Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org
Sospeso il Gender Indentity Development Service (GIDS) della clinica Tavistock di Londra. Per un anno non potrà somministrare terapie per la transizione di genere a bambini ed adolescenti, di cui è leader mondiale. Lo ha ordinato il Servizio sanitario inglese (NHS) a seguito delle gravi infrazioni rilevate da un’indagine guidata dalla dottoressa Hilary Cass. Novemila cartelle cliniche hanno dimostrato l’abuso di farmaci sperimentali prescritti, da almeno dieci anni, al di fuori dei minimi standard di tutela.
Non è la prima accusa che viene rivolta contro Tavistock. Nel 2020 la giovane Keira aveva citato in giudizio la clinica dichiarando di aver subito pressioni per diventare maschio (cosa di cui si è pentita), che l’hanno portata a prendere bloccanti della pubertà a 16 anni, testosterone a 17 e doppia mastectomia l’anno dopo. L’Alta Corte inglese ha rigettato la denuncia, nonostante una prima sentenza avesse, giustamente, stabilito che i minorenni non hanno la maturità per dare un consenso informato e valutare in modo consapevole il trattamento a cui vengono sottoposti.
Che qualcosa di anomalo stesse capitando in quella clinica era noto già dal 2005 quando la dottoressa Sue Evans inizia ad accusare l’istituto londinese di collusione con gruppi di pressione Lgtb, come Stonewall e Mermaids. Ma è solo nel 2018 – quando finisce sui giornali il rapporto agghiacciante firmato dal responsabile dei servizi per gli adulti – che la verità inizia ad emergere.
Il dottor David Bell accusa Tavistock di spingere migliaia di ragazzini verso la transizione di genere, senza averne approfondito la storia personale con un adeguato percorso psicoterapeutico. Lo psichiatra fa specifico riferimento ai pazienti affetti da autismo, disabilità, trauma (la maggioranza di coloro che si rivolgono alla clinica) che vengono etichettati come trans, anche dopo due sole visite, attribuendo il loro disagio unicamente al fatto di essere “intrappolati nel corpo sbagliato”. Il rapporto gli è costato un’azione disciplinare a cui hanno fatto seguito le sue dimissioni, ma ha trovato la solidarietà di altri medici turbati da quanto stava accadendo. “Non potevo andare avanti così, non potevo più guardarmi in faccia”, ha confessato un dottore dopo che un bambino di soli otto anni era stato indirizzato al trattamento farmacologico.
La terapia è invasiva, irreversibile e sperimentale: le conseguenze a lungo termine non sono ancora state sufficientemente studiate, ma si sospettano anomalie nello sviluppo del cervello, della fertilità, delle ossea. E tutto ciò viene somministrato a ragazzini semplicemente confusi, con soldi pubblici. Le statistiche dicono, infatti, che la maggioranza (una quota tra il 60% e il 90%) dei casi di disforia si risolve spontaneamente poiché l’identità di genere si stabilizza col tempo: in termini scientifici, il fenomeno è noto come “desistenza”.
Nello specifico, il trattamento prevede farmaci ipotalamici per ritardare la pubertà, inibendo lo sviluppo degli organi sessuali per ridurre così l’impatto del futuro intervento chirurgico. Lo sviluppo naturale del fisico viene, quindi, bloccato chimicamente e i corpi vengono congelati in una dimensione fuori dal tempo dove restano asessuati come fogli bianchi su cui, un domani, riscrivere il genere desiderato. È una cancel culture applicata direttamente al corpo: sei femmina ma ti senti maschio?
Cancelliamo il tuo corpo biologico e, come in un video game, maschile e femminile diventano un avatar che puoi ridisegnare quando e come vuoi tu. Anche se, in realtà, è come vogliono loro….quelli che, in un delirio di onnipotenza, aspirano a rifondare sulla natura, l’artificiale come una seconda natura. I trans-gender sono già un prodotto del trans-umanesimo e della sua volontà di trascendere i limiti dell’umano dati dalla natura. Entrambi presuppongono la radicale oggettivazione del corpo, la sua riduzione a contenitore astratto e la sua riformattazione in chiave tecno-medicale. Per l’economia neoliberale il tipo ideale di corpo è il robot, inteso come funzionalità assoluta e asessuata. Un corpo che non ha malattie, solo virus… come sa Bill Gates passato direttamente dai PC ai vaccini.
Siamo di fronte a un esperimento biopolitico sulla carne viva dei più giovani. Il lager legalizzato di Tavistock è stato momentaneamente fermato, ma il Governo inglese non fa nessun passo indietro sulla politica di genere. Il gender avanza in tutti gli Stati mascherato dalla retorica della lotta alle discriminazioni. In Italia, ad esempio, l’AIFA ha recentemente autorizzato per i casi di disforia la somministrazione di Triptorelina, un bloccante degli ormoni fin’ora usato solo in caso di due specifici e gravi tumori. Come se fosse normale (e senza conseguenze) bloccare lo sviluppo di quella macchina perfetta e misteriosa che è il corpo umano e banalizzare la formazione dell’identità sessuale isolandola, con un taglio medico, dalla complessità delle implicazioni fra natura e cultura, cioè dalla vita.
Il primo a comprendere il boomerang che stava arrivando è stato Michel Foucault che, nel 1974, ha coniato il termine “biopolitica” per indicare come la medicina stava diventando una strategia politica. Il filosofo francese ha segnato un punto di non ritorno nella presa di coscienza dei rapporti fra il sapere e il potere di cui anche la scienza è l’esito, nonostante le sue pretese di imparzialità e neutralità.
La teoria del gender svela, come pochi altri fenomeni in atto, la carica ideologica che si nasconde dietro il “regime di verità” che si vuole imporre urbi et orbi.
Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate
scriveva Gilbert Keith Chesterton, nel 1905, profetizzando l’avvento di un’era in cui dire una cosa normale sarebbe diventato rivoluzionario. (1)
“È criminale sottoporre adolescenti e addirittura bambini a trattamenti chimici invasivi”, scrive la dottoressa Debra Soh smontando, punto per punto, le supposte basi scientifiche del gender. Non esiste nessuna neutralità o fluidità di genere: “fare credere il contrario è un crimine verso esseri in formazione”. (2)
Infatti, la teoria del gender, oltre a essere un falso scientifico, è nata da un crimine vero e proprio. Nel 1967 i genitori di Bruce Reimer, di soli due anni, bussarono alla porta dello studio di John Money, endocrinologo di Baltimora, poiché il piccolo aveva subito una lesione ai genitali a seguito di un intervento di circoncisione.
Il dottore convinse la coppia a crescere il bambino come una femmina e lo sottopose fin da subito a terapie ormonali e interventi chirurgici.
Approfittando di una famiglia fragile con problemi di alcolismo, Money voleva dimostrare che “non si nasce maschi né femmine, ma lo si diviene” in base all’autodeterminazione del soggetto. Dopo aver aperto la prima clinica al mondo specializzata nella riassegnazione di sesso, Money presentò, in un libro, pubblicato nel 1972, il caso del piccolo Bruce come la prova trionfale della sua teoria: era riuscito a creare un’identità femminile in un bambino nato maschietto.
L’esperimento, in realtà, finì in tragedia: nel 2002, all’età di 38 anni, Bruce si suicidò dopo aver tentato per tutta la vita di riappropriarsi dell’identità di uomo che gli avevano rubato. Non era mai riuscito a calarsi nel ruolo femminile che gli avevano imposto, compromettendo il suo equilibrio per sempre.
Da Money a Tavistock, la clinica degli orrori è rimasta la stessa e i mostri continuano a girare indossando camici bianchi
Nonostante il fallimento di quell’unico esperimento su cavia umana e malgrado la chiusura della sua clinica per gravi illeciti, Money venne acclamato come il fondatore della teoria gender e della plasticità psico-sessuale dei bambini.
La sociologa Marguerite A. Peeters e la giurista Elisabetta Frezza hanno documentato, tappa per tappa, il percorso che ha artificiosamente elevato a dogma l’invenzione del gender. (3)
Dapprima il suo successo presso il movimento femminista e i circoli omosessuali degli anni ’70 che credettero di trovarvi una base scientifica per le loro battaglie contro la famiglia patriarcale e lo schema maschio-femmina stabilito dalla natura.
Poi la sua strumentalizzazione da parte degli enti per il controllo delle nascite. Infine, il suo approdo alla Conferenza di Pechino dell’Onu, nel 1995, dove è divenuta legislazione (grazie a un colpo di mano ben orchestrato da alcuni potenti gruppi di pressione) e di qui, a cascata, su tutte le normative nazionali.
Fondamentale in tutto questo percorso il ruolo svolto da Planned Parenthood Federation, ente americano per il birth control (fondato nel 1946 dall’eugenetista Margareth Sanger), che è ancora oggi la principale partner e ispiratrice dell’UNFPA, il Fondo dell’Onu per la Popolazione.
Ad esempio, alla fine degli anni ’60, Planned Parenthood stila per l’Oms un memorandum strategico con l’obiettivo di ridurre la natalità in cui indica come incrementare percentualmente l’omosessualità, oltre a come ristrutturare la famiglia, posticipando o evitando il matrimonio.
E non è, forse, l’attuale, fanatica, promozione politica del gender un invito alla sterilizzazione dell’intera società? Poiché, da che mondo è mondo, la riproduzione della specie necessita della complementarietà della donna e dell’uomo.
Si verrebbe così a chiudere il cerchio di un’ossessione che ha pervaso le élite fin dall’inizio dell’Ottocento, dopo che l’economista Thomas Robert Malthus aveva teorizzato l’esaurimento delle risorse planetarie a causa dell’aumento demografico.
Nel 2021 l’Onu ha persino introdotto delle specie di liste di proscrizione per chi non rispetta l’ideologia gender, nel paradosso per cui la difesa delle diversità diviene la dittatura del pensiero unico, con allegata la persecuzione dei dissidenti.
Il gender non ha nulla a che vedere con la lotta contro l’omofobia. L’agenda gender è punto essenziale dell’agenda Onu 2030 e su di essa gli investimenti sono altissimi. Lgtb è la quarta lobby più potente al mondo sostenuta da 379 aziende di Big Tech, dalla Fondazione Rockfeller e da George Soros che, insieme alle rivoluzioni arancioni, finanzia lautamente le rivoluzioni arcobaleno di mezzo pianeta.
Rappresenta una tappa fondamentale verso il Grande Reset, il grande azzeramento di ogni identità: da quelle collettive (nazionali, culturali e sociali) sino a quelle più intime e sessuali. È in produzione seriale l’uomo-trans: tran-sessuale, trans-nazionale, trans-umano, in transito perenne nel nomadismo della precarietà esistenziale.
Il genere è abolito come fondamento oggettivo, essenziale e socialmente riconoscibile per spogliare l’individuo delle ultime forme di appartenenza.
Non si nasce più maschio o femmina, ma in un indifferentismo sessuale che espropria le persone dell’identità più profonda per emigrare in una massa globale indifferenziata. Le nuove frontiere della sessualità sono solo l’ultimo stadio di un lungo processo di spersonalizzazione e de-individualizzazione dell’umano, nel senso di cancellazione di ogni principio di individuazione distintivo.
Il corpo si struttura, innanzitutto, nella differenza maschile-femminile, ora deve obbedire ad un imperativo di spogliamento su cui fondare un’equivalenza generale che neutralizza la potenza della diversità nell’ambiguità omologante dell’unisex.
Il corpo così decostruito, uniformato, negato nella sua differenza può essere riorganizzato come materiale inerte al pari di un oggetto. E se è un oggetto può essere trasformato, “genderizzato”, hackerato, potenziato, impiantato, ingegnerizzato geneticamente (come vedremo dopo).
È una manipolazione dei corpi interamente fondata su uno schema di repressione: il sessuale viene disincarnato dal corpo per essere amministrato dal politico secondo modelli tecnocratici. È una prigionia ideologica, non una liberazione progressista dai pregiudizi.
Lungi dal promuovere il rispetto delle differenze delle minoranze, il globalismo anela proprio a distruggere ogni diversità annichilendola nell’Uno medesimo e indistinto. Uomo e donna sfumano la loro distinzione nella maschilizzazione della donna e nella femminilizzazione dell’uomo, fino alla loro dissoluzione nell’unisex, un mutante in continua metamorfosi. L’androgino è l’abitante ideale del nuovo mondo globalizzato, privo di confini, liscio e senza ostacoli, in bilico sulla soglia della fluidità permanente, idonea alla velocità dei flussi e alla circolazione di merci, persone o informazioni.
Il genderismo è stato eletto da un sistema di potere economico, politico e mediatico votato a smantellare ogni vestigia di civiltà, cultura e tradizione.
Maschile e femminile rimandano, infatti, alla coppia padre e madre in rapida rottamazione a favore di genitore 1 e genitore 2 nella sperimentazione di nuove strutture sociali. La rivoluzione antropologica in atto prevede di rovesciare l’ordine millenario garantito dall’istituzione della famiglia, nucleo fondante del tessuto sociale. Ordine, all’interno del quale, ciascuno, con le proprie peculiarità, cerca di trovare il proprio posto.
Lo hanno dichiarato in tanti, e da parecchi decenni, non solo le femministe e gli omosessuali dell’area estremista, ma anche gli intellettuali della Fabian society, i filosofi della Scuola di Francoforte, i direttori dell’Oms: fondere i sessi, rovesciare i ruoli e abolire la famiglia così come la conosciamo.
Le società non sono entità immobili, nel passato hanno sempre modificato i loro costumi e le loro usanze nel tempo lento del loro sviluppo naturale, ma nessuna comunità al mondo ha mai osato mettere in dubbio la primarietà dell’unione uomo e donna poiché significa mettere in discussione il fondamento stesso della discendenza umana. Il matrimonio è, infatti, tratto specifico antropologico (anche se non ovunque è monogamico), insieme al culto dei defunti.
Oggi, invece, domina un’accelerazione che spinge verso l’imposizione di un nuovo modello sociale che, però, non è scelto democraticamente. Questa svolta apparentemente liberale del genderismo, infatti, si compie all’interno di uno spazio interamente repressivo, dove alla coercizione violenta ne è stata sostituita un’altra, più sottile e subdola perché non riconoscibile.
Ne è la prova il fatto che la struttura capofila nella transizione di genere sia proprio quello che è considerato, da 101 anni, il centro mondiale dell’ingegneria sociale per la manipolazione occulta delle masse.
La clinica Tavistock ha la particolarità unica di essere un centro di studi psichiatrici e un centro di ricerche militari.
Nasce, infatti, nel 1921 sotto il patrocinio dell’Ufficio per la guerra psicologica dell’esercito britannico ed è diretta da un militare, lo psichiatra John Rawlings Rees. È finanziata, fin dal 1930, da lobby potentissime come la Rockefeller Foundation e la Macy Foundation. I suoi clienti sono enti governativi, università, multinazionali, ecc.
Inizia la sua attività specializzandosi nello studio dei traumi psicotici dei reduci della Prima Guerra Mondiale scoprendo come l’esposizione al terrore dei bombardamenti li avesse resi particolarmente influenzabili con reazioni prevedibili (in termini tavistockiani “profilabili”).
Da allora, la ricerca a Tavistock è sempre stata focalizzata su studi sperimentali per capire il punto di rottura della mente in condizioni limite, come nel caso dei prigionieri di guerra. Rees sosteneva che “le guerre non si vincono uccidendo l’avversario, ma minando e distruggendo il suo morale e conservando il proprio”. (4)
L’attenzione passa poi dal singolo alle dinamiche di gruppo, grazie all’apporto fondamentale di Kurt Zadok Lewin, cofondatore della psicologia della Gestalt.
Nel 1945 Rees pubblica un libro in cui teorizza che metodi analoghi a quelli sperimentati in guerra, possono essere applicati su intere società o gruppi in tempo di pace e crea un reparto speciale di esperti che fungono da consiglieri su questioni militari, politiche, economiche e culturali.
Nel 1957, un altro psichiatra di Tavistock, William Sargant, documenta i suoi studi in un suo libro in cui spiega che
vari tipi di credenze possono essere inculcate in molte persone dopo che la funzione cerebrale è stata deliberatamente disturbata da paura, rabbia o eccitazione accidentali o volutamente indotte. Tra le conseguenze più comuni di questi disturbi si possono annoverare una capacità di giudizio temporaneamente menomata e una suggestionabilità ingigantita. (5)
Parole profetiche, alla luce di quanto accade da quasi tre anni, in cui le persone sono costantemente bombardate da notizie su guerra, pandemie, eco-catastrofi…
Gli psichiatri di Tavistock sono, inoltre, i primi a comprendere l’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione come radio e televisione e a studiarne gli effetti clinici sulle persone già alla fine degli anni ’40.
Rilevano, ad esempio, come la tv produca uno stato di semi-coscienza caratterizzato dalla fissità dello sguardo che rende lo spettatore particolarmente suscettibile ai messaggi contenuti nei programmi. A metà degli anni ’70, l’istituto pubblica uno studio, firmato da Eric Trist e Fred Emery, che raccoglie vent’anni di osservazioni sull’impatto della televisione sulla società americana.
FINE PRIMA PARTE 1/2
Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org
31.08.2022
Sonia Milone. Architetto, specializzata in antropologia culturale, è autrice di articoli e saggi dedicati all’arte e all’architettura (con un occhio particolare rivolto alle “culture altre”) per esplorare, con differenti coordinate critiche, le aree dei transiti, dei flussi e delle derive che solcano i territori della contemporaneità.
NOTE
- Gilbert Keith Chesterton, Eretici, 1905
- Debra Soho, The end of gender. Debunking the myths about sex and identity in our society
- Marguerite A. Peeters, Il gender, una questione politica e culturale, San Paolo edizioni, 2014. Per Elisabetta Frezza si vedano le interviste su Byoblu
- John Rawlings Rees, The shaping of psychiatry by war, 1945
- William Sargant, Battle for the mind, 1957
- Bertrand Russel, L’impatto della Scienza sulla Società, 1951
- Alla fondazione del Wfmh partecipa anche Norman Montegu, governatore della Banca d’Inghilterra
- Julian Huxley, Unesco, its purpose and its philosophy, https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000068197
- Margaret Sanger, The pivot of civilization, 1922
- Ricordo che l’Unar ha firmato la “strategia Lgtb” della Fornero che ha recepito parte della Raccomandazione UE del 2010 citata nel testo, strategia che è stata recepita in toto dalla “Buona Scuola” di Renzi.
- Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, 2017, Lafeltrinelli
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org