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La notizia che l’UE stia valutando l’istituzione dei cosiddetti “centri di sbarco” negli Stati vicini non-membri è una specie di distrazione di massa destinata a placare la popolazione arrabbiata anche se, fino ad ora, non è stato diffuso alcun piano relativo alle misure esecutive che dovrebbero essere implementate per renderli qualcosa di più di un semplice rattoppo alla crisi dei migranti.
Concetto giusto, strategia poco profonda
Il sito www.politico.eu ha riferito che il progetto d’accordo che sta circolando, elaborato per il vertice del Consiglio Europeo della prossima settimana, annuncerà la creazione dei cosiddetti “centri di sbarco” in alcuni paesi non-UE per facilitare il trattamento dei dati relativi ai migranti.
Il concetto è che le persone intercettate in mare vengano prima inviate in queste strutture per determinare se siano idonee all’asilo o stiano semplicemente migrando per motivi economici, con la prima categoria che potrebbe entrare nell’UE mentre la seconda non avrebbe presumibilmente diritto a questo privilegio, e quindi rimandata a casa nel paese d’origine.
L’idea in sé è abbastanza solida, ma manca fondamentalmente di un qualsiasi meccanismo d’attuazione per garantire la rimozione dei migranti economici dagli Stati che ospitano i “centri di sbarco”, ed anche di un’ipotesi d’accordo con i paesi d’origine, da pagare per il loro ritorno.
I nefasti vicini di casa
L’articolo di politico.eu suggerisce che il membro-Nato Albania e il maggior alleato non-Nato, la Tunisia, vengano considerati come sedi di questi eventuali centri, ma rileva allo stesso tempo che nulla è stato ancora deciso e che “l’apertura di queste strutture in Tunisia potrebbe rischiare di destabilizzare l’unica democrazia del post primavere-arabe”.
E’ importante sottolineare di come non si consideri alcun rischio-sicurezza quando si parla dell’Albania, perché il paese sta già ospitando i terroristi del MEK [https://www.eurasiafuture.com/2018/05/28/trumps-betraying-his-base-with-the-mek/] e intende fare la stessa cosa con Daesh [https://lobelog.com/trump-forces-albania-to-host-islamic-state/]. Il suo ruolo di “base pro-occidente” per esportare la destabilizzazione nella regione resterebbe invariato.
Non è certo se le autorità tunisine saranno abbastanza indipendenti da non essere trasformate in una specie di “Albania nordafricana”, ma l’esempio della vicina Libia dovrebbe far pensare due volte anche gli atlantisti più irriducibili sulla saggezza di questa possibile decisione.
Se ci fossero dei piani seri per garantire la sicurezza in questi luoghi, le preoccupazioni della Tunisia si ridurrebbero e sarebbero pertinenti solo in termini di reputazione internazionale, diventando quel paese un sinonimo di rifugiati/campo di migranti.
Motivi per cui sarebbe ragionevole riconsiderare la saggezza di questo intero piano [“centri di sbarco” in Albania e Tunisia].
Gli ideatori dell’idea dei “centri di sbarco” non prestano la dovuta attenzione alla dimensione sicurezza, che è il loro “tallone d’Achille” perché qualcuno – il paese ospitante, l’ONU, una “coalizione di volenterosi”, dei mercenari o qualche altra forza – deve pur garantire che i migranti intercettati e ospitati in questi “centri” non fuggano dalle strutture a loro riservate prima del completamento delle procedure, per quanto queste possano essere accelerate.
Il pensiero di possibili terroristi che s’infiltrano nelle comunità locali è un rischio a tal punto reale, che politico.eu ha avvertito i suoi lettori che la democrazia della “primavera post-araba” della Tunisia potrebbe essere messa in pericolo se il Paese accettasse questo piano.
Ancora una volta, però, tutto questo non sembrerebbe essere un problema per l’Albania, che l’Occidente ha interesse a mantenere come centro di destabilizzazione regionale contro la Serbia, la Repubblica di Macedonia e persino la Grecia.
Inoltre, se anche dovesse essere trovata una soluzione per mettere in sicurezza i “centri di sbarco”, resterebbero comunque da concordare altre questioni, ovvero individuare chi sarà il responsabile della rimozione forzata da queste strutture dei migranti recalcitranti, se i loro ricorsi in materia di asilo fossero respinti e venisse loro ordinato di tornare in patria.
Ritorno a casa … e poi di nuovo qui?
Di conseguenza, ed è un’altra grande incertezza, se questi individui venissero rimossi qualcuno dovrà pur pagare per il viaggio di ritorno a casa, il che naturalmente solleva la domanda su che cosa accadrebbe se il loro paese d’origine non li volesse indietro, qualunque ne sia la ragione.
Gli incentivi finanziari, comunque, potrebbero indurre i poveri Stati d’origine ad accettare questa fase finale del processo ma, ancora una volta, qualcuno dovrà pur finanziare il viaggio di rientro ed inoltre non c’è modo d’impedire ai rimpatriati di re-infiltrarsi nell’UE, una volta tornati a casa.
Dopo tutto, il Direttore Esecutivo dello “UN World Food Program” ha avvertito a fine Aprile che potrebbe arrivare dall’Africa una seconda crisi migratoria [https://orientalreview.org/2018/04/28/migrant-crisis-2-0-might-come-from-africa/], se solo si considera che mezzo miliardo di persone potrebbero essere cacciate via dal “Greater Sahel Region” e indirizzarsi verso l’Europa, nei prossimi anni.
E’ questo il problema fondamentale alla base della cosiddetta politica del “catch and release”. Non importa se i migranti vengono rilasciati nel paese di transito che ospita i “centri di sbarco” o rimandati nel loro paese d’origine perché, teoricamente, potrebbero continuare a tornare indietro, fino a quando la massa delle persone travolgerà le difese poste ai confini dell’UE, riuscendo a penetrare nell’”utopia del welfare socialista” che tutti loro sognano di vivere.
Corrispondentemente, l’UE potrebbe essere trascinata sempre più in profondità in questa “missione strisciante” [https://orientalreview.org/2018/01/09/italian-jackboot-kicking-africa-face/], attraverso l’istituzione di ulteriori basi nel “Great Sahel Region” per catturare in modo preventivo i migranti illegali diretti in Europa e, per quanto non-etico possa sembrare, stringendo accordi con quei Governi affamati di denaro contante – ovvero dei neo-protettorati – come il Mali e il Niger.
Pensieri conclusivi
Visto che la soluzione più efficace a questo problema richiede una sostenuta e multilaterale campagna militare che colpisca alla radice l’immigrazione clandestina – ma che potrebbe non essere politicamente palpabile per il pubblico europeo, visti gli incalcolabili costi a lungo termine e la sua durata indefinita – la soluzione-cerotto che viene proposta per placare la crescente popolazione eurorealista è l’istituzione dei cosiddetti “centri di sbarco”, un’autentica distrazione di massa che potrebbe causare più danni che benefici se si traducesse nell’invio di migliaia di migranti infiltrati dai terroristi in Albania, prima di essere lasciati di nuovo liberi e potersi sparpagliare in tutta la regione balcanica [https://orientalreview.org/2016/05/20/hybrid-wars-5-breaking-the-balkans-iii/].
Lo stato costiero [Albania] ospita già i terroristi del MEK e ben presto anche quelli di Daesh. L’ultima cosa di cui la regione ha bisogno sono le orde di disperati indigenti che si offrono a questi gruppi terroristici per guadagnare qualche soldo e pagarsi il viaggio verso l’Italia o la Germania.
Andrew Korybko
26.06.2018
Tradotto da Franco – Fra parentesi quadra [ … ] le note del Traduttore