FIGHT WEB. FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO BARBARO

Dall'ira di Achille ai leoni da tastiera. La macchina del Capitale si allea alla macchina del Virtuale per creare l'esercito dei nick name, i rivoltosi del divano.

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Di Sonia Milone per Comedonchisciotte

Perchè la logica anatomica dell’uomo moderno è proprio di non aver mai potuto vivere, nè pensato di vivere, che da invasato. E’ così che strane forze vengono sollevate e portate nella volta astrale, in quella specie di cupola buia che costituisce al di sopra di tutto quanto il respiro umano la velenosa aggressività dello spirito malvagio della maggior parte delle persone. E’ così che quelle rare buone volontà lucide vedono sè stesse, in certe ore del giorno e della notte, sprofondate a occhi aperti in certi autentici stati d’incubo, circondati dalla formidabile suzione, dalla formidabile oppressione tentacolare di una specie di magia civica che si vedrà presto apparire scopertamente nei costumi come una festa occulta su una pubblica piazza. (A. Artaud, 1947)

Un saluto alla moglie, una carezza ai figli, una cena veloce davanti alla tv e appesa giacca e cravatta o la tuta da operaio per indossare la maschera dell’identità digitale, il popolo della community (trasversale e globale) si dedica alla sua attività preferita: interagire sui blog.

Accanito lettore (…di post), con il tempo il commentatore web è diventato un raffinato esperto in tuttologia: che sia Blaise Pascal o Chiara Ferragni, Giorgia Meloni o la CO2, la guerra in Ucraina o la transizione energetica, non c’è settore in cui si astiene. Ha sempre qualcosa da scrivere: un appunto, un acciglio, una critica contro tutti.

Inveisce con particolare livore contro chiunque gli rubi il ruolo di grande pensatore, in special modo se famoso e competente. La complessità non la capisce e si schiera con fanatismo solo dalla parte delle verità semplificate, le uniche che la piattaforma digitale può supportare per transitare da Telegram a TikTok, da Bari a New York. E dove non vede banalità sospetta complotti, vede nemici, teme pericoli: qui ci sono i buoni, là ci sono i cattivi, in mezzo il nulla, è l’imperativo categorico della nuova società infantilizzata che ama cullarsi nel dolce dondolio delle onde immateriali del 4G dove ci si libera non solo dal peso della materia, ma soprattutto dal peso della responsabilità.

Fondamentalmente è un esaltato a cui hanno fatto credere di essere uno che capisce ciò che gli altri non capiscono e dal pulpito di uno smartphone elargisce urbi et orbi opinioni, imprecazioni e maledizioni. Il suo regno dura il tempo di un post, nella gloria effimera di un narcisismo permanente.

Si accanisce contro il gender e gli uomini travestiti da donna che si illudono di essere donne ma gli va bene indossare la maschera di una falsa identità digitale con cui andare ogni sera a battere il dito sopra la tastiera pur di luccicare sulle strade poco ortodosse del web con il corpo svenduto all’avatar, il dialogo alla chat, la dignità all’inciviltà.

Pronto a scatenare discussioni su discussioni per il solo gusto di conquistare “like”, nulla lo infiamma come il botta e risposta nella guerriglia verbale scurrile dove, spesso, arrivano ad incitarlo e spalleggiarlo bande virulente di supporter che ha creato con più profili fake.

Insulti, parolacce, commenti violenti, sarcasmo, disprezzo, diffamazione, minacce. La Rete è democratica, nessuno può togliere la parola e censurare chi esercita con solerzia il proprio diritto alla (anarchica) libertà di espressione.

C’è un mondo fuori dalla finestra di Windows, ma lui non esce, non socializza, non viaggia: passa tutto il suo tempo libero sui social dove l’orizzonte finisce ai bordi di uno schermo. La sua missione infatti è proprio questa: sparire ed esiliarsi dalla comunità reale per entrare nella community virtuale e ingrandire il grande simulacro della socialità via Facebook.

E dietro lo schermo? Medici, impiegati, disoccupati, casalinghe, padri di famiglia, adolescenti, pensionati, vegani, antivegani, complottisti, anticomplottisti, putiniani, antiputiniani, ecc. Insomma, un fenomeno trasversale a tutti per età, cultura, ceto sociale e idee politiche.

Si chiama shitstorm (letteralmente “tempesta di sterco”), in aumento in ogni parte del mondo, è un fenomeno connaturato al medium digitale.

“Il rispetto è vincolato al nome. Anonimato e rispetto si escludono a vicenda” – scrive il filosofo coreano Han – perchè il nome è la base del riconoscimento e dal nome dipende la cultura della responsabilità. La comunicazione digitale, invece, fatta di utenti anonimi, separa il messaggio dal messaggero erodendo la cultura del rispetto e della responsabilità che sussistono solo quando sono legate a un’identità precisa.

E se Antonin Artaud nel 1947 scagliava il suo urlo contro l’ordine costituito del mondo per squarciare tutte le finzioni che congelano le forze primordiali della vita, quell’urlo risuona più che mai oggi che i costumi sono stati finalmente scoperti e la “festa occulta” viene chiaramente alla luce, ogni giorno di più, allestita sulla “pubblica piazza” del web dove i nuovi stregoni 4.0 elargiscono la loro “magia civica” nera a colpi di dito e di clik, di insulti e diffamazioni.

Nel suo libro dedicato a Van Gogh, lo scrittore francese li descriveva come corvi che con un sobbalzo sommergono chiunque abbia ancora razza, spessore, bellezza “suicidandolo”, oggi la magia nera di questa “società invasata, assolta, consacrata e santificata”, si manifesta nella forma più miserabile dello “sciame digitale” – come lo ha definito Han – che si solleva per inzozzare tutto ciò che incontra.

Prima il Sovrano era colui in grado di far tacere tutti gli altri in un solo colpo, oggi è “colui che dispone le shitstorms in rete”, ovvero colui che dirige il ronzio dello sciame digitale il cui scopo non è altro che quello di incrementare il frastuono di sottofondo che copre ogni voce reale facendo “perdere la capacità di ascoltare, facoltà cruciale della democrazia”.

Il Sovrano dello Stato di Eccezione oggi possiede anche lo stato di eccitazione dei sudditi poichè sa molto bene che il digitale è il medium della concitazione, dell’agitazione, della confusione dove basta un clic per indignarsi e scatenare “shitstorm” diffamatorie.

“Divide et impera” diceva Filippo il Macedone. Nella società dell’ostilità, i social sono il nuovo Colosseo in formato pixel dove lo spettacolo sensazionalistico della lotta fra i gladiatori è sempre in atto per il divertimento del popolino mentre l’imperatore ride.
Che cosa è il Potere si chiedeva nel 1600 Clapmarius se non “l’escogitare ragioni grazie alle quali il popolo soddisfatto e affascinato si astenga dall’uso delle armi”?

Il Sistema ha tolto tutto: una vita dignitosa, un lavoro fisso, uno stipendio decente, un affitto sostenibile, la scuola per i figli, ospedali efficienti, mezzi pubblici funzionanti, libri intelligenti, musica stimolante, luoghi di aggregazione, canali di informazione indipendenti, ecc. E il popolo si genuflette giorno e notte leccando sempre più le catene che ha al collo felice di regalare tutto il suo tempo al web. Schiavi che non sanno di essere schiavi, liberi di circolare nella società dove allo sfruttamento è stato sostituito l’autosfruttamento.

La Rete è un apparato di cattura dove la persona si disincarna per diventare uno spettro evanescente riprogrammato dal medium. Il digitale altera la percezione del mondo, abitua a pensare che reale e virtuale siano equivalenti e intercambiabili, assopisce la riflessione, modifica la sensibilità, annulla l’empatia, premia la velocità, inclina alla reattività immediata e compulsiva. E soprattutto spegne l’azione annichilendo ogni vitalità.

E così anche la rabbia generata dal Sistema Globale Digitale Neoliberista e Transumanista viene canalizzata verso il vicolo cieco di una tastiera senza vie di uscita. La “Società senza rispetto” è la “Società della stanchezza”, della passività conclamata e della maleducazione diffusa che si accontenta di sfogare la frustrazione in un post rendendo impossibile alla rabbia essere agita e cantata. “Cantami, o diva, l’ira del pelide Achille” segna, infatti, l’inizio della civiltà occidentale.

Il medium è il messaggio: non c’è altra verità che, per natura, il web possa veicolare se non l’imposizione, la dominazione e il totalitarismo di sè stesso.

I social non sono lo spazio del confronto, del dialogo, del significato, della resistenza, perchè non sono lo spazio del narrativo ma, all’opposto, dell’additivo, del contabile. Si contano gli accessi, i commenti, i contatti, i like, gli amici: il digitale assolutizza il numerare incrementando l’ideologia della prestazione e dell’efficienza. Ma la Storia è un racconto e chi non sa raccontare non farà parte della Storia, come vuole il Potere che ha eletto il commentatore web a eroe dei nostri tempi.

Agire significa “il potere di un initium”, ha scritto Hanna Arendt, è la capacità di far nascere e dare vita a un mondo radicalmente diverso. Non stupisce che alla sparizione dei corpi viventi dalla città occidentale si accompagni l’azzeramento della natalità dei bambini. La società digitale è la società degli impotenti, in tutti i sensi.

La parola digitale viene dal latino “digitum” e significa “dito” ma il potere risiede solo nella mano e l’atrofia digitale della mano è l’atrofia del pensiero e l’atrofia dell’azione. Dal digitale non nasce nessuna resistenza al potere dominante perchè il digitale è il potere dominante che trasforma ogni cosa in “comunicazione” e la comunità in community. I social network rafforzano la coazione alla comunicazione che è prodotta dalla logica del capitale: più comunicazione significa più capitale, più circolazione accelerata di informazione porta a più circolazione accelerata di capitale.

Come una brava ape regina il Sovrano guida le api operaie a ronzare incessantemente per il web, ad aumentare il ronzio di sottofondo e a produrre sempre più sterco, cioè sempre più miele, un vero e proprio oro giallo, per la sua gioia di ingrassare.
All’ape regina non interessa proprio che lo sciame scarichi il suo sterco su questo o su quell’argomento, su questa o su quella persona poichè sa che lo sciame digitale è fluido e volatile, si dissolve con la stessa rapidità con cui si è formato, senza incidere e lasciare tracce.

All’ape regina interessa solo tenere le api sempre in volo attirate dai fiori finti e dal nettare artificiale del web. L’ordine subliminare è abbandonare il suolo, il contatto con la solidità del reale, con il Nomos della terra, per andare a sorvolare un’idea superiore di essere umano e di società.

Scrive Han: “lo sciame digitale non si raduna fisicamente e non sviluppa un Noi, gli manca l’anima e lo spirito della vecchia folla che marciava in un’unica direzione, formando massa e dunque potere”. Lo sciame è infatti formato da un insieme di individui ottimisticamente integrati nella Rete (per dirla alla Umberto Eco) ma allo stesso tempo isolati, soli. Ecco perchè è privo di massa gravitazionale necessaria per compiere un’azione e per questo non genera alcun futuro.

Ciascuno isolato nella propria cella virtuale individuale, le persone si interconnettono nell’alveare del grande simulacro della socialità affidata alla rete erodendo alla radice l’idea di stare insieme, fare gruppo, costruire una comunità in grado di contrapporre dei valori e degli stili di vita alternativi a quelli imposti subdolamente dall’alto e introiettati inconsciamente.

La politica non è altro che questo: essa è, innanzitutto, una città (in greco “polis”), cioè un luogo dove si incontra una molteplicità (“politeia”) che così crea una civiltà (“civitas” in latino è la città). Esattamente quello che il Potere teme: un Noi al posto di tanti Io dispersi nel web inconsapevoli che esso è uno spazio di dominazione dove si crea un nuovo tipo di schiavitù, in primis quella di fare credere che la comunità virtuale sia un luogo del sociale.

E mentre l’alveare è sempre più pieno, la Società-Città-Stato è sempre più vuota.

Lo sciame digitale distrugge le basi della cittadinanza perchè il cuore di “una vera comunità democratica è un pubblico che discute: ma quale democrazia è oggi possibile rispetto a una sfera pubblica che scompare di fronte a una crescente trasformazione egotica e narcisistica? Forse una democrazia con il tasto mi piace?”, accusa Han.

I Greci li chiamavano Barbari, un derivato da “bar-bar” per definire coloro che non sanno parlare ma solo balbettare. “Bar-bar” sono coloro che non possedendo la parola sono anche privi della ragione perchè essa accade solo nel linguaggio. Un concetto questo espresso dal termine greco “logos” che si traduce sia con parola sia con ragione e che oggi è confermato dagli studi di neurobiologia e linguistica perchè non c’è palestra migliore per l’intelligenza umana del linguaggio.

Senza linguaggio non c’è razionalità, c’è solo il caos di un balbettio sconnesso, un grugnito animalesco privo di senso in un mondo privo di ordine. Barbaro è colui che non medita e quindi non sa, non ha coscienza di sè e del mondo. Vive affacciato sui propri occhi, in una perenne esteriorità a cui reagisce in preda a sensazioni immediate, senza un nucleo profondo, una centratura e una reale guida interiore.

Una volta ci si difendeva dai Barbari innalzando mura a protezione della città e della civiltà. Ora i Barbari hanno invaso le città e si aggirano lungo i viali dell’Occidente come un’orda che inzozza e sfregia tutto ciò che incontra, a cominciare dal linguaggio, lasciando dietro di sé una terra disseminata di detriti, rigurgiti e frammenti.

I nuovi Barbari, cittadini del mondo e di nessun luogo, hanno eletto il web a propria patria e l’indifferenziato a propria etica: l’ignoranza come metodo, l’arroganza come forma mentis, la volgarità come stile di vita, la vigliaccheria come valore supremo.
Non aspirano a qualcosa di elevato, non cercano niente che non sia a portata di dito e di clik. E se anche gli indichi la luna, loro continuano a guardare il dito.

E qui sta il capolavoro dell’Impero Globale Digitale Neoliberista Transumanista (che senza il web non avrebbe mai potuto essere nè Impero nè Globale): aver creato l’esercito perfetto di soldatini ubbidienti senza volto, senza nome, senza coraggio. In marcia senza capire chi guida veramente la fila. La macchina del Capitale manda nel tritacarne della macchina del Virtuale per uccidere il cuore di una società. Paul Virilio, infatti, scriveva che la “bomba informatica” è più pericolosa della bomba nucleare perchè, prima della carne, devasta le anime.

Spesso assoldati ai margini della società dove risiedono i maggiori serbatoi della rabbia, i Barbari sono stati convocati per distruggere tutto ciò che rimane di un’antica civiltà e che può essere sfuggito agli apparati di cattura del sistema. Demoliscono tutto ciò che incontrano perchè a sfasciare ci vuole un attimo, basta un clic e tre righe di commento diffamatorio, mentre a salvare, a preservare, a costruire ci vuole tempo, fatica e, soprattutto, coraggio.

Ma il coraggio è esattamente ciò che manca. Coraggio significa letteralmente “gettare il cuore”: oltre l’ostacolo, oltre i limiti, oltre sè stessi. Ma per avere un cuore bisogna possedere un corpo, sangue che circola, gambe che camminano, occhi che esplorano. Per avere coraggio bisogna avere paura: di perdere tutto o qualcosa, di giocarsi la faccia, di mettere a rischio il proprio nome.
Ma i Barbari non hanno un cuore. Sono puri fantasmi che si aggirano nella grande notte dell’Occidente per scintillare nel virtuale giocandosi il futuro sul filo di una tastiera con il coraggio delegato a un nick name che si sbriciola sotto il sole della vita vera.

Con il passaggio dalla società disciplinare alla società della sorveglianza, il controllo non avviene più tramite le istituzioni del carcere o del manicomio ma tramite il panottico digitale. La nuova prigione è immateriale, il guardiano invisibile e il prigioniero inscrive su sè stesso le regole non scritte, le interiorizza assicurando il funzionamento automatico del Potere.

Per Jean Baudrillard il “nemico” prima era un lupo che agiva per scontro diretto, ora è diventato un virus che agisce per contagio avvelenando le coscienze. La pandemia digitale ha trasformato gli esseri umani in nemici di sè stessi e degli altri.

“Quella delle reti e del virtuale è una violenza virale. Una violenza del dolce sterminio, una violenza genetica e comunicazionale, una violenza del consenso” scrive il sociologo francese. Le nuove forme di violenza non provengono più da ciò che è “altro”, contrario al sistema, ma all’opposto sono funzionali al sistema stesso proprio perché depotenziano la formazione della difesa, del riscatto e della ribellione.

Collassa il nemico come figura storica radicata in un sostrato ideologico e culturale. Nell’era della “costellazione post-nazionale” e della “modernità liquida”, dei flussi, degli spazi virtuali e delle reti globali, viene innervato sistematicamente nel sistema il “commentatore web” che disarticola a colpi di clic le strutture a fondamento della convivenza sociale. Ad iniziare dalle regole base della buona educazione, la cui funzione sociologica, da sempre, è quella di permettere relazioni civili fra i membri di una comunità.

Il commentatore invade ormai ogni anfratto del mondo virtuale, è l’esperto in divano-logia, il ribelle del salotto di casa armato di clic con il dito sempre all’erta. Un vero esempio di virilità, il sogno di ogni donna. Infatti, è stato eletto dal sistema, insieme al gender e al meticcio, per essere il grande eroe dei nostri tempi, il protagonista della nuova era dell’egemonia digitale globale. A lui spetta il compito di devitalizzare ogni spinta all’azione e spegnere ogni lampo che possa turbare il sistema.

I veri ribelli oggi sono quelli che si riprendono la faccia e alzano lo sguardo aldilà dello schermo. Gli unici anticonformisti sono quelli che chiudono il cellulare ed escono in strada a riprendersi le piazze, i luoghi di aggregazione, gli spazi del dialogo. I soli rivoluzionari sono coloro che si presentano con il proprio nome e stringono la mano ad un’ altra persona guardandola negli occhi.

Nel caso non ci riuscissi, apri un “Fight Club”.

Di Sonia Milone per Comedonchisciotte

FONTI

H. Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951
A. Artaud, Van Gogh, il suicidato della società, 1947
J. Baudrillard; La trasparenza del male. Saggio sui fenomeni estremi, 1990
Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, 2015
Byung-Chul Han, La società della stanchezza, 2020
P. Virilio, La bomba informatica, 1999
P. Virilio, Estetica della sparizione, 1992
T. Villani, Gilles. Deleuze, un filosofo dalla parte del fuoco, 1998
E. Zolla, Verità segrete esposte in evidenza, 2003

 

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