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La Redazione

 

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L’arte contemporanea? Te la spiega “The Square”

Il film che ha vinto Cannes ci fa da guida in una galleria di tipi umani realmente esistenti nel mondo dell'arte.
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A cura di Redazione CDC
Il 31 Maggio 2023
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The Square è il film che ha vinto la Palma d’Oro all’ultima edizione del Festival di Cannes. Forse un capolavoro visionario, riassume alla perfezione quella che potrebbe essere considerata la deriva egoistica, muscolare e superficiale della società contemporanea. Ma dato che questa non è la sede adatta per indagare scenari apocalittici, approfondiremo un altro aspetto legato all’ultimo lavoro di Ruben Östlund. The Square utilizza l’arte contemporanea come allegoria della società in cui viviamo? Noi utilizzeremo The Square come metafora perfetta per comprendere l’oscuro mondo dell’arte contemporanea.

Avvicinando la lente sui personaggi che popolano The Square – figure stereotipate ma realistiche del sistema dell’arte – creeremo una piramide sociale di questo piccolo circolo elitario internazionale, irrilevante dal punto di vista economico, piuttosto influente in ambito culturale ma socialmente ambitissimo. Un sistema tanto glamour quanto intellettualmente ed eticamente scivoloso, economicamente insostenibile quanto i mutui subprime, ma altrettanto libero e creativo nel suo assoluto e generalizzato snobismo.

Per chiarezza espositiva, di seguito la scala gerarchica (dalla punta alla base della piramide)

1. Il curatore
2. Il museo
3. L’artista
4. La giornalista
5. L’agenzia di comunicazione
6. Il team del museo
7. Il pubblico
8. L’addetta alle pulizie

 

1. Il curatore, ovvero la star

Christian, il curatore del museo, è l’unico vero protagonista di The Square. Ha l’aria da intellettuale sopra le righe alla Vittorio Sgarbi e il sex appeal di un omonimo altrettanto famoso, il Christian di Cinquanta sfumature di grigio. Sarà un caso? Non credo. Indossa sempre la camicia, ha un look formale finto casual, i capelli finto spettinati e la barba finto sfatta. Guida una Tesla e sembra non conoscere la differenza tra etica ed estetica.

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Questo professionista dell’arte, nella vita cammina tre metri sopra il cielo, anche quando, nella scena iniziale del film, non è capace di spiegare a una giornalista, con la quale successivamente avrà un incontro ravvicinato, il senso del comunicato stampa della sua stessa mostra. Christian vive in un sistema in cui non esiste il senso di responsabilità individuale, un mondo che non risponde mai in prima persona.

Una giornalista che contesta il curatore? nella realtà non potrebbe mai succedere.

Un fatto del genere nella realtà non potrebbe mai verificarsi: nessun giornalista oserebbe chiedere a un curatore affermato il senso del comunicato stampa della sua mostra. Nell’arte contemporanea, la critica non esiste. Non leggerete su nessuna rivista specializzata un articolo o una recensione che stronca la mostra di una galleria o di un’istituzione che, nel migliore dei casi, è tra gli inserzionisti della rivista stessa. Semplicemente non succede. È un mondo fatto di amore, supporto e ipocrisia in cui nessuno si sente davvero in grado di giudicare. E poi si sa, i comunicati stampa delle mostre, nella maggior parte dei casi, non vogliono dire nulla.

Christian, il curatore, uomo di potere e di successo, nel momento in cui si trova a fare i conti con il furto di un portafoglio, un ragazzino figlio d’immigrati, una giornalista, il pubblico o un artista che, mediante una performance, trasforma una cena in un incubo, non ha alcuna presa sulla realtà. Christian altro non è che la caricatura, forse neanche troppo grottesca, dell’intellettuale borghese contemporaneo che, seppur operando, in questo caso specifico, con materiali visivi in un mondo fatto d’immagini, è chiuso in una torre di ghiaccio che non intrattiene alcun dialogo con la realtà. E il ghiaccio si sa, notoriamente dopo un po’ si scioglie.

 

2. Il museo, ovvero il contenitore

Il museo è l’esclusivo e non inclusivo contenitore in cui viene installata l’opera che dà il titolo al film. Anche il quadrato in questione è una sorta di contenitore, un’area regolare tracciata sul pavimento in cui tutti godono degli stessi diritti e doveri. Un attimo, ma non dovrebbe essere scontato? Così come, in un mondo ideale, non dovrebbe essere l’opera d’arte ad avvalorare l’istituzione, piuttosto che il museo ad attribuire lo status di opera d’arte al lavoro dell’artista? In un sistema in cui la speculazione intorno a un certo genere di opere – quasi sempre dipinti – è pari a quella sui prodotti finanziari più rischiosi, è necessario giustificare il valore aggiunto con un sigillo pubblico. Qui entra in ballo l’istituzione e lo fa con un approccio che punta ad essere il più ermetico possibile.

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Uno dei leitmotiv di The Square, forse il principale, è la richiesta d’aiuto. Tutti lo invocano, nessuno lo trova. La realtà, anche in questo caso, supera la fantasia. Prendi una pulita e ordinata città trentina. Prendi il museo d’arte contemporanea della suddetta città. Metti che questo museo ha una rete wi-fi aperta che raggiunge la bella, pulita e ordinata piazza antistante. Metti che c’è una crisi europea dell’immigrazione e alcuni migranti cominciano a ritrovarsi in quella piazza con il wi-fi comunale gratuito per chiamare i propri familiari che stanno morendo sotto le bombe. Questa cosa al museo non sta bene. Non è che il wi-fi il museo l’ha installato affinché tu, immigrato, possa chiamare e sentire se i tuoi amici e parenti sono ancora vivi. Il museo decide di disattivare il wi-fi.

Tutto questo è successo davvero.

In The Square c’è una scena molto forte in cui, durante un panel tra curatori, un signore con la sindrome di Tourette inizia a insultare pesantemente i partecipanti alla tavola rotonda. Il signore è malato, quindi anche se lo si vorrebbe eliminare e in fretta, non è socialmente accettabile chiedergli di uscire dalla sala. Siamo pur sempre progressisti colti di sinistra. Ecco, i giornali davano notizia del taglio del wi-fi di cui sopra il 29 dicembre 2015. Nell’ottobre del 2016, lo stesso museo dedica l’intera programmazione della Giornata del Contemporaneo al tema dell’immigrazione. Il comunicato stampa descrive così l’immagine creata dall’artista Emilio Isgrò in occasione dell’evento:

Preghiera per l’Europa. Mostra un’Europa cancellata, che estende i suoi confini oltre a quelli dell’Unione Europea, abbracciando idealmente i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. L’immagine vuole essere una riflessione sulle divisioni – geografiche, politiche, culturali – che oggi più che mai alimentano sentimenti e spinte nazionaliste.

Caro Museo, una riflessione sull’immigrazione sì, ma di che tipo?

 

3. L’artista, ovvero la pedina

Barechested, Muscle, Chest, Human body, Bodybuilder, Event,

L’artista, in quanto figura centrale del sistema artistico, dovrebbe rappresentare la punta della piramide. Non è così. In una realtà basata sulla domanda e l’offerta, il peso dell’artista equivale alla sua concreta o potenziale redditività. Gli artisti sono più o meno influenti in base alla quotazione dei lavori che producono – e anche qui, sono le gallerie a legittimare gli artisti, non viceversa – ma, a differenza delle categorie sopracitate, gli artisti quasi sempre credono nella propria ricerca, formale o intellettuale che sia.

In The Square, l’artista è una presenza evanescente che aleggia sui campi lunghi che caratterizzano il film. Perché nell’arte, quella vera, non è buon uso che gli artisti frequentino troppo le ambientazioni mondane che abbondano nella pellicola, in cui non mancano i riferimenti ad artisti reali come Julian Schnabel e Robert Smithson.

L’unico vero coming out di un artista nel film avviene durante una performance a una cena di gala. Il performer, che rappresenta l’ideatore della performance, nell’arco di una decina di minuti si trasforma da critico istituzionale a buffone di corte fino a belva selvaggia, oggetto tanto di odio quanto di scherno. Forse una rappresentazione della veloce parabola tipica della carriera dell’artista contemporaneo, il cui successo – sia economico che di critica – solo in rari casi supera un lustro.

 

4. La giornalista, ovvero la femmina

Design, Event, Fun, Art, Tourist attraction, Architecture, Photography, Visual arts, Sculpture, Tourism,

La giornalista Anne è un personaggio divertente, forse il più umano del film. Non ho mai visto Cinquanta sfumature di grigio, ma lo farò a breve perché ritengo che abbia influenzato The Square al pari di un capolavoro come Niente da nascondere di Michael Haneke (Caché, in lingua originale). Per colmare la mia ignoranza in merito alla trama di Cinquanta sfumature, ho visitato la pagina di Wikipedia del romanzo, scoprendo che il plot è esattamente lo stesso:

Anastasia […] è una ragazza normale quando […] intervista Christian, amministratore delegato della Grey Enterprises Holdings Inc. […] Anastasia conduce un’intervista che non si limita alle sole domande. […] Lui è un uomo oscuro, il cui apparente splendore nasconde una persona piena di complessi.

 

E via così tra Anne, la giornalista con la sindrome dell’abbandono, e l’uomo potente che non deve chiedere mai. C’è anche un ballo notturno a base di techno in un Palazzo Reale pieno di simbolismi. Insomma un mix tra Cinquanta Sfumature La grande bellezza. E questo è l’unico personaggio femminile dell’intera piramide.

5. L’agenzia di comunicazione, ovvero i social media addicted

Premessa: nel mondo reale i musei d’arte contemporanea non si servono spesso di agenzie di comunicazione o marketing strategico per comunicare le mostre, ma di figure freelance o piccole agenzie o tirocinanti che parlano lo stesso linguaggio, che non è quello della massa e dei numeri e dei like.

Snapshot, Floor, Flooring, Photography,

Nel film, due creativi un po’ hipster propongono al museo un video in cui una bambina bionda senzatetto viene fatta saltare in aria all’interno dell’opera principale, The Square. Questo perché il messaggio dell’installazione, che promuove l’uguaglianza, è così positivo che è necessario bilanciare – suggerisce un biondo in giacca con l’aria da surfista. Pura provocazione. Nessun senso, nessuna strategia, un’unica finalità: andare virali. Una strategia tipica di certa pubblicità, come di certa arte contemporanea. Una strategia solitamente vincente.

 

6. Il team del museo, ovvero gli impiegati

L’arte è una prerogativa borghese per un motivo: perché è superflua e chi ha da fare non ha tempo per il superfluo. Come in tutto ciò che non è essenziale, ciò che conta è darsi un tono. Per farlo è sufficiente trincerarsi dietro il mediocre egoismo della vita quotidiana, che ci rende preda dei social che plasmano le vite della gente comune a loro immagine. Osserviamo le ansie moltiplicarsi nella consapevolezza di non poter contare su nessuno, tantomeno su noi stessi.

Fashion, Stock photography, Art,

 

Il team del museo, in mancanza del curatore – che forse in quel momento stava recitando un altro film con la giornalista – accetta la proposta video dei creativi dell’agenzia in modo assolutamente acritico. Non tutto ciò di cui si occupano quotidianamente ha un senso agli occhi di questi impiegati e, quando ce l’ha, non sempre sono capaci di coglierlo, quindi hanno imparato a dire sempre sì. Il video virale con la mendicante che salta in aria non vuol dire niente quindi non sanno cosa dire. E non dicono niente. Silenzio assenso.

C’è una condizione psicologica particolarmente diffusa fra le persone di successo, si chiama Sindrome dell’impostore ed è caratterizzata dall’incapacità di elaborare i propri successi e dal terrore di non riuscire a preservarli. Essendo l’arte contemporanea un settore non esattamente concreto, suddetta sindrome affligge anche gli stagisti.

 

7. Il ragazzino, ovvero il pubblico

Il pubblico è il rumore di due passi che echeggiano in una sala del museo, un tizio con la sindrome di Tourette che ha un attacco durante una conferenza. Gli operatori dell’arte, come coloni insediati in piccole enclavi in paesi stranieri, stanno bene nel loro mondo e non vogliono che nessun disturbo esterno intacchi il proprio microcosmo.

Photograph, People, Event, Interaction, Fashion, Fun, Photography, Smile, Conversation, White-collar worker,

Nel film, un ragazzino figlio d’immigrati affronta Christian il curatore per averlo accusato erroneamente di essere un ladro. Pretende scuse, cerca il contatto ravvicinato con l’interlocutore, ma il bel Christian, quando deciderà di scusarsi, finirà per farlo tramite il suo smartphone. Un distacco che ricorda il rapporto tra il pubblico e il museo, la ricerca di un contatto con qualcosa che è stato concepito per essere ermetico e respingente.

Una delle opere che compaiono spesso nel film è un neon con la scritta “You Have Nothing”. E se fosse un suggerimento? Una sorta di monito che ci ricorda di essere circondati dalla vacuità e che il mondo reale è un altro? Il rapporto con il pubblico, o l’altro, nella finzione come nella realtà, si limita al semplice fastidio per ciò che è diverso. Anche se poi una scritta al neon ti ricorda che finché vivrai lì dentro, senza confrontarti col mondo, non avrai niente.

 

8. L’addetta alle pulizie, ovvero una patina di lucidità

Chiudiamo con una figura fondamentale: l’addetta alle pulizie del museo. Quello che succede nel film è successo più e più volte nella realtà, e ogni volta i media sono ben lieti di raccontare che una sprovveduta quanto onesta signora ha rovinato un’opera d’arte facendo il suo umile lavoro.

Uno tra tanti è il caso del museo di Dortmund, in cui un’addetta alle pulizie ha lavato con cura una bacinella sporca del geniale artista Martin Kippenberger dal valore di 800 mila euro – perché le opere d’arte contemporanea, seppur riproducibili, vengono sempre assicurate per il loro valore di mercato. Il direttore del museo commentò pubblicamente: “Ha ripulito i bordi e i lati della vasca di gomma con molta attenzione. È una cosa spaventosa!”, aggiungendo: “La nostra reputazione verrà danneggiata per sempre!”.

Ecco, la scena di The Square in cui il bel curatore offre la soluzione per rimediare a un errore identico – proponendo semplicemente di riposizionare la parte dell’opera d’arte aspirata al suo posto – è l’unico momento del film in cui colui che si trova alla punta della piramide offre una soluzione concreta a un problema reale. Guarda caso a un problema semplice, causato da qualcuno d’insignificante, una pedina alla base della piramide. È così che il cerchio, o il quadrato, si chiude.

 

di Maria Acciaro

 

Articolo Originale: https://www.esquire.com/it/cultura/arte-design/a14760243/arte-contemporanea-spiegata-the-square/

 

Articolo scelto da Claudio Vitagliano e pubblicato da Giulio Bona per il gruppo Cultura di ComeDonChisciotte.org

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