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Giovedì scorso il Primo Ministro inglese Boris Johnson, insieme con i due principali consiglieri scientifici del governo britannico, il chief medical officer Chris Whitty (definito dal Guardian “un esperto rasserenante di cui abbiamo bisogno per affrontare la crisi”) e il chief scientific adviser, Patrick Vallance hanno tenuto una conferenza stampa sul Coronavirus, rispondendo per circa una mezz’ora alle domande dei giornalisti.
I due professori, con carriere mediche e accademiche da ufo, hanno avvertito che la crisi è soltanto alle sue fasi iniziali, quindi sulla base di “evidenze scientifiche”, il contagio per ora è utile e non servono (ancora) misure drastiche come avrebbero preso altri paesi (vedi Cina, Italia). Sarebbe impossibile per ora fermare il contagio spiega Vallance: “Non possiamo impedire del tutto che il contagio si propaghi, e non è nemmeno desiderabile, perché dobbiamo creare una certa immunità nella popolazione per proteggerci anche in futuro”.
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Come l’influenza anche il Corona si sconfigge grazie all’immunità di gregge, che normalmente viene creata con l’ausilio dei vaccini, ma per il Covid-19 il vaccino è ancora lontano e allora appare auspicabile che la parte sana della popolazione contragga il virus e sviluppi anticorpi, perché ciò proteggerebbe anche i più vulnerabili e anziani, che stanno affrontando un maggior rischio.
«Molte famiglie si abituino a perdere i loro cari», perché questa è la linea scelta dal governo inglese, avanti tutta come se niente fosse. Con le dovute raccomandazioni del caso, che si limitano però a dire: “Se hai sintomi di Coronavirus, è importante stare a casa per sette giorni per proteggere i tuoi amici e vicini.”
“Se hai una tosse persistente o alta temperatura (37.8 gradi o più), dovresti stare a casa per sette giorni.”
Mentre in Europa i governi prendono misure sempre più drastiche, Londra vuole adottare un’altra strategia, la vita dovrà scorrere come prima, niente chiusure, niente emergenze, e nessuno circola con la mascherina, mentre scuole e college resteranno aperti.
Eppure Johnson è apparso sia sereno che serio nel momento in cui ammetteva che il Paese si trova ad affrontare la più seria emergenza sanitaria dal dopoguerra e che il numero reale dei contagiati potrebbe aver già toccato i diecimila. Ma ha insistito che prendere misure «draconiane» non farebbe grande differenza e potrebbe addirittura risultare controproducente. Business as usual dunque.
Un po’ contraddittorio anche l’intervento dei due massimi esperti scientifici, che hanno spiegato che bloccare il virus sarebbe impossibile, quindi l’unica strategia resta quella di spalmarne la diffusione nel tempo, in modo da consentire al sistema sanitario di gestire al meglio la pandemia. Aggiungendo anzi che non sarebbe desiderabile il contagio per nessuno, però l’unica salvezza consiste nella creazione naturale dell’immunità di gregge, consentendo quindi alla popolazione di svilupparsi nel tempo gli anticorpi indispensabili per la propria difesa dal virus. Come dire: moriranno 2 generazioni ma la terza finalmente sarà immune. All right !!
Sir Patrick Vallance ha specificato che l’unico modo per poter essere immuni successivamente, nel caso ci sia una ricaduta autunnale, il 60% della popolazione del Regno Unito dovrebbe essere infettata, in modo che il paese possa produrre la meravigliosa “immunità di gregge”. Qualche interesse a fare esperimenti di laboratorio direttamente su cavie umane??
La cosiddetta immunità di gregge (herd immunity) è una forma di protezione indiretta che si verifica quando una parte significativa della popolazione è vaccinata contro un virus, a tal punto da fornire una tutela anche a quei soggetti che non l’hanno ancora sviluppata. Nel caso del Covid-19 c’è tuttavia un particolare non trascurabile, perché dato che non esiste ancora alcun vaccino, l’unico modo per immunizzare gli individui sarebbe permettere la libera circolazione del contagio. Geniale !!… se non ci fossero alcuni effetti collaterali.
Nessuno è in grado di affermare con certezza se l’infezione del nuovo virus conferisce l’immunità ai pazienti colpiti, cioè non sappiamo se le persone infettate possano essere contagiate di nuovo, e poi bisogna fare i conti non solo con la mortalità del Covid-19, ma soprattutto con la sua altissima contagiosità. Questo è il vero problema, dato che non si può parlare semplicemente di tasso di mortalità del virus, visto che i numeri dei decessi REALI non ci sono e forse non ci saranno mai, ma solo di tasso di mortalità tra i contagiati che il sistema sanitario è riuscito a identificare. L’unico dato abbastanza certo credo sia proprio quello dei decessi, anche se è estremamente difficile comprendere se le morti sono avvenute PER il CV o CON il CV.
Comunque se si bada solo al dato dei decessi, la mortalità è più alta rispetto all’influenza, perché il dato nazionale italiano al momento è di 6.6% complessivamente, variando da un minimo dello 0.5% per i giovani fino al 15% per gli over 70. Tutta questione di denominatori poi, se si fanno confronti con altri Paesi, come la Corea del sud 0,5%, la Cina 4,5%, lo spiega benissimo il Prof. Massimo Galli (Infettivologo ospedale Sacco Milano) nell’ultima puntata di Piazza Pulita.
Però l’assoluta priorità è quella che riguarda i pazienti che devono entrare in terapia intensiva, cioè circa il 10% delle persone con sintomi. Ed è questo il dato da tenere principalmente sotto controllo, perché se dovesse aumentare in modo esponenziale e repentino, c’è il rischio che il sistema sanitario non regga, provocando la morte anche di infartuati, o pazienti colpiti da altre patologie, che hanno necessità impellente di terapia intensiva. Il vero problema è la velocità con cui le persone vengono contagiate, una velocità che causa un gran numero di ammalati contemporaneamente e strutture sanitarie al collasso.
Quindi la querelle paranoica del confronto tra corona e influenza dovrebbe rispettare non solo i numeri, quanto le diversità peculiari dei due virus. Infatti secondo le stime del Ministero della Salute e dell’ISS in Italia, visti i dati di mortalità specifici per influenza (Istat), i decessi sarebbero qualche CENTINAIA. Il motivo principale è che spesso il virus influenzale aggrava le condizioni già compromesse di pazienti affetti da altre patologie (per esempio respiratorie o cardiovascolari) fino a provocarne il decesso.
In questi casi spesso il virus influenzale non viene identificato o perché non ricercato o perché il decesso viene attribuito a polmoniti generiche. Per questo motivo diversi studi pubblicati utilizzano differenti metodi statistici per la stima della mortalità per influenza e per le sue complicanze. È grazie a queste metodologie che si arriva ad attribuire mediamente 8000 decessi per influenza e le sue complicanze ogni anno in Italia.
Ma il virus corona non è pericoloso tanto per la sua mortalità, quanto per la sua elevatissima contagiosità, che fa saltare sale di rianimazione e terapie intensive.
Per il momento quindi la strategia roulette del premier britannico non ci convince punto, men che meno ci ha convinto la tesi della virologa Maria Rita Gismondo (Direttore responsabile del laboratorio di Macrobiologia Clinica dell’Ospedale Sacco di Milano), sempre presente negli ultimi tempi sui vari talk show nazionali, secondo cui il coronavirus sarebbe poco più di una semplice influenza, quindi le misure draconiane del governo sarebbero state folli.
Basterebbe far notare alla virologa che gli ultimi dati di Bergamo ci dicono che c’è stata una tragica impennata a partire dal weekend dell’8 marzo, impressionanti i dati dei decessi, 232 nuovi contagiati in tutta la provincia in un solo giorno. A Nembro 70 morti in 12 giorni: 120 in tutto il 2019. E non si trovano le mascherine.
Vorrei alla fine ricordare che questa è una guerra batteriologico economica, quindi andrebbe affrontata come tutte le guerre, cercando in primis di portare a casa la nostra pelle e quella dei nostri cari. Alla prossima !!
14.03.2020