Edward Luttwak: la Geoeconomia e il possesso dei mercati

Luttwak sostiene che che gli assunti della geopolitica, fondati sull'uso del deterrente militare e della predominanza della logica di potenza tra le nazioni, verranno affiancate e sostituite da quelle della Geo-Economia un neologismo da lui coniato per descrivere questo nuovo scenario.

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di Fabrizio Bertolami per ComeDonChisciotte.org

 

La tesi di Luttwak, è stata enunciata la prima volta nel suo articolo From Geopolitics to Geo-Economics: Logic of Conflict, Grammar of Commerce su “The National Interest del 1990 (tesi ampliata e dettagliata nel successivo saggio del 1993 The Endangered American Dream) nel quale prospetta un futuro di accentuati conflitti di natura economica per il predominio su materie prime e mercati tra le grandi potenze mondiali.

Egli sostiene che che gli assunti della geopolitica, fondati sull’uso del deterrente militare e della predominanza della logica di potenza tra le nazioni, verranno sostituite da quelle della Geo-Economia un neologismo da lui coniato per descrivere questo nuovo scenario. In questo breve ma illuminante articolo, egli afferma che la fine della Guerra Fredda avrebbe portato a una diminuzione dell’importanza del potere militare negli affari mondiali, e che questo sarebbe stato sostituito dal potere economico delle nazioni e sempre più spesso da quello di attori transnazionali come le aziende multinazionali, senza per questo inficiare i sottostanti assunti della competizione per il dominio e del conflitto.

Tutti, sembra, oggi concordano sul fatto che i metodi del commercio stiano soppiantando quelli militari – con abbondanti capitali al posto della potenza di fuoco, innovazioni civili in luogo di quelle militari e penetrazioni nei mercati esteri invece di basi e guarnigioni. Ma questi sono tutti solamente strumenti, non scopi.” (1)

L’ottica realista inaugurata da Kissinger nei primi anni ’70 viene declinata da Luttwak su presupposti di natura economica quando afferma che:

La scena internazionale resta imperniata sull’esistenza di Stati e blocchi di Stati che perseguono fini differenti gli uni dagli altri e la cui ottica resta comunque influenzata dai propri confini e dalle società che essi amministrano” (2).

Una logica totalmente internazionale del commercio mondiale rimane quindi una prospettiva non realizzabile.

Fondamentalmente gli Stati tendono perciò ad agire Geo-economicamente in quanto entità definite spazialmente strutturate per confrontarsi l’un l’altro sulla scena internazionale (3).

Egli afferma quindi che le logiche seguite dagli Stati in questo nuovo scenario internazionale seguiranno ancora quelle del conflitto e le identifica in quanto segue:

  • Raccogliere tasse e imposte dai soggetti privati in competizione con quanto altri Stati possano fare in relazione a quegli stessi soggetti, in una logica di mutua esclusione (competizione a somma zero).
  • Regolare l’attività economica massimizzando il risultato all’interno dei propri confini, non agendo quindi disinteressatamente per promuovere scopi transnazionali. La logica della regolazione statale è in parte quindi paragonabile a quella del conflitto (fra Stati).
  • Mettere in atto pratiche e regolazioni indipendentemente dalle ripercussioni sugli altri Stati o soggetti economici privati.
  • Promuovere l’innovazione tecnologica per massimizzare i risultati all’interno dei propri confini. A questo proposito cita le limitazioni ai voli del Concorde francese verso gli aeroporti americani o i dazi sui prodotti giapponesi in America.

Il termine Geo-economia rappresenta perciò il permanere di logiche di conflitto messe in atto però con mezzi economici e, parafrasando Von Clausewitz, la continuazione della guerra con la grammatica dell’economia (4). Riprendendo poi le argomentazioni tipiche delle analisi weberiane, afferma che gli Stati agiscono anche sulla scorta delle necessità e degli interessi delle proprie burocrazie, le quali sostituiscono l’agire in termini geopolitici, ormai sempre meno influente, con quello dettato dal ragionamento geo-economico (5). Gli attori burocratici vengono poi a trovarsi nella situazione di essere, o di poter essere, il mezzo tramite il quale gli attori economici nazionali impongono la propria agenda per aumentare il proprio potere economico sulla scena internazionale o per limitare l’apparire di nuovi competitori sul mercato nazionale.

In questo secondo ambito ricadono a esempio l’applicazione di dazi e tariffe sulle importazione di prodotti esteri o sulla circolazione dei capitali. La logica Geo-economica non è però, per Luttwak, un’invenzione recente poiché seppure sotto altri nomi è stata parte importante della vita internazionale nel corso dei secoli (6). In merito a ciò, egli afferma che nel passato il “porre fuori gioco” gli altri Stati fosse dettato da modalità e priorità di ordine strategico, che ad esempio potevano imporre la necessità della cooperazione economica contro un nemico comune (come nel caso dell’alleanza americana contro la Germania e dell’URSS nel XX Secolo) sebbene le logiche meramente commerciali avrebbero imposto un regime di competizione che sarebbe però andato a detrimento dell’alleanza a cui quindi andava data priorità (7).

Un “riordino” di modalità in questi termini era in atto, nel momento in cui l’articolo di Luttwak veniva pubblicato, nei confronti della nuovamente riunificata Germania da parte degli altri Stati europei e nei confronti della politica commerciale aggressiva del Giappone da parte degli Stati Uniti (8). A partire da questi presupposti l’autore si pone una domanda non oziosa:

“Il mondo stava regredendo verso una nuova epoca di mercantilismo come quella antecedente la Prima Guerra Mondiale?

La risposta che propone è negativa; mentre l’obiettivo del mercantilismo era primariamente l’accumulo di ricchezze da parte dello Stato, quello della geo-economia doveva essere quello di fornire migliori impieghi per la più ampia parte della popolazione dello stato stesso oltre all’aumento della sua potenza in relazione agli altri Stati (9). Certamente in questa differenza si può scorgere l’avvento di una variabile come quella dell’affermarsi e del permanere delle politiche di Welfare State assenti dall’orizzonte culturale dei periodi storici antecedenti la Rivoluzione Bolscevica prima e la Grande Depressione poi.

Dall’introduzione del pensiero socialista in poi, non solo al livello delle masse ma anche a quello delle élite, si imponeva una gestione diversa della popolazione e degli scopi ultimi degli Stati stessi. Inoltre, durante l’era mercantilista, le diatribe commerciali potevano sfociare in confronti politici prima e poi militari quasi in maniera automatica, cosa che nel mondo post Guerra Fredda non era né scontata né facilmente realizzabile. Pertanto egli definisce il mercantilismo come una modalità subordinata, ovvero limitata dalla sempre presente minaccia di guerra, mentre riconosce che la geo-economia agisce invece in un mondo in cui non esiste una modalità superiore poiché i traffici commerciali internazionali non possono essere facilmente soggetti a minacce militari, come invece era avvenuto nei secoli del dominio commerciale Olandese, Spagnolo o Inglese (10).

Grande parte di questo cambiamento di paradigma nell’uso della forza era dovuto ai quarant’anni di confronto nucleare tra le superpotenze che aveva fatto nascere la consapevolezza, tra gli esponenti delle Élite mondiali, dell’anti-economicità, se non dell’inutilità, di una soluzione del genere.

L’unica arma a disposizione, in questa nuova forma di conflitto, poteva essere solamente economica attraverso l’uso di dazi, tariffe, sanzioni, sussidi all’esportazione, barriere all’importazione, fondi strutturali e così via (11) .

Il politologo americano riconosce però che

Il ruolo giocato dagli stati tramite la geo-economia non potrà comunque essere maggiore di quello geopolitico che pertanto continuerà a essere il paradigma di ultima istanza nel confronto fra Stati

E questo perché (12):

  1. La propensione degli Stati a agire in maniera Geo-economica varia da caso a caso anche più della propensione a agire in ottica geopolitica. Egli nota ad esempio come la Svizzera, geopoliticamente inattiva, segua logiche altrettanto non geo-economiche. Di converso, negli Stati Uniti la logica geo-economica ha un peso pari se non superiore a quella geopolitica. Ancora, nel caso della Francia il peso dell’ottica geopolitica resta preponderante, seppur affiancata da una crescente consapevolezza dell’importanza della prospettiva geo-economica nell’affermazione sulla scena internazionale.
  2. Gli Stati, pur occupando quasi totalmente la sfera politica mondiale, sono ora affiancati da entità private che in alcuni casi surclassano la loro influenza economica relegandoli al ruolo di co-attori. Questa situazione non potrà che evolversi in maniera ancor più negativa per gli Stati viste le prospettive di continua privatizzazione e deregolamentazione in atto.

Per quanto riguarda questo secondo punto si apre perciò un’epoca di coesistenza il cui grado potrà assumere diverse sfumature, da una coesistenza di tipo passivo nel caso di mancanza di coordinamento tra Stato e entità economiche (come avviene in molti Stati africani a esempio) in cui il primo si accontenta di tassare le attività economiche senza però dirigerne l’evoluzione, ad una di tipo spiccatamente dirigista (come nei casi russo o cinese). Nel mezzo potranno verificarsi forme di coesistenza più o meno spuria come nel caso francese, che predilige la creazione e il supporto ai Grandi Campioni Nazionali nel campo delle infrastrutture per accrescere il proprio peso geopolitico con mezzi economici o, ancora, come nel caso americano in cui attori privati e entità statali subiscono una “reciproca manipolazione”, come avviene per quanto riguarda le grandi compagnie petrolifere in cui lo Stato al contempo usa ed è usato e le Big Oil (le grandi compagnie petrolifere) sono strumento e strumentalizzano a loro volta lo Stato (13).

Luttwak dedica la sua attenzione anche all’evoluzione degli accordi internazionali come il GATT (General Agreement on Trade and Tariffs), che diverrà poi WTO nei tardi anni ’90, nato nel periodo della Guerra Fredda per mantenere coese le Nazioni inserite nel campo occidentale e evitare guerre commerciali, che avrebbero indebolito la coalizione anti-sovietica in un momento topico del confronto (14). Questo accordo, se correttamente sostenuto e adattato, potrà limitare casi di guerra commerciale in questa neonata epoca geo-economica inibendo l’uso di strumenti come dazi, tariffe, barriere o sovvenzioni, sebbene molte delle armi economiche come nuove tecnologie, manipolazione e creazione di standard produttivi o normative ambientali potranno ancora essere fatte valere (15).

Luttwak conclude affermando che

La natura benigna o meno di questa nuova era geo-economica sarà determinata dalla capacità del sistema internazionale di dirigere le forze in conflitto verso un confronto il cui risultato non sia ‘a somma zero’

Non come nel caso di un conflitto armato convenzionale in cui un opponente vince mentre l’altro perde, ma bensì verso un sistema di tipo “win-win” in cui tutti i partecipanti possano ottenerne un tornaconto positivo (16).

 

Di Fabrizio Bertolami per ComeDonChisciotte.org

08.12.2023

 

Articoli Precedenti nella stessa serie:

L’ERA DELLA GEOPOLITICA

TERRA E CONQUISTA: IDEE IN GUERRA

MARE CONTRO TERRA: LA STORIA INFINITA

QUANDO BRZEZINSKI ORDINO’: ALLA CONQUISTA DELL’EURASIA!

FRANCIS FUKUYAMA E LA FINE DELLA STORIA

LO SCONTRO DI CIVILTA’ NON E’ QUEL CHE PENSI

Compendio:

Non avrai altra Propaganda che non sia la mia!

 

Note:

1. E. Luttwak, From Geopolitics to Geo-Economics:Logic of Conflict, Grammar of Commerce,in Gearóid Ó Tuathail, Simon Dalby, Paul Routledge, (a cura di) The Geopolitical Reader, Routledge, New York, 1998, p. 125

2. Ivi, p.125

3. Ivi, p.126

4. Ibidem

5. Ibidem.

6. Ivi p. 127.

7. Ibidem.

8. Ibidem.

9. Ibidem.

10. Ibidem

11. Ivi, p.128

12. Ivi p.129.

13. Ibidem

14. Ibidem

15. Ibidem

16. Ivi p. 130.

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