Di Jacopo Brogi e Alessandro Fanetti per ComeDonChisciotte.org
Sono passati esattamente 45 anni: un 1979 cruciale per l’Iran e l’intero Medio Oriente. L’11 febbraio la rivoluzione guidata dall’Imam Khomeini arrivava a compimento e, meno di due mesi dopo, il 98% del popolo votava al referendum per la Repubblica islamica. “Nè Oriente, né Occidente”, così Khomeini, guida politica e religiosa, poneva le sue condizioni al mondo della Guerra Fredda. Un orizzonte che oggi, di fronte alla crisi dell’unipolarismo angloamericano, è “multipolare”.
L’Iran, proprio da questo 2024 incandescente, è entrato a pieno titolo nei BRICS, i paesi non allineati ai dettami di Washington. Al centro di tutto la questione del conflitto tra Israele e Palestina, la cui escalation si sta trasformando in una guerra regionale, con tutti i rischi mondiali che ciò comporta. A partire dalle vite umane che travolge ma anche dai nudi interessi energetici, economici e commerciali che rischia di sconvolgere, compresa la nostra quotidianità, fatta di produzione, consumo e costi esorbitanti per vivere.
Abbiamo incontrato S.E. Mohammad Reza Sabouri, dal 2022 Ambasciatore iraniano in Italia, per cercare di capire la posizione dell’Iran sia rispetto al conflitto in corso, che sulla nuova fase internazionale legata alla transizione multipolare che non ci riguarda direttamente ma coinvolge quel resto del mondo che da sempre l’Occidente considera terra di conquista. E che oggi dissente.
- S.E. Ambasciatore, grazie per aver accettato questa intervista. Alla luce degli eventi del 7 ottobre 2023, la questione ‘israelo-palestinese’ è tornata in primo piano nel dibattito pubblico occidentale. Si tratta di una questione che si trascina da ben prima del 2023 ed è assolutamente inaccettabile, almeno per chiunque abbia conservato un minimo di buon senso nel mondo. Qual è la posta in gioco in questo conflitto, che va avanti almeno dal 1948, e come potrebbe essere risolto?
“A mio avviso, l’enfasi posta dai media e dalle autorità occidentali sul 7 ottobre è un tentativo di distogliere l’opinione pubblica dalla reale radice di questa crisi decennale. Nei media nazionali e internazionali, il regime israeliano insiste sull’ operazione di Hamas del 7 ottobre per giustificare il genocidio e i crimini contro l’umanità commessi nei territori palestinesi in nome del diritto alla legittima difesa. Credo che la radice della crisi palestinese risalga a più di cento anni fa, quando la Palestina fu consegnata prima agli inglesi e poi agli israeliani. Come si può togliere ad un popolo la terra dei suoi padri con la forza e poi aspettarsi il suo silenzio?
Perché tutte le soluzioni e le risoluzioni proposte per la crisi palestinese non hanno avuto successo?
La risposta è evidente: perché non abbiamo mai chiesto l’opinione del popolo palestinese , ignorandolo nelle equazioni politiche.”
- In questo contesto, la Repubblica islamica dell’Iran ha una posizione molto chiara e diretta. Può spiegarci qual è e come agiscono invece le altre potenze regionali e globali coinvolte in questa questione?
“Come lei ha sottolineato, la posizione della Repubblica islamica dell’Iran è stata del tutto chiara fin dall’inizio. Crediamo in una soluzione basata su un referendum che coinvolga le persone che da sempre abitano questa terra, cioè i palestinesi, dentro e fuori i territori occupati. Non giudico le posizioni di altri paesi, ma sono persuaso che qualsiasi soluzione che non tenga in considerazione la volontà degli abitanti originari di questa terra sarà inefficace.”
- Nell’attuale panorama geopolitico mondiale, stiamo assistendo ad uno scontro tra coloro che difendono l’ordine globale unipolare sorto dopo la fine della Guerra Fredda e coloro che invece aspirano alla nascita di un mondo multipolare.
“Fin dall’inizio della fine della Guerra Fredda e del crollo dell’Unione Sovietica, si è discusso intorno al tipo di sistema che dovrebbe governare le relazioni internazionali: non è una questione nuova. Non si tratta di un mero dibattito accademico, poiché la risposta a questo quesito influenza il destino di tutti i paesi in quanto attori del sistema internazionale. Fin dall’inizio, la teoria del sistema unipolare, promossa in primis dagli americani, ha dovuto confrontarsi seriamente con visioni opposte; in Europa è stata avanzata persino l’idea che la globalizzazione, a causa della velocità dei cambiamenti e dello slancio dei processi evolutivi, ha fatto sì che il sistema internazionale rimanesse in uno stato di transizione.”
- Che ruolo ha Teheran in questo contesto?
“La nostra posizione era ed è chiara fin dall’inizio: siamo contrari al sistema unipolare e favorevoli a quello multipolare.
Nel frattempo, dovremmo considerare alcuni aspetti: in primo luogo, il fatto che la natura del potere è cambiata, anche se esiste ancora una sorta di oscillazione tra il quarto aspetto del potere, cioè il potere discorsivo da un lato e il potere intelligente dall’altro.
In secondo luogo, il cambiamento nella tipologia e nel numero di attori: oltre alle grandi potenze, sono scesi in campo anche attori regionali. Oltre ai governi ci sono infatti altri protagonisti come le multinazionali, i partiti , i media; in un certo senso stiamo assistendo a una sorta di erosione del ruolo dei governi.
In terzo luogo, la natura dell’interazione tra gli attori è cambiata in modo tale che lo “spazio di concorrenza-cooperazione” domina le relazioni tra loro in un “sistema internazionale equilibrato” e l’importanza delle reti virtuali in uno spazio di “crescente trasparenza” ha dato priorità ai processi rispetto alle strutture.”
- La questione israelo-palestinese è più importante che mai, poiché la civiltà islamica è un polo del nuovo mondo multipolare in costruzione e l’Iran ne è una parte fondamentale. In caso di escalation occidentale, l’Iran è il vero obiettivo?
“Non interpreto la crisi in corso nei territori palestinesi occupati come uno scontro di civiltà, anche se negli ultimi mesi ho sentito questo tipo di narrazione in alcuni politici. L’ oggetto del dibattere qui non è la questione della civiltà islamica contrapposta a quella occidentale.
Come ho detto, il punto è la vera radice della crisi palestinese, ovvero il fatto che si stanno ignorando i diritti del popolo palestinese e si sta negando il suo diritto a determinare il proprio destino. Non ridurrei la questione nella prospettiva dello scontro di civiltà.
Sul fatto che l’Iran sia un obiettivo o meno in caso di escalation, va ricordato che la rivoluzione islamica iraniana ha avuto i suoi nemici fin dall’inizio, e la radice di questa inimicizia sta nello sforzo dell’Iran di diventare un paese indipendente e di opporsi all’egemonia americana. Questa convinzione si è diffusa in molte altre nazioni dove è stata accolta con favore, pertanto nel tempo si è cercato di affrontarla in modo diverso: dalla guerra imposta dal regime Baathista iracheno all’ induzione di disordini nel paese.”
- L’Alto Rappresentante dell’UE Borrell ha addirittura parlato di “giardino” e “giungla” in riferimento alla presunta superiorità occidentale sul resto del mondo. Chi conosce davvero L’Iran, sa che è un paese tradizionale, sviluppato e accogliente. Qual è il significato diplomatico delle parole di Borrell?
“Affermazioni come questa ricordano la letteratura colonialista e razzista. Invitiamo coloro che sollevano e diffondono queste opinioni a rivedere la storia dei paesi africani ed asiatici, nonché e le loro relazioni con i paesi europei, affinché non venga dimenticato che la ragione dell’arretratezza di molti di questi paesi risiede nelle politiche adottate dalle potenze europee.
Storicamente, almeno negli ultimi secoli, questo giardino ha invaso la giungla. Sfortunatamente, è sotto l’influenza di questa atmosfera che vediamo più di 25.000 persone martirizzate a Gaza dal regime sionista nel silenzio protratto dai governi occidentali.
In pratica, i diritti umani sono uno strumento nelle mani dell’Occidente per portare avanti la sua politica estera alla ricerca del dominio e, in altre parole, per mantenere il controllo del giardino sulla giungla.”
Di Jacopo Brogi e Alessandro Fanetti per ComeDonChisciotte.org
11.02.2024
Jacopo Brogi, autore e documentarista; freelance United Photo Press. “La realtà ha bisogno di più testimoni. Per mostrarla e per cambiarla.”
Alessandro Fanetti, studioso di geopolitica e relazioni internazionali, autore del libro Russia: alla ricerca della potenza perduta (Edizioni Eiffel, 2021).