Grazie al cinema italiano ha preso vita il genere comico e il neorealismo, portando alla fama internazionale nomi come Totò, De Sica, De Filippo, Vittorio Gassman, Mastroianni, Vitti e tanti altri ancora.
Le produzioni contemporanee, per certi versi, hanno perso lo smalto, la profondità e l’intensità dei vecchi film, anche se non tutto è da scartare a priori. Credo sia il momento di trasporre sulla pellicola nuove idee, nuovi spunti di confronto, nuove iniziative atte a stimolare un cinema indipendente, mettendo al centro l’uomo in un contesto sociale e storico ben definito.
Gli ultimi anni hanno cambiato il mondo e i singoli individui e sarebbe il caso di non nascondere la testa sotto la sabbia e affrontare a muso duro emozioni, esperienze e sentimenti contrastanti che ci hanno letteralmente travolto in tutta la loro drammaticità.
Se solo ripenso che, fino a poco tempo fa, non potevo entrare in un cinema a causa di assurde leggi liberticide, mi infervoro. E’ giunto il momento che questo infame periodo storico diventi il protagonista indiscusso di una veritiera e attenta produzione cinematografica, affinchè non si ripeta più un simile orrore, grazie anche alla consapevolezza del popolo italiano.
Sogno un cinema politicamente meno corretto e più sincero, ma so che rimarrà solo un sogno recondito.
Il cinema è arte, cultura, evasione, e magia.
Riacquistiamo l’intelligenza, la cultura e l’assennatezza, perché in una società dove esse non esistono, subentrano coercizione e ingiustizia.
Articolo di Alessandra Turra per comedonchisciotte.org