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La Redazione

 

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E’ vero, prenderebbero l’80% ma al voto non si va. Cottarelli è il capitano Achab della crisi alle porte

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A cura di Davide
Il 28 Maggio 2018
117 Views

DI MAURO BOTTARELLI

rischiocalcolato.it

Che gran politico Matteo Salvini, uno che si nutre a pane e Sun-Tzu! D’altronde, come poteva sapere che Giancarlo Giorgetti ha ottimi rapporti con Forza Italia e che, come tutti gli esseri umani, ha delle ambizioni nella vita, addirittura che vanno oltre all’essere il corvo Rockfeller del capo ventriloquo. Quindi, decidi di andare a uno scontro frontale quasi senza precedenti rispetto alle prerogative del Quirinale e cosa fai? Lasci un bel tallone d’Achille in vista, tanto che il presidente Mattarella nel suo discorso ha detto chiaro e tondo che se Lega e M5S avessero avanzato il nome di Giorgetti al posto di quello di Savona, nulla avrebbe ostato alla nascita del governo e ora staremmo raccontando una storia diversa. Una stoccata devastante, quella del capo dello Stato.
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Per due motivi, a mio modo di vedere. Primo, dai Cinque Stelle – appena è stato chiaro che Giuseppe Conte avrebbe rimesso il mandato nelle mani del presidente – ci si è precipitati, ovviamente in forma anonima, a far sapere che Luigi Di Maio ha tentato fino all’ultimo secondo di mediare per salvare la situazione: come dire, la colpa è tutta da imputare all’intransigenza del leader leghista. Secondo, Giancarlo Giorgetti è molto stimato dalla base non ideologica della Lega, ovvero quegli imprenditori che se ne sono sempre sbattuti i coglioni di idiozie padane, retroterra celtici o altre amenità bossiane e chiedevano costo del lavoro e tasse più basse, meno burocrazia, infrastrutture e viabilità da Paese che compete con i grandi del mondo e non con il Terzo Mondo.
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Gente, per capirci, che quando ha cominciato a sentire i no alle opere pubbliche, dalla TAV in là, ha storto non poco il naso, già non particolarmente dritto a prescindere per l’accordo con i grillini. Gente pragmatica. A cui piacciono poco le battaglie di retroguardia, soprattutto quelle contro i mulini a vento, in nome della coerenza e della dignità. Doti umanamente straordinarie ma che cozzano contro la realtà della politica che, come diceva Rino Formica, è sangue e merda. Spesso, più merda che sangue. Matteo Salvini esce con le ossa rotte da quanto accaduto. E non per aver perso la battaglia con il Quirinale, di fatto uno scontro improbo in partenza ma per aver sbagliato completamente strategia: se vai contro Mike Tyson, provi a sfiancarlo e a non farti colpire, se avanzi come un tir, ti schiaccia come un moscerino. E così è stato.
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Questo, ammesso e non concesso che davvero tutto quanto accaduto fra le 18.30 e le 19.50 di questa sera si sia rivelato davvero un fulmine a ciel sereno per il leader leghista. Io propendo per un 50 e 50. Ovvero, Matteo Salvini aveva deciso da tempo di rompere ma lo avrebbe fatto più avanti, addossando la colpa ai Cinque Stelle a governo avviato: non a caso, in una pausa delle mille riunioni operative con Di Maio, aveva detto chiaramente che il governo si sarebbe basato sul rigoroso rispetto dei punti programmatici e il disattenderne anche uno soltanto avrebbe portato al termine dell’esperienza. A quel punto, si sarebbe andati al governo di transizione verso il voto ma con la Lega in posizione di forza e l’M5S con la nomea di chi non sta ai patti: così, invece, Salvini è l’intransigente al limite dell’irresponsabilità e – udite udite – i Cinque Stelle quelli moderati del gruppo che hanno tentato di mediare fino all’ultimo. Un capolavoro.
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E adesso? La sparata a caldo di Giorgia Meloni sull’incriminazione di Mattarella farebbe pensare a un centrodestra in ordine sparso, liberi tutti. Immagino già il dolore con cui Silvio Berlusconi avrà accolto la notizia giunta dal Quirinale, avrà dovuto mandare un maggiordomo a comprare una scorta maxi di fazzoletti di carta per tergersi le lacrime. Anche quelle di Dudù. Ma, anche in questo caso, davvero si vuole dar vita a una procedura di impeachment, andando incontro potenzialmente a un’altra clamorosa batosta politica? Domani mattina, a tempo di record, Carlo Cottarelli salirà al Quirinale per ricevere il mandato: dirà di sì, per il bene del Paese e senso di responsabilità. Dalla sua ha la nomea di Mister Wolf della situazione e l’iconografia del cavaliere errante che taglia gli sprechi della politica, un vero supereroe nel Paese che tramuta i libri di Stella e Giordano in best-seller, manco fossero Hemingway o Shakespeare che straccia i coglioni con i vitalizi, una goccia nell’oceano di debito e spreco con cui abbiamo a che fare. Perché quanto accaduto stasera non è colpa di Mattarella, il quale ha solamente compiuto il suo dovere non scritto di tutore dell’ordine costituito: chi è più establishment del capo dello Stato? E chi deve difendere, forse la sovranità popolare o gli interessi – più o meno presunti – del Paese?

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Ma non fatemi ridere, il suo discorso è stato geniale, preparato da non si sa quanti giorni per drammatizzare al massimo la situazione e massimizzare i danni verso Matteo Salvini, altra cosa per la quale il Cavaliere sarà dispiaciutissimo. A cosa ha fatto riferimento? Certo, allo spread, alle Borse, ai mercati, alla permanenza nell’euro, all’ipotesi Giorgetti (senza mai nominarlo, ovviamente). Ma, soprattutto, ai mutui. Alla rata che sale. Terrorismo istituzionale allo stato puro, oltretutto in un contesto emergenziale per il Quirinale come non si vedeva dai tempi del famoso “tintinnar di sciabole” del generale De Lorenzo e del Piano Solo.

In tal senso, non mi stupirebbe che domani Borsa e spread drammatizzassero ancora di più la situazione: d’altronde, Piazza Affari ha i bancari in overweight e farla sbandare è un gioco da ragazzi e il differenziale con il Bund (e il Bonos) è nelle mani del mandante di questa operazione, il salvatore della Patria che verrà, quel Mario Draghi cui occorre tenere in caldo il posto fino al 2019. Anno delle elezioni europee, fra l’altro. Nessuno, dopo il discorso di stasera alla nazione, imputerebbe qualche altro giorno di montagne russe all’iniziativa del presidente e, contestualmente, la paura prenderebbe piede in stile 2011, oltretutto alla vigilia delle vacanze estive (e senza l’Italia ai Mondiali a fare da diversivo).

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Tutto studiato alla perfezione e con il Renzusconi pronto a entrare in azione: ha soltanto dovuto fare il giro largo. Ora, si capirà di più. Se per caso dalle file della Lega e dell’M5S più di un culo si alzerà dallo scranno di Montecitorio e Palazzo Madama per muoversi verso altri lidi, magari il neutrale gruppo misto dove votare la fiducia al governo Cottarellli senza dare troppo nell’occhio (tanto mica si vota in fretta e la gente, se gli calmi lo spread e gli garantisci campionato di calcio e smartphone a rate, dimentica in fretta), allora Matteo Salvini avrà dimostrato sì la sua coerenza e buona fede ma anche la sua incapacità di leader nel gestire un’occasione che era, sulla carta, più unica che rara. Tutto per Paolo Savona. Almeno, così dice la narrativa ufficiale. Nonostante il Quirinale avesse pronta la penna per firmare la nomina di Giancarlo Giorgetti all’Economia, senza nemmeno lo spacchettamento del ministero: ho detto Giancarlo Giorgetti, non Wolfgang Schaeuble.

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Certo, per qualche mese il profilo del condottiero tutto coerenza e senza macchia regge ma se, come apre più che probabile, il governo Cottarelli troverà i numeri per nascere e si dimostrerà tutt’altro che balneare, cosa sarà del 17% della Lega? A sinistra, poi, nessuno speri in strane alzate di ingegno di LeU contro eventuali – e più che probabili – manovre da macelleria sociale del governo: già hanno preso il 3%, passare per irresponsabili in un momento del genere significherebbe precipitare automaticamente in percentuale negativa. Come i tassi della BCE. Perché il nodo sta tutto lì, altro che sovranismo o minaccia all’eurozona da parte di un ex ministro di Ciampi e allievo di Guido Carli: sta arrivando il redde rationem del QE.

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Oltretutto con alla Casa Bianca un bipolare, alla FED uno che da solo non sa nemmeno tirare fuori il cazzo dalla patta per pisciare (quest’anno jackson Hole sembrerà il Bagaglino) e in Cina uno che praticamente ha il mandato (e i poteri) illimitato e a vita, quindi in grado di ricattare tutti. Tranne forse Dio, per chi ci crede. Usando un francesismo, sono cazzi. Anzi, è il famoso “cetriolo globale” di Tremonti-Guzzanti, quello che vola basso e che si evita solo stando con le spalle incollate al muro. Ma non si tratta della Muraglia cinese, questo è un muro piccolo. E nemmeno portante. Non c’è spazio per tutti, qualcuno deve prenderselo quel volatile dalle strane abitudini di nidificazione e intrusione. Tocca a noi. Perché anello debole ma, come ci ha detto il Commissario al bilancio UE non più tardi di sabato, anche troppo grande per essere salvato, in caso di nuova crisi.
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Carlo Cottarelli è l’uomo perfetto, il capitano Achab che guida il Paese fuori dalla procella dei mercati, fuori dalla tempesta perfetta: ma occorre farlo lavorare. E dire sì a tutto ciò che chiede. Un po’ come avvenne con Mario Monti. Ma qui sarà peggio, molto peggio. Perché tedeschi e francesi hanno la merda al collo e pur di non dover aprire la bocca e ammettere di non essere Superman, sono pronti a tutto. Il primo passo è stato compiuto, il resto arriverà con l’autunno. Colpa del presidente Mattarella? Siamo di fronte a un “golpe” anche peggiore di quello di Napolitano del 2011, stando alla definizione che ne diede Renato Brunetta? Una cosa è certa, in punta di Costituzione hanno ragione tutti. E nessuno. Ma uno è il presidente ed ha alle spalle Mario Draghi, gli altri sono dei kamikaze romantici pronti a morire per Paolo Savona e la loro supposta coerenza.

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Il risultato è sotto gli occhi di tutti, in queste ore. Davvero un capolavoro, se dobbiamo affidarci alla vulgata della buonafede leghista. Volete la verità? Seguite le mosse dei 5 Stelle nei prossimi giorni e settimane, saranno rivelatrici. Una cosa ve l’avevo detta con largo anticipo, mi fa fede il titolo dell’articolo: Luigi Di Maio è stato sacrificato, perché non strumentale ai piani di Grillo e Casaleggio. E, guarda caso, come vi dissi in tempi non sospetti, il pasionario Alessandro Di Battista ieri si è detto pronto a rinunciare alla vita da viaggiatore-scrittore-giornalista e candidarsi, se si tornerà al voto. Alle urne non si torna ma scommettete che il Robespierre utile ai giochini della Casaleggio Associati tornerà?

Mauro Bottarelli

Fonte: www.rischiocalcolato.it

Link: https://www.rischiocalcolato.it/2018/05/e-vero-prenderebbero-l80-ma-al-voto-non-si-va-cottarelli-e-il-capitano-achab-della-crisi-alle-porte.html

27.05.2018

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