Di Sonia Milone per Comedonchisciotte
In una lettera del 10 ottobre 1968, Italo Calvino risponde alla richiesta di Issa Nouri, giornalista giordano, che gli aveva chiesto suggerimenti per la ricerca di un editore italiano per alcuni poeti palestinesi.
Con l’occasione lo scrittore esprime alcune lucidissime riflessioni sulla crisi fra Israele e Palestina e non esita a prendere posizione mettendo in discussione quello che, invece, ora, pare essere diventato un tabù, cioè che “i perseguitati d’un tempo si siano trasformati in oppressori”.
Calvino oggi verrebbe accusato di antisemitismo, tacitato e gettato nel rogo della gogna mediatica come chiunque osi sollevare dubbi sulla narrazione unica imperante. La “reductio ad Hitlerum” è la tattica oratoria usata più spesso, oggi, per squalificare un interlocutore ed evitare il confronto critico sui contenuti: se sei come Hitler, sei il male e con il male non si discute.
L’adozione di certe etichette, di parole-simbolo irrimediabilmente anticritiche e immediatamente “emotive”, serve per censurare certi argomenti espellendoli dal piano pubblico del discorso. Certe idee sono al di là del discutibile, sono dei tabù di fronte ai quali si può solo tacere, interiorizzando l’autoritarismo, la manipolazione delle idee, la distorsione della realtà.
Non solo antisemita, ma anche complottista: la “visione poetica e umana” porta, infatti, Calvino a interpretare la crisi come la lotta fra oligarchie e potentati sulla pelle dei popoli, sia quello palestinese sia quello israeliano. Infatti, scrive che la vera resistenza consiste in “un rinnovamento profondo della società nel proprio paese”.
“Carissimo signor Nouri,
ho letto le poesie della Resistenza palestinese da Lei gentilmente inviatemi. Mi paiono poeti d’una grande forza espressiva, pieni di sincero calore poetico e umano. La cosa migliore sarebbe trovare una rivista che pubblicasse queste poesie. Proverò a rivolgermi a qualche amico che possa presentarle a una rivista.Naturalmente, in noi europei il dramma dei palestinesi ha una speciale risonanza perché i loro attuali persecutori hanno sofferto – in loro e nelle loro famiglie – persecuzioni tra le più atroci e inumane sotto il nazismo e anche molto prima, per secoli e secoli.
Che i perseguitati d’un tempo si siano trasformati in oppressori è per noi il fatto più drammatico, quello su cui ci sembra più necessario far leva.
Mi dispiace che nessuno di questi poeti tratti questo motivo.
Io personalmente vedo la sola soluzione del problema palestinese nella via rivoluzionaria tanto nel mondo arabo quanto nelle masse israeliane.
Rivoluzione degli israeliani poveri (e in larga maggioranza d’origine mediorientale e nordafricana) contro i loro governanti coloniali, ma anche rivoluzione delle masse popolari dei paesi arabi contro le oligarchie reazionarie e militariste (anche se si dicono più o meno socialiste) che sfruttano il problema palestinese per demagogia nazionalista.
La vera Resistenza non è soltanto lotta contro un invasore esterno: dev’essere lotta per un rinnovamento profondo della società nel proprio paese.
Volevo chiarirLe il mio pensiero per confermare la mia solidarietà con gli oppressi e i resistenti palestinesi nel quadro di una visione poetica e umana generale.
La ringrazio molto e saluto con viva cordialità.
Italo Calvino“
Ci mancano i Calvino, i Pasolini, i Guareschi. Ci mancano tutti quei pensatori capaci di illuminare i vicoli ciechi della storia, di infrangere la cappa di vetro del conformismo, di rompere il silenzio dei vigliacchi.
Mai si è visto un simile riallineamento di tutti i poteri in corso di cui il più grave è certamente quello degli intellettuali il cui ruolo storico dovrebbe essere l’indipendenza del pensiero e la libertà di parola. Paolo Barnard denunciava “la viltà del tradimento degli intellettuali sul conflitto israelo-palestinese, l’agghiacciante mancanza di un briciolo di umanità, la svendita dell’anima dei pontificanti signori che non hanno battuto ciglio…”
Gli italiani, da troppi anni umiliati, analfabetizzati e manipolati, sono stati lasciati completamente soli da tutti (politici, giornalisti, accademici, intellettuali, ecc.) di fronte a un potere mostruoso, in balia di dinamiche disumanizzanti.
In questo smarrimento generalizzato dove tutto congiura contro l’essenza più nobile dell’essere umano, il pericolo maggiore è restare ammutoliti ma non possiamo lasciarci zittire perchè la parola è la più potente arma che abbiamo per riuscire ad orientarci, dare un nome alle nostre inquietudini e non cadere nella voragine di vuoto e caos che tentano di aprire nella nostra anima ad ogni nostro passo.
Alla luce di tutto ciò, ricordiamo l’accorato appello “Fermiamo il genocidio” firmato da alcuni autorevoli e coraggiosi intellettuali e pubblicato sul nostro sito.
Di Sonia Milone per Comedonchisciotte