La crisi climatica è colpa nostra

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DI GEORGE MONBIOT

TheGuardian.com

Il grande colpo dei grandi inquinatori è stato buttaci addosso tutta la colpa della crisi climatica

I giganti dei combustibili fossili conoscono da decenni quanti e quali sono i danni che producono, ma si sono inventati il modo per scaricare le responsabilità su di noi.

Smettiamola di chiamarla Sesta Grande Estinzione e cominciamo a chiamarla come si deve: “Primo grande Sterminio”. Un recente saggio dello storico ambientale Justin McBrien sostiene che descrivere la eradicazione dei sistemi viventi in atto (comprese le società umane) come se fosse un evento di estinzione fa sembrare questa catastrofe un incidente passivo.

E dato che siamo tutti partecipi del primo grande sterminio, la responsabilità non può essere uniformemente condivisa tra tutti. L’impatto che ha su questo evento la maggior parte delle persone del mondo è minimo. Anche quella classe media del mondo ricco, quella che produce effetti significativi, deve seguire un sistema di pensiero e di fare che è modellato per lo più dalle grandi corporation.

Siamo tutti guidati da una ideologia che ci è tanto familiare ed è tanto pervasiva che non la riconosciamo nemmeno come una ideologia. Si chiama consumismo.

La lista degli inquinatori  pubblicata dal Guardian indica che solo 20 aziende dei combustibili fossili, alcune di proprietà statale e altre dell’azionariato, hanno prodotto il 35% dell’anidride carbonica e del metano rilasciati dalle attività umane dal 1965 ad oggi. In quell’anno infatti il presidente della American Petroleum Institute disse ai suoi membri che il biossido di carbonio, prodotto dalle loro aziende, avrebbe potuto causare “marcati cambiamenti climatici” entro il 2000. Sapevano quindi, già allora, che cosa stavano facendo.

Anche quando i loro stessi scienziati li informarono che continuare ad estrarre combustibili fossili avrebbe potuto causare conseguenze “catastrofiche”, le compagnie petrolifere hanno continuato a  pompare miliardi di dollari per contrastare le azioni dei governi. Diedero soldi ai think-tank, pagarono scienziati in pensione e crearono false organizzazioni spontanee per gettare  dubbi e scherno sulla scienza del clima. Hanno sponsorizzato i politici, in particolare quelli del Congresso USA, per bloccare i tentativi internazionali di ridurre le emissioni di gas serra e hanno investito molto nel ridipingere di verde la loro immagine pubblica.

Questi sforzi continuano ancora oggi, con gli annunci della Shell e della  Exxon che creano nel pubblico l’impressione fuorviante che stiano passando dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. In realtà, il rapporto annuale della Shell rivela che l’anno scorso ha investito $ 25 miliardi in petrolio e gas, senza fornire cifre sugli ingenti investimenti in tecnologie a basse emissioni di carbonio e la Shell stessa è stata in grado di fornirli nemmeno quando io l’ho sfidata espressamente a comunicarli.

Un articolo pubblicato su Nature mostra che abbiamo poche possibilità di evitare un riscaldamento globale di almeno 1,5° C. a meno che le attuali infrastrutture per estrarre combustibili fossili non vengano fermate, ma (al contrario) l’industria intende accelerare questa produzione, spendendo circa $5 mila miliardi nei prossimi 10 anni per lo sviluppo di nuove riserve. È una dichiarazione di ecocidio.

Ma la bugia più grande e di maggior successo che raccontano è questa: Il primo grande sterminio è dovuto alle scelte fatte dai consumatori. Come risposta alle domande poste dal Guardian, certe compagnie petrolifere hanno detto di non essere responsabili delle nostre decisioni se vogliamo comprare i loro prodotti. Ma NOI siamo inseriti in un sistema di loro creazione: una infrastruttura politica, economica e fisica che ci crea l’illusione di poter scegliere mentre, in realtà, non ci concede alternative.

Siamo guidati da una ideologia che ci è tanto familiare e tanto pervasiva che non la riconosciamo nemmeno come una ideologia. Si chiama consumismo ed è stato realizzato con l’aiuto di abili pubblicitari e di esperti di marketing, da una cultura disegnata dalle corporate celebrity e dai media che ci fa sentire come destinatari di beni e servizi e non come artefici di una realtà politica. Siamo tutti bloccati in un sistema di trasporti, di urbanistica e di energia che pur volendo fare delle buone scelte le rendono quasi impossibili. E’ un modo di fare che si diffonde come una macchia attraverso i sistemi politici, che sono stati sistematicamente fatti prigionieri  dalle lobby e dalle campagne finanziarie, fino al punto che i leader politici non ci rappresentano più e lavorano invece per chi inquina e li finanzia.

In un sistema come questo, le scelte individuali si perdono nel rumore. I tentativi di organizzare un boicottaggio sono notoriamente difficili e riescono a funzionare solo quando l’obiettivo è limitato e ben visibile. L’ideologia del consumismo è molto efficace nello spostare il senso di colpa: la stampa miliardaria riesce a mostrare la scia di proteste che sta nascendo  verso una presunta ipocrisia degli attivisti ambientali. Ovunque vedo ricchi dell’occidente che dicono che la distruzione del pianeta è dovuta al tasso di natalità troppo alto tra le persone più povere, o dei “cinesi”. E’ questo cercare responsabilità, intrinseca al consumismo, ci rende ciechi davanti ai veri motori della distruzione.

E’ l’enorme potere del consumismo che ci rende impotenti, che ci intrappola in una possibilità di scelta  troppo limitata, in cui ci perdiamo in scelte insignificanti su come ci stiamo distruggendo, piuttosto che per cercare come mettere in atto un cambiamento efficace. Dobbiamo riconoscerlo, ci stanno facendo un “pacco geniale”.

È il sistema che dobbiamo cambiare e non i prodotti del sistema. È come cittadini che dobbiamo muoverci e non  come consumatori. Ma cosa dobbiamo fare? Parte della risposta la troviamo in un libricino pubblicato da uno dei fondatori di Extinction Rebellion, Roger Hallam,  Common Sense for the 21st Century.

Non sono d’accordo su tutto quello che dice, ma, credo, che il rigore e la completezza della sua analisi gli garantiranno un posto tra le teorie della politica.

Inizia con la premessa che le campagne fatte per gradi con piccole richieste non possono impedire né catastrofi climatiche, né collassi ecologiche. Solo delle drastiche rotture politiche, dalle cui rovine si possano costruite delle nuove strutture democratiche più reattive, potranno produrre le necessarie trasformazioni.

Studiando le mobilitazioni che sono riuscite bene, come la Marcia dei bambini a Birmingham, in Alabama nel 1963 (che ebbe un ruolo fondamentale nel porre fine alla segregazione razziale negli Stati Uniti), come i Lunedì di Lipsia del 1989 (che tirarono pallate di neve fin quando non riuscirono a far cadere il regime della Germania orientale ) e il movimento di Jana Andolan in Nepal nel 2006 (che abbatté il potere assoluto della monarchia e contribuì a mettere fine all’insurrezione armata), Hallam ha sviluppato una formula per efficaci “dilemma actions”. Un’azione di dilemma è quella che mette le autorità in una posizione scomoda: O la polizia permette la disobbedienza civile, incoraggiando così a far dimostrare altra gente, oppure deve caricare i manifestanti, creando un potente “simbolismo nel sacrificio senza paura”, incoraggiando, anche così, altra gente ad unirsi alla causa.

Facendo le cose per bene, le autorità non possono vincere.

Tra i fattori essenziali che ha scoperto, ci sono le manifestazioni di migliaia di persone nel centro della capitale, che devono mantenere una disciplina rigorosamente non violenta, dimostrando contro il governo per giorni o per settimane. Il cambiamento radicale – si legge –“è  per lo più un gioco di numeri. Diecimila persone che infrangono la legge hanno sempre avuto un impatto maggiore di un attivismo su piccola scala e ad alto rischio”. La vera sfida è organizzare azioni che incoraggino il maggior numero possibile di persone a unirsi e questo significa che dovrebbero essere programmate alla luce del sole, in modo inclusivo, divertente, pacifico e rispettoso. Una azione del genere è in atto oggi ed è convocata da Extinction Rebellion  nel centro di Londra.

Lo studio  di Hallam fa intendere che questo approccio offre almeno la possibilità di infrangere l’infrastruttura di bugie che le aziende produttrici di combustibili fossili hanno creato e di sviluppare una politica adeguata capace di affrontare la portata delle sfide che abbiamo di fronte. È difficile e il successo non è sicuro, ma – si legge – le  possibilità che la politica faccia qualcosa di efficace in questa drammatica situazione  è pari a zero. Le azioni di dilemma di massa potrebbero essere la nostra ultima, se non la migliore, possibilità di evitare il grande sterminio.

 

George Monbiot

Fonte: https://www.theguardian.com/

Link : https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/oct/09/polluters-climate-crisis-fossil-fuel

9.10.2019

Il testo di questo  articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte  comedonchisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque Primario

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