E guerra fu

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E guerra fu. Alle 4 di stanotte, mentre era ancora in corso il Consiglio di sicurezza dell’ONU, è iniziata la “operazione militare speciale” dell’esercito russo sul territorio ucraino, subito coronata da successi strategici nei porti del Mar Nero e nell’Ucraina orientale, la cui piena conquista appare questione di ore. Dopo decenni di provocazioni, di insediamenti missilistici alle sue porte, di assoggetamento da parte occidentale di suoi ex vassalli attraverso lusinghe fondomonetarie e rivoluzioni colorate, la Russia si è mossa per tutelare l’inviolabità dei suoi confini e, aspetto non secondario, quei milioni di cittadini della Repubblica Ucraina che si sentono anzitutto russi. Con una lungimirante mossa  di contrasto alla narrazione che va preparandosi, Putin ha parlato di “denazificazione” dell’Ucraina: un modo per parare il colpo della sua hitlerizzazione, che è chiaramente già in atto (e non da oggi). Di nazisti in Ucraina ce ne dovrebbero essere parecchi: si tratta di quelle milizie a libro paga della Nato, già in prima fila nel cambio di regime passato alla storia come “Euromaidan”,  protagoniste poi di persecuzioni contro la popolazione russofona, culminate nella strage di Odessa del 2014, quando un manipolo di questi miliziani circondò e appiccò il fuoco alla Casa dei Sindacati, dove si erano rifugiati i manifestanti russofili e separatisti, lasciandone morire orribilmente almeno 48. L’omologo ucraino di Putin, il fantoccino Zelensky, dal canto suo, ha promulgato la legge marziale, invocando un aiuto internazionale che ha visto l’immediata risposta presente della Polonia e dei paesi baltici, cioè di quegli stati che, in ambito Nato, assolvono più e meglio di altri la funzione di pistole puntate contro il territorio russo, complice la storica russofobia dei loro governi degli ultimi trent’anni. La cupola criminale che controlla questi ed altri staterelli (fra cui il nostro), invece, pare prendere tempo, consapevole che sarà difficile replicare un nuovo Iraq o una nuova Siria, e che non basteranno certo le bombe che deposero Milosevic in Serbia: per adesso, abbaiano di “sanzioni mai viste prima” e cose del genere. Uno scontro militare frontale è da escludere, e non per la consapevolezza che potrebbe portare alla distruzione del mondo, ma perché, assai banalmente, la Nato ne uscirebbe umiliata. Sul fronte dei “mercati” (che è quello dove si combatte un’altra guerra), è immediatamente schizzato in alto, ai valori di otto anni fa, il prezzo del petrolio, ed una sorte analoga ha toccato i cosiddetti “futures” sul gas. In questo senso, la prospettiva più inquietante, che è certo solo una suggestione, è che questo scenario, a prescindere dalla volontà russa, giovi (e sia stato, anzi, previsto e fomentato) ai grandi resettatori nel prolungare il loro agonizzante “stato d’emergenza” con l’inevitabile corredo di coprifuoco, siringhe e codici da scansionare. Da oggi, il caro virus abbandona le prime pagine: il nuovo nemico si chiama Vladimir Putin.

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