Ex malo bonum. La sconfitta del Drago e dei nemici dell’Italia

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Di Guido Cappelli

L’operazione Draghi al Quirinale è fallita. Le forze politiche, e soprattutto i poteri privati sovranazionali e cosmopolitici che sostengono il progetto, in buona misura distopico, di reset sociale e politico, subiscono una battuta d’arresto. Non è, certo, una vittoria dei Movimenti di opposizione democratica che sono sorti in Italia nell’ultimo anno, anche se il clima di ribellione diffuso da nord a sud da tanti mesi, ha giocato un suo ruolo quanto meno di cartina al tornasole di una sofferenza sociale sempre più acuta. In ogni caso, senza essere una vittoria delle forze del dissenso costituzionale, è di sicuro una sconfitta per chi – in testa i vertici del Pd e settori della grande industria (illusa di “farcela” negli scenari globali) – cercava la svolta autoritaria nel Paese, in senso presidenziale e accentratore. Quella di Draghi sarebbe stata l’ascesa di un uomo forte in piena regola: presidente del Consiglio in odore (mediatico) di santità e dal piglio decisionista, poi presidente della Repubblica con enormi poteri, data la presumibile nomina come PdC di un fedele vassallo; il tutto in un clima ancora dominato dall’emergenza, in buona parte creata ad arte, ma che permette, come si è dolorosamente visto in questi mesi, l’arbitrio politico e la manipolazione spregiudicata del diritto.

Non c’è dubbio che il potere globalista che, dentro e fuori d’Italia, sponsorizza e sostiene Draghi e di cui questi è espressione, ha scelto l’Italia come laboratorio di ingegneria socio-politica, il terreno ideale – per una serie di fattori qui impossibili da enumerare – per sperimentare la demolizione del sistema politico, basato su diritti e libertà strettamente codificati, che ha imperato in Europa occidentale dal dopoguerra in poi, e che ora rappresenta una serissimo limite all’evoluzione in senso autoritario e neofeudale del capitalismo finanziario, ormai in via di definitiva mutazione in post-democrazia psico-sanitaria. Ragioni complesse quelle che hanno fatto del nostro Paese il laboratorio d’avanguardia di una distopia (perché il progetto globalista è questo, una distopia), ma che in parte, e per quel che qui ci riguarda, sono da ricondurre alla natura di un Paese che, privo di materie prime, ha primeggiato sugli scenari internazionali sfruttando essenzialmente la propria creatività, la propria capacità di intrapresa, le proprie medie piccole e piccolissime imprese, tutte fondate sull’eccellenza, che significa anche rapporti di lavoro di fiducia, valorizzazione di competenze individuali, formazione culturale da base: tutte cose che nel mondo degli algoritmi, del delivery e della società del controllo non interessano, anzi disturbano. Un disturbo economico e geopolitico da “normalizzare”, l’Italia, in primis politicamente, distruggendone l’architettura garantista e riducendo tendenzialmente ad unum quell’articolato potere diffuso e policentrico che, in modo certo non sempre pacifico, ne ha caratterizzato e ancora ne caratterizza, nel bene e nel male, la storia, e che, sia pure come in uno specchio deformato, continua a rispecchiarsi in Parlamento.

Draghi Presidente della Repubblica avrebbe dato un’accelerazione importante alla disarticolazione di questo potere diffuso che ancora resiste e all’accentramento autoritario delle leve di potere. L’autolegittimazione del globalismo si sarebbe vieppiù consolidata, e i modi e le tecniche di governo, o piuttosto di dominio, si sarebbero inaspriti, un vero salto di qualità nel percorso di superamento distruttivo del patto costituzionale portato avanti scientemente e palesemente dal “proconsole” Draghi fin dai tempi dell’osceno mercato del Britannia, quando, era il lontano 1992, diede inizio alla messa all’incanto della Nazione.

Legioni di peones devono essersi visti sull’orlo del precipizio quando hanno cominciato a capire (meglio tardi che mai) che il progetto globalista prevede non un loro riciclaggio all’ombra, ancora una volta, del più forte, ma la scomparsa di interi settori creativi, produttivi e anche clientelari, cioè delle fonti stesse della loro influenza, riducendo anche loro a soldatini senza più margini di autonomia: a breve-medio termine, la scomparsa. Gli interessi minuti e la sopravvivenza politica dei micropoteri diffusi sul territorio: questo ha sconfitto, per il momento, Draghi e il suo progetto autoritario di una Repubblica non più “fondata sul lavoro” ma sull’obbedienza, retta da un’oligarchia piramidale legata a doppio filo con i poteri globalisti “neofeudali”, che stanno attanagliando il paese da decenni e che prevedono la fine del modello-Italia.

Non certo qualcosa di idillico o nobile: interessi, più o meno legittimi, più o meno confessabili, ma tali da far comprendere a un settore dell’economia e della politica italiane il pericolo mortale di un piano di ridimensionamento che prevede il disseccamento delle fonti della loro prosperità se non della loro sopravvivenza. Nel Capitalismo degli algoritmi e delle sterminate produzioni in serie di beni di scarso rilievo, nell’economia-spazzatura che ci stanno ammannendo, in questo concordi, da Oriente e da Occidente, non c’è posto per un tessuto produttivo ma più ancora culturale come quello italiano, non c’è posto, cioè, per l’Italia come comunità storica.

Una sconfitta, dunque, palese, dolorosa per loro, ma non certo senza appello. I poteri contrari, diffusi e oggettivamente meno forti del globalismo cosmopolitico, non sono riusciti a imporre un candidato. La prosecuzione (di più che dubbia legittimità costituzionale) di Mattarella indica uno stallo, una tregua armata tra poteri che ora si riconoscono come concorrenti, mortalmente concorrenti. Un pezzo di Paese si è accorto che il progetto incarnato dal proconsole Draghi implica, sic et simpliciter, la propria morte, sociale, civile ed economica.

Spesso la Storia procede per vie tortuose, dove il bene e il male, i nobili ideali e i meschini interessi sono indistinguibili, s’intrecciano, si confondono. Ex malo bonum: la spinta di autoconservazione di una classe politica di piccolo cabotaggio riflette in realtà la sofferenza di una parte crescente della nostra società, stressata e impaurita dal violento reset cui è scriteriatamente sottoposto da questi transumanisti piromani in doppiopetto. È questo istinto di sopravvivenza, non un sottile calcolo politico, né un’approfondita analisi intellettuale, e tanto meno uno slancio di patriottismo, che, banalmente ma fortunatamente, hanno prodotto gli anticorpi che hanno fermato il Drago, pronto a inghiottire la nostra Patria e la sua caotica ma ancora meravigliosa vitalità.

Di Guido Cappelli, docente di Letteratura italiana, Università degli Studi di Napoli L’Orientale

30.01.2022

Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

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