DI CARLO BERTANI
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“Oggi come non mai stiamo vivendo nella caverna platonica, dove gli uomini scambiano per reali le immagini che scorrono loro davanti. Oggi come non mai, infatti, confondiamo la realtà con le ombre.”
José Saramago
Di fronte alle esternazioni di Mauro Biglino sulla Bibbia, si potrebbe liquidare tutto come un fenomeno editoriale alla Dan Brown. Se Biglino ponesse al centro dell’attenzione la sua persona, avremmo più di un sospetto nei suoi confronti: eppure, pur utilizzando tutti i canali dell’informazione attuale, il biblista torinese non si pone come un “faro” di sapienza, e neppure instaura una sorta di “dissidio” con la Santa Sede, anche se – a dire il vero – Oltretevere non devono aver gradito l’idea che, proprio dalla Bibbia, Biglino abbia sottratto un elemento di una certa importanza, cioè Dio.
L’autore torinese sostiene proprio questa tesi: la Bibbia è un resoconto di “qualcosa” che avvenne fra la Mesopotamia ed il Mediterraneo in epoche lontane: il “qualcosa”, però, secondo Biglino, non ha nulla a che vedere con la Creazione e nemmeno con la figura di Dio, come attualmente viene dipinto. La storia, secondo Biglino, è un’altra: il termine “Elohim” rappresenta un essere (o più esseri) in possesso di una tecnologia superiore, i quali hanno instillato le basi della conoscenza scientifica (agricoltura, costruzioni, ecc) nei popoli che vivevano in quelle aree. Di più: essendo fatti “a nostra somiglianza”, questi esseri più evoluti si sono incrociati con la nostra razza (Biglino ipotizza l’ingegneria genetica, ma potrebbero aver usato sistemi più “semplici”) inserendosi così come “catalizzatori” nell’evoluzione umana.
D’altro canto, non dimentichiamo che gli antichi usavano translitterare la Storia (per loro) antica nel Mito: gli Dei che stavano sempre “in alto”, che potevano assumere le sembianze più strane…e poi, s’accoppiavano con gli umani, generando semidei. Ne hanno avuta di fantasia: era solo fantasia?
In nota troverete un colloquio critico con l’autore (1).
Dobbiamo riconoscere che la sua esegesi è chiara e convincente, anche se – in definitiva – il simposio è ristretto ad esperti traduttori dall’ebraico antico, dall’aramaico e dalle altre lingue mesopotamiche del tempo. E finisce per essere un cenacolo per pochi eletti: coloro che sono in grado di verificare le sue ipotesi con competenza filologica.
Biglino non asserisce che questi “Dei” fossero extraterrestri, oppure appartenenti a precedenti civiltà terrestri: si limita a sottolineare le incongruenze che ci sono nella Bibbia, “sfiorando” anche il Mahabharata e l’Epopea di Gilgamesh, dove ci sono numerosi passi un poco inquietanti.
Quindi, è inutile “parteggiare” per l’una o per l’altra parte, se non evidenziando i tanti dubbi sull’evoluzione umana. Che non mancano.
Anche il dibattito, in ambito filologico, è stato molto “soft”: certo, da parte Vaticana qualche studioso ha messo all’indice Biglino, ma senza eccedere. Insomma: è un poveraccio senza arte né parte, non facciamogli pubblicità. Anzitutto, perché non ci conviene.
Biglino, però, sfiora appena lo stridere fra i livelli tecnologici degli “Elohim” rispetto alla popolazione umana, perché è un traduttore: traduce letteralmente, scontrandosi (evidentemente) con una serie di problemi semantici che affondano nelle radici dell’esperienza umana. E che lui interpreta a suo modo, ovviamente.
Oggi, abbiamo persone che – pur di guadagnarsi qualche click in più su Youtube – non hanno remore a presentare la vecchia foto della nonna in giarrettiere e mutandoni spacciandola per la “vera” Mata Hari: in questo senso, i libri sono ancora più affidabili del tanto “sapere” Web. Che, a volte, ricorda i venditori di pozioni miracolose nelle piazze del Far West.
Mauro Biglino non s’addentra in questioni di tipo scientifico-tecnologico, le sfiora appena: verrebbe il sospetto che, non sentendosi avvezzo a dissertare su campi così distanti dalle lingue antiche, non li voglia prendere in esame.
Eppure, il sapere scientifico, oggi, è senz’altro più conosciuto e dibattuto rispetto alle lingue antiche: perciò, mi sono divertito a presentarvi alcuni fatti, comprovati da scoperte archeologiche, che tuttora suscitano sgomento.
Se volessimo partire da una data, una sola data che ci ponga qualche dubbio, potrebbe essere il 74.000 a.C. perché?
Poiché, anche se la presenza dell’Homo Sapiens è documentata fino a circa 2-300.000 anni or sono, in quella data esplose il supervulcano di Toba.
Ora, un supervulcano non è un “vulcano plus”, è qualcosa di apocalittico, che per fortuna non capita sovente: non si tratta di uno “scorreggione” come il Vesuvio, e nemmeno di un “ruttatore seriale” come l’Etna, bensì di un accumulo di materiale lavico che dura migliaia di anni e che, poi, fa saltare il tappo roccioso che lo sovrasta. Con conseguenze su tutto il Pianeta.
L’esplosione di Toba immise nell’atmosfera 3.000 chilometri cubici di materiale e la radiazione solare scomparve: la Terra (all’epoca, si era in piena glaciazione di Wurm) precipitò in un “inverno vulcanico” che durò alcuni anni.
Siccome la popolazione allora residente era quasi tutta nella zona fra i Tropici – e Toba è a Sumatra – fu duramente colpita. I paleobiologi hanno stimato – dalla varianza del DNA umano – che si partì, in quel senso, quasi dagli inizi. Alcune teorie ipotizzano una “forbice” di sopravvissuti fra i 600 ed i 3.000, ma sono cifre ipotizzate e ricavate, come dicevamo, solo dalla scarsa varianza del DNA. I soli reperti archeologici non ci forniscono informazioni esaustive al riguardo
Finalmente, verso il 10.000 a.C., termina la glaciazione di Wurm: altro periodo di sconvolgimenti, il mare si alza di decine di metri in pochi secoli, fiumi immensi si generano dallo scioglimento dei ghiacci. Però, l’uomo può finalmente affacciarsi alla “finestra” del mondo. Sono, appena, 12.000 anni or sono.
Qui, in qualche modo, s’innesta la trattazione di Biglino, in qualche data probabilmente intorno al primo/secondo millennio prima di Cristo ma, non dimentichiamo: la Bibbia racconta vicende molto antiche e, tuttora, non c’è unità di vedute fra gli studiosi.
Passano 7.500 anni – un’inezia, se riferita ai tempi dell’evoluzione – e, intorno al 2560 a.C Il faraone Khufu (Cheope) decide di farsi una bella tomba di famiglia, e fa costruire la nota piramide.
Ancora oggi non si sa come la costruirono (e la datazione è incerta), nonostante mille teorie sullo spostamento dei massi ed il loro posizionamento. Craigh Smith, un ingegnere statunitense che fece parte di una squadra, la quale cercò di determinare i tempi e le modalità seguite per la costruzione della piramide di Cheope, confessò:
“Le logistiche di costruzione di Giza sono impressionanti se si pensa che gli antichi Egizi non avevano a disposizione pulegge, ruote e accessori di ferro. Le dimensioni delle piramidi sono estremamente accurate e il sito è stato livellato con un errore di meno di un centimetro su una base di oltre cinque ettari. E’ paragonabile all’accuratezza dei moderni metodi edilizi ed al livellamento al laser. E’ sbalorditivo, con i loro “attrezzi rudimentali”, i costruttori di piramidi dell’antico Egitto furono accurati quasi quanto lo siamo noi con la tecnologia del XX secolo.”
Si aggiunga che, nei siti di estrazione dei massi, non è stato rilevato nessun utensile di Rame, il metallo più duro conosciuto all’epoca.
Inoltre, i massi delle piramidi avevano un peso compreso fra le 2,5 tonnellate e le 80 tonnellate: li trasportavano su barche di papiro? Auguri.
Voi credete alle storie degli schiavi che tirano nella sabbia 80 tonnellate su un piano inclinato inumidito con l’acqua?
Ecco una gru che può sollevare 80 tonnellate:
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