Keynes e la leggenda del “capital flight”

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di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

C’è un tema in materia di moneta che, in modo alquanto sorprendente, mette d’accordo i sostenitori del pensiero neoliberal con i post-keynesiani, ovvero, metaforicamente parlando, unisce in quella che è la farsa quotidiana di una moneta apparentemente scarsa, sia il diavolo che l’acqua Santa, tra coloro che guidano da sempre l’acceso dibattito sul pensiero economico.

Sto parlando dell’annoso, ma ahimè sempre verde, tema della fuga di capitali – il così detto “capital flight” – indicato, da entrambe le fazioni, come una delle principali cause che condurrebbero al disastro economico di un paese.

Questo mio intervento si rende necessario per tentare di fare nuovamente chiarezza su un tema, come già detto ampiamente dibattuto nel mainstream e tra l’opinione pubblica sempre più social, ancorché usato per mantenere ben torbide le acque della Verità, sempre scomoda a chi è sciocco e/o asservito.

Inoltre, visto che a seguito della nuova policy introdotta dalla direzione di ComeDonChishiotte, i redattori non hanno più la possibilità di rispondere quando vengono chiamati in causa nei commenti dei lettori, questo mio scritto serve anche a chiarire il concetto a chi mi chiama in causa, stante il fatto che sul tema, da tempo mi sono già espresso.

Sì, è vero “pure Keynes conosceva la fuga di capitali” – leggo in uno dei tanti commenti, riferito ai molti articoli che ho scritto sul tema – e allora! mi viene naturale rispondere.

……anche i popoli europei antichi credevano che il mondo finisse alle Colonne d’Ercole finché Colombo non decise di oltrepassarle e far cadere il mito.

Quando John Maynard Keynes (a lui, chiunque vuole accreditare la valenza del “capital flight“, fa riferimento, ndr), parlava del fenomeno della fuga dei capitali, era ben attiva e creduta nel mondo la narrativa del mito del gold standard, ovvero di una moneta convertibile in oro. Risulta chiaro quindi come l’economista inglese, in ogni sua espressione di pensiero – cosciente o meno della portata di questo “mito”- fosse influenzato dalla realtà in cui viveva. Anche se poi, come ben sappiamo, tale realtà valeva solo per coloro ai quali, i soliti poteri che ci comandano, ordinavano di farla valere.

Dal momento che la moneta che emetti è convertibile in oro e quindi stai attuando la politica del cambio fisso, è chiaro che parlare del fenomeno del capital flight è assolutamente sensato, come è altrettanto sensato considerarlo un problema per l’economia di un paese.

Se tu in cambio di merci consegni un estratto conto nella tua valuta convertibile in oro, è evidente che hai una fuga di capitali dal momento che sei costretto a consegnare il tuo oro a richiesta e di conseguenza a veder compromessa la capacità di creazione della tua valuta. Lo stesso vale per i governi di quelle nazioni che in modo del tutto folle, adottano nei confronti della propria valuta la politica del cambio fisso agganciandola ad altre valute, tra tutte il dollaro.

Quindi, il fatto che anche un grande economista come Keynes parlasse della fuga di capitali come di un problema reale e concreto non deve affatto sorprenderci. Ma come ho appena spiegato, egli ragionava, in maniera del tutto errata – ma comprensibile per il suo tempo – in moneta-oro, riguardo ai rapporti con gli altri paesi.

E se ci può apparire singolare che uno dei migliori economisti della nostra storia, non avesse compreso appieno la reale consistenza della moneta moderna, seppur ripeto rapportato al suo tempo, è del tutto inaccettabile che ancora oggi ci siano economisti anche non mainstream, che continuano a ragionare nello stesso modo.

Vale la pena ricordare che, dal 14 Agosto del 1971, ossia da oltre cinquanta anni, tutti i governi del mondo hanno dichiarato, che il fantasma del gold standard non esiste e da allora anche chi ci credeva è costretto a non crederci più.

Voglio andare oltre: dichiarare la non esistenza di una cosa per legge equivale a certificare come quella cosa non sia mai esistita. Infatti, gli stati, chi più chi meno, chi alla luce del sole e chi di nascosto, chi sotto controllo e chi no, tutti e sottolineo tutti, emettevano moneta senza minimamente rapportarsi alle loro riserve auree, ben prima di tale data.

Senza contare che i titoli di stato (moneta fiat a tutti gli effetti con la quale i governi espandevano la spesa pubblica), non erano convertibili in oro. Per non parlare del credito bancario, depositi creati in valuta fiat, anch’essi privi della copertura di oro.

Qualcuno mi vuole far credere che i me.fo. di Hitler, creati attraverso lo strumento fiat, ben molto prima della dichiarazione di Nixon del 71′ – fossero coperti da oro?! Come del resto, non erano tali, i prestiti provenienti dalle banche americane con i quali Mussolini costruì tutto quanto di buono abbiamo oggi nel nostro paese.

Potrei continuare a fornirvi esempi di come la moneta veniva creata dal nulla e priva di copertura di oro anche prima del 71′ – e distribuita, al netto o a debito, a seconda della volontà di chi da sempre la controlla – ma mi fermo qua.

Quello che mi interessa farvi comprendere è che quando vi parlano di capitali che volano da un paese all’altro, vi stanno letteralmente prendendo in giro.

La lettura dei movimenti di capitale in un regime di tasso di cambio fluttuante con una moneta fiat non convertibile in niente, non è la stessa che in un regime di tasso di cambio fisso. Quando un agente del settore privato acquista valuta estera, l’operazione si riflette in registrazioni contabili che cambiano certamente il nome del proprietario della valuta interessata, ma in nessun modo la posizione della valuta stessa, che come valuta nazionale non si muove. Ad esempio, nel caso dell’acquisto di dollari con euro, queste due valute rimangono sui conti del sistema bancario da cui dipendono. L’unica cosa che cambia è il nome del proprietario. Ciò che chiamiamo euro, o dollaro, o qualsiasi altra valuta, sono solo voci nel sistema bancario di un paese della zona euro e degli Stati Uniti.

Quindi non c’è fuga di capitali.

Nominalmente, la valuta del sistema rappresenta il debito pubblico. Le attività finanziarie nette non possono lasciare il sistema bancario nazionale. Rimangono a disposizione del tessuto economico dello Stato interessato. E il fatto che gli stranieri detengano valuta nazionale non è un problema per il paese interessato. Al contrario, dà al paese l’opportunità di effettuare importazioni nette.

La MMT (Modern Monetary Theory) – che spiega alla perfezione tale realtà – sostiene che l’unico obiettivo del sistema economico è soddisfare i bisogni materiali della popolazione residente, principalmente attraverso il consumo. Gli investimenti stessi non hanno a priori il senso della loro utilità finale per il consumo individuale o collettivo. In questa logica la moneta è considerata uno strumento, non un fine. Questo strumento è stato inventato dagli Stati per consentire loro di ottenere ricchezza reale. E questo vale sia per i rapporti dello Stato con il settore privato che con il resto del mondo.

In un regime di tasso di cambio fluttuante, una bilancia commerciale negativa non è un problema. La domanda di risparmio in valuta estera è infatti un’offerta di beni reali. Pertanto, una domanda estera di risparmio netto in valuta domestica porta ad una bilancia commerciale negativa e, al contrario, una domanda interna di risparmio netto in valuta estera porta ad una bilancia commerciale positiva. Questa precisazione è importante perché, per la MMT, una domanda di risparmio in valuta estera significa la disponibilità a vendere lavoro, beni o servizi in cambio della valuta.

Tornando ai post-keynesiani, sinceramente sorprende come questa scuola di pensiero ed i suoi interpreti, dichiaratamente lontani dal mainstream, tra tutto quello di buono che Keynes ha prodotto in fatto di pensiero economico, spesso scelgano come soluzione ai problemi odierni, l’unica parte del pensiero dell’economista inglese che invece si sposa maggiormente con il pensiero neoliberal, quando si parla di moneta.

Credo sia per questa loro non comprensione che molti economisti seguaci di Keynes (alla Bagnai tanto per intenderci, ndr), spesso li ritroviamo ben accetti ed inseriti in tutti i governi del mondo, proprio perché utili e funzionali al disegno predatorio di chi controlla la moneta ed ha la perenne necessità di farla apparire scarsa al popolo. La loro utilità per i poteri profondi è ben dimostrabile poiché quando si varcano i confini nazionali, le loro menti come d’incanto tornano a ragionare in moneta oro. Dando fiato così a tutte quelle narrative che tendono a far sorgere ogni problema possibile, derivante dalla mancanza di denaro, quando si parla di deficit commerciali, vincolo esterno, debito estero, ecc.

Per costoro è estremamente difficile da digerire ed accettare che chi esporta, fondamentalmente lo fa in cambio di un estratto conto in valuta non convertibile i cui numeri sono detenuti presso la banca centrale del paese che importa. Ed è altrettanto difficile, stante il fatto che molti di essi vivono di finanza, accettare che non si mangia con azioni, bond, derivati, futures, ecc.; ma per sopravvivere occorrono i beni reali e chi li produce. E rincorrere una politica mercantilista cercando di ottenere più valuta possibile in cambio di beni forniti, non è certo l’ideale per chi sgobba dalla mattina alla sera per produrli e poi farli consumare ad altri.

Come più volte ci ricorda Warren Mosler, la ricchezza reale di un paese è data da i beni che produciamo più quelli che importiamo meno quelli che si esportano. Questo perché è l’ammontare dei beni di cui possiamo godere direttamente la nostra vera ricchezza.

In conclusione possiamo ben affermare che l’autarchia finanziaria che Keynes cercava all’interno dei cambi fissi di una moneta convertibile e che i post-keynesiani oggi, credono di trovare imponendo il blocco della circolazione dei capitali, è già ampiamente presente in quei paesi dotati di una economia moderna e con un sistema economico sufficientemente sviluppato, frutto di un uso corretto della valuta nazionale all’interno della fluttuazione del cambio, che permette loro di utilizzare appieno le proprie risorse per lo sviluppo del paese.

di Megas Alexandros

 

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