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La Redazione

 

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Le bombe per la pace sono come fottere per la verginità: vale per tutti, Iran Incluso

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A cura di Rosanna
Il 17 Gennaio 2020
874 Views

DI ALESSANDRO GUARDAMAGNA

comedonchisciotte.org

Da due settimane la notizia dell’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani e del comandante della milizia irachena Abu Mahdi al-Muhandis, ha portato la Sinistra Globalista a proclamare per l’ennesima volta che la terza guerra mondiale è dietro l’angolo. In precedenza avvertimenti di sgomento e condanna dai toni apocalittici erano stati evocati quando la Casa Bianca aveva ordinato attacchi su obiettivi militari – rivelatisi poi di scarsa importanza – in Siria, e ancora prima quando Trump aveva risposto per le rime alla retorica anti-americana sfoggiata dalla Corea del Nord in occasione dei test missilistici condotti negli ultimi 3 anni.

Poi esattamente come una guerra mondiale non è scoppiata nei precedenti casi, che possono essere definiti in modi svariati ma sicuramente non come casus belli, parimenti non scoppierà nemmeno ora, a parte su Twitter, nonostante gli anatemi dei Dem e di Biden. Nei paesi occidentali gran parte della sinistra cosiddetta progressista – quella che sostiene immigrazione incontrollata e globalizzazione per intenderci – non ha risparmiato veementi critiche anche verso coloro che in Medio Oriente hanno salutato la morte di Soleimani e al-Muhandis, avvenuta tramite un missile lanciato da un drone, come una liberazione.

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Da un punto di vista morale e legale è sicuramente discutibile sostenere che la decisione americana di eliminare i due comandanti sia stata un’azione nobile e giusta, ma inquadrare ciò che è accaduto esclusivamente nella vecchia, logora e falsa narrativa di sinistra che vede nell’imperialismo USA la madre di tutti i mali è del pari poco accorto per usare un eufemismo. Infatti tale visione deforma il contesto in cui i fatti sono avvenuti ed impedisce di comprendere come la situazione in Medio Oriente, che ha come dirette conseguenze sofferenze e privazioni per milioni di persone, sia da ascrivere anche ad altri poteri diversi da quello di matrice americana.

E’ quindi importante sottolineare l’opportunismo politico – e anche una certa dose di incoscienza – di Trump, ma non è possibile ignorare i crimini di Soleimani e al-Muhandis e dei regimi di cui erano al servizio.

Dopo la procedura di impeachment di cui è stato oggetto e con un numero crescente di americani che disapprovano la sua leadership, Trump sta cercando di riconsolidare la sua posizione a casa propria in vista delle elezioni di Novembre. Il suo primo mandato è spesso stato contrassegnato da decisioni non chiare in politica estera, da esternazioni insensate che talvolta non hanno nulla a che fare con la realtà e da una certa forzatura nel presentare i fatti unilateralmente a proprio favore. A tale riguardo basti pensare che nell’Ottobre 2019 arrivò al punto di sostenere che gli USA dovevano andarsene dalla zone della Siria a difesa dei Curdi perché questi ultimi non sono comunque sempre stati al fianco degli Stati Uniti in quanto nella Seconda Guerra Mondiale non combatterono in Normandia (?!)

Alla luce delle grane che hanno attanagliato Trump negli ultimi mesi – crisi ucraina, rapporti instabili con la Turchia ed impeachment – è difficile definire la sua presidenza come un  sicuro successo. Può quindi ben essere che Trump abbia ordinato l’eliminazione del generale Iraniano anche perché spinto da considerazioni personali su come rilanciare il proprio prestigio oltre che dalla volontà di contrastare il “terrorismo globale” e porre fine al “regno di terrore”.

Ora la retorica usata recentemente da Trump potrebbe forse contribuire a rafforzare la sua posizione e aumentare il suo bacino elettorale in vista delle elezioni di Novembre, ma pensare che la morte di Soleimani renda il mondo – e in particolare il Medio Oriente – un luogo più sicuro è una mera illusione o una bugia. Infatti finora nessuno degli interventi decisi da Trump in Medio Oriente è stato di alcuna conseguenza per la sicurezza della regione, contrariamente a quanto affermato da lui stesso e da altri suoi collaboratori.

Laddove le milizie Quds comandate per 22 anni da Soleimani rimangono attive, le popolazioni di Siria, Iraq, e di altri stati mediorientali continueranno a subire le conseguenze dell’ingerenza iraniana. La morte di Al-Muhandis e gli attacchi mirati che gli Stati Uniti hanno compiuto non scioglieranno la milizia locale di matrice Iraniana, che è fortemente radicata in Iraq.

Tali scenari sono simili a quanto è accaduto con la morte di Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello stato Islamico, la cui scomparsa non ha reso la regione più sicura dal terrorismo e dalla violenza in generale. Infatti gli attacchi dell’Isis sono continuati e sia la Russia che il regime siriano hanno continuato a usare la scusa delle “operazioni anti-terrorismo” per intensificare campagne militari condotte contro civili contrari al potere di Bashar al-Assad, operazioni che hanno comportato la morte di migliaia innocenti e lo sfollamento della popolazione da intere regioni.

I raid aerei ordinati da Trump nel 2019 su obiettivi siriani non hanno de facto impedito la campagna di sterminio che Damasco ha condotto contro la sua stessa popolazione. E men che meno tali interventi hanno portato ad un’escalation del conflitto che doveva sfociare, secondo le previsioni ripetitive di media e “strateghi” di sinistra, nella terza guerra mondiale.

Finora durante il suo mandato Trump ha impiegato la propria retorica per sostenere di volta in volta sia la necessità di ritirarsi dal Medio Oriente che quella di condurre azioni aggressive – emblematica la sua decisione di “tirare le truppe fuori dalla Siria” per poi ridispiegarne una parte a “difesa del petrolio”.

Sarebbe quindi più opportuno osservare che spesso Trump prende decisioni politiche che sembrano essere basate più sul proprio ego e su ciò che gli si addice, e non tanto dettate dalla necessità di proteggere interessi autenticamente americani in una determina area geopolitica o da qualche diabolica e criminale trama imperialistica a stelle e strisce.

Gli omicidi di Soleimani e al-Muhandis sono stati accolti con un certo sollievo in alcune aree del Medio Oriente, in particolare fra quelle popolazioni duramente colpite nel passato dalle azioni dei due capi militari.

Tuttavia coloro che nel mondo arabo hanno pubblicamente commentato in modo positivo la morte dei due comandanti, visti come criminali di guerra, sono stati bollati dai media difensori dell’Iran come sostenitori dell’imperialismo americano.

In tal modo la sinistra “contraria alla guerra” finisce per minimizzare la morte di centinaia di migliaia di persone e per riconoscere, tramite un paradosso assurdo, come unici morti quelli causati dagli interventi militari degli Stati Uniti, di Israele o dei loro alleati.

E dire che è difficile nascondere i crimini che l’Iran e i suoi emissari hanno commesso negli ultimi 10 anni.

Il regime di Teheran ha de facto supportato un brutale giro di vite da parte del regime siriano contro le proteste dell’opposizione e si è reso responsabile dell’uccisione di massa di civili attraverso bombardamenti aerei e assedi. Ha perfino inviato ragazzi minorenni di origine afgana, formalmente rifugiati in Iran, a combattere in Siria per suo conto. E la pratica di usare ragazzini come carne da cannone ha in Iran una storia che risale almeno a 40 anni fa, all’epoca del conflitto con l’Iraq, quando Khomeini non si faceva scrupolo di inviarli disarmati a gruppi allo scoperto per individuare i campi minati nemici, con una chiave di plastica appesa al collo – la chiave del Paradiso dei martiri.

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E non è un caso se l’immenso cimitero di Behesht-e Zahra, che ospitava i resti dei giovani caduti in guerra e sorgeva lungo la strada per Qum, a sud di Teheran, durante il conflitto con l’Iraq cresceva più velocemente dei nuovi quartieri popolari della capitale iraniana.

L’Iran ha inviato attrezzature e personale militare alle formazioni di Houthi sciiti nello Yemen, che proprio come i loro nemici, i sauditi e gli Emirati, sono stati accusati di aver commesso crimini di guerra nel conflitto yemenita. In Iraq ha sostenuto e diretto le milizie che hanno commesso svariati crimini contro la popolazione civile. In questo senso, non sorprende che i siriani, che hanno vissuto il trauma della perdita di amici e familiari durante l’assedio di Aleppo e hanno dovuto sopportare l’oltraggio di aver visto le forze di Soleimani entrare nella loro città nel 2016 – città nella quale potrebbero non poter mai più tornare –  abbiano esultato alla notizia della sua morte.

Analogamente non sorprende che i manifestanti iracheni, che hanno visto i propri compagni uccisi con proiettili e granate fornite dagli arsenali militari di Teheran, abbiano salutato con gioia la notizia della morte di al-Muhandis, più volte identificato come il carnefice che aveva diretto la repressione.

La stessa sinistra che manifesta preoccupazione per l’azione americana di 2 settimane fa rifiuta di riconoscere, o al più minimizza, l’intervento iraniano in Siria, Yemen e Iraq e come la popolazione di tali stati si sia ribellata apertamente contro l’autoritarismo, la corruzione e il settarismo di governi appoggiati da Teheran. Quando nel 2018 e nel 2019 sono scoppiate proteste in Iran, ancora una volta queste sono state inquadrate nella narrativa sul tentativo di destabilizzare un governo di una repubblica islamica sovrana ad opera di potenze straniere.

La costante necessità di difendere a qualunque costo il governo iraniano, anche contro l’evidenza e le proteste del proprio popolo, sembra un articolo di fede che va recitato a livello mondiale a prescindere dai fatti. Questo è lo stesso segmento di sinistra che identifica chi rivolge critiche al regime di Teheran come traditore ed alleato di Israele, cosa che appare altamente paradossale, considerando che in Medio oriente da anni sia Israele che l’Iran vanno commettendo azioni militari o crimini che dir si voglia del tutto simili.

Esiste quindi solo l’imperialismo USA? Si direbbe chiaramente di no. Ci sono state forti reazioni sulla violazione della sovranità Irachena da parte degli Stati Uniti, ma si è detto poco delle azioni iraniane e russe che violano la sovranità degli stati mediorientali. Basti osservare che la costante presenza di Soleimani in Iraq per impartire ordini a funzionari e quadri delle forze armate e delle milizie irachene è solo uno dei molti segni della mancanza di rispetto da parte dell’Iran della sovranità irachena.

In Siria il dispiegamento di forze iraniane e russe, che la sinistra globalista vede come azione giustificata dall’invito di un presidente “legittimo” – Assad – viene invece visto da moltissimi siriani come un’occupazione consentita da un dittatore temuto ed odiato, che non è mai stato eletto e che non rappresenta la maggioranza del popolo.

Il dibattito attorno agli omicidi di Soleimani e al-Muhandis è servito a illustrare, ancora una volta, la rappresentazione incoerente di una componente sostanziale della sinistra “progressista” di ciò che rappresenterebbe “l’imperialismo”. Si contrassegnano prontamente le azioni statunitensi e israeliane come imperialiste; tuttavia aggressioni di altri potenze – che si tratti della Russia, della Cina, dell’Iran o dei loro alleati – vengono ignorate, minimizzate o incapsulate in narrazioni di interventi “anti-terrorismo”, del tutto simili in realtà a quelle date da Washington e Tel Aviv.

Pertanto attacchi statunitensi ed israeliani alle forze iraniane o al regime di Assad sono stati denunciati come atti di imperialismo, mentre le uccisioni di massa di civili siriani da parte di forze iraniane e russe sono state ignorate, messe in discussione o spesso presentate come morti causate proprio dal terrorismo che i soldati di Mosca e Teheran combattono.

Il grido “La terza guerra mondiale sta arrivando” ogni volta che gli Stati Uniti si rendono responsabili di un intervento ignora bellamente il fatto che da decenni milioni di persone in Medio Oriente, dove anche interventi israeliani, russi o iraniani hanno fomentato conflitti, stanno già vivendo la realtà di tale guerra.

Essere veramente contro la guerra significherebbe denunciare tutte le aggressioni armate e condannare indistintamente tutti i responsabili di crimini di guerra – proprio a partire da Qassem Soleimani. Al momento le uniche vittime certe delle azioni susseguitisi all’intervento ordinato da Trump, oltre a Soleimani e al-Muhandis, sono stati i 176 passeggeri del volo ucraino abbattuto per errore dalle forze iraniane in un tentativo di proteggere le proprie installazioni militari da quello che temevano potesse essere un attacco esterno, e se quel volo l’avesse abbattuto un missile USA viene da chiedersi cosa avrebbe detto la sinistra globale…

Per il resto la vendetta del regime di Teheran per la morte di Soleimani è stata una gradinata di missili contro due basi USA nell’ovest dell’Iraq che ha causato altre 80 vittime fra i civili, ma nessuna fra i militari americani, cosa che fa sorgere qualche dubbio sull’effettiva volontà dell’Iran di punire il grande satana. Insomma i fatti recenti, dopo 40 anni di parate di regime e retorica integralista anti-occidentale, sembrano far pensare che l’Iran rimanga imbattibile “tra i suoi monti”, ma, nonostante le infuocate dichiarazioni contro Stati Uniti e i loro servi, preferisca non essere messo alla prova. Chissà perché?

 

Alessandro Guardamagna

16.01.2020

 

Alessandro Guardamagna lavora come insegnante d’inglese e auditor qualità a Parma, in precedenza ha ottenuto un PhD in Storia e un Master in American Studies presso University College Dublin, in Irlanda, dove ha lavorato e vissuto per 10 anni. Da sempre sovranista, scrive articoli di politica e storia su ComeDonChisciotte dal 2017.

 

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