Cosa è morto 60 anni fa?

Un Presidente e la promessa di una Nazione

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Patrick Lawrence
scheerpost.com

Il 9 gennaio del ‘53, il Washington Post aveva pubblicato un editoriale che, letto dopo dopo tanti anni, sembra quasi un mormorio dopo un lungo silenzio. “Scelta o caso”, questa era la sincera preoccupazione riguardo alle attività della Central Intelligence Agency. Il ruolo della CIA era quello di analizzare le informazioni raccolte o che le erano pervenute – una questione di caso – o intervenire in maniera proattiva e segreta a sua discrezione? Il potere rapidamente accumulato era adeguatamente soggetto al controllo della politica o, come sembrava ipotizzare il Post, stava diventando un potere a sé stante, operando, di fatto, al di là dei controlli previsti dalla legge? Queste erano le domande che venivano poste appena cinque anni dopo la fondazione dell’Agenzia e solo un anno dopo che il presidente Truman aveva creato l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA) con un decreto secretato.

Difficile sostenere che, a quei tempi, la CIA fosse già in grado di organizzare operazioni clandestine, colpi di stato, omicidi, campagne di disinformazione, manipolazioni elettorali, corruzione delle classi dirigenti, false flag o altro; ma stava elaborando e istituzionalizzando tali intrighi. L’autonomia extracostituzionale di quello che oggi viene chiamato lo Stato della Sicurezza Nazionale era già evidente. Il Post stava dalla parte di coloro che muovevano tali obiezioni, o quanto meno questo è quello che aveva fatto a pagina 20 dell’edizione di quel venerdì. Le attività dell’agenzia erano “incompatibili con una democrazia”, aveva protestato il quotidiano di Washington. Una riforma si rendeva quindi necessaria.

Interessante quanto lo stesso editoriale del Post era stato il silenzio assoluto che ne era seguito. Per 20 anni non era stato pubblicato più nulla sull’argomento. L’articolo del Post non aveva incentivato riforme significative. Con un decreto la cui importanza sarebbe apparsa evidente in seguito, il Presidente Truman, persona facilmente manipolabile, aveva nominato Allen Dulles direttore della CIA appena un mese dopo la pubblicazione dell’editoriale del Post. Dulles, a sua volta, aveva incaricato Frank Wisner, un ex membro dell’Office of Strategic Services, di occuparsi delle “operazioni segrete” dell’Agenzia. Queste includevano, tra le altre cose, il massimo utilizzo dei media, infiltrandone i ranghi fino ai vertici.

Questi erano stati i primi passi del cosiddetto Stato della Sicurezza Nazionale, durante i quali aveva acquisito non solo il potere, ma anche una sovranità illegittima, grazie alla quale “la comunità dell’intelligence” – espressione odiosa – ci danneggia. Come scrive Aaron Good con impressionante acume nel suo imperdibile “L’eccezionalismo americano: impero e stato profondo” (American Exception: Empire and the Deep State – Skyhorse, 2022), quando Truman aveva istituito l’ NSA e nominato Dulles alla direzione della CIA, lo Stato Profondo – un termine che a me sta bene – era già una realtà e aveva deciso che la democrazia costituiva un intollerabile ostacolo ai suoi interessi e alle sue manovre.

Il Presidente Kennedy era stato assassinato dieci anni dopo le preoccupazioni del Post sulle attività della CIA e dopo che Dulles aveva assunto il controllo del suo centro operativo a Langley, in Virginia. JFK si era accasciato sul sedile posteriore della sua Lincoln Continental mentre stava attraversando Dallas in un martedì di 60 anni fa. Difficile sovrastimare il significato dell’omicidio di Kennedy e le conseguenze della sua morte.

Prendiamo dunque in considerazione questo avvenimento. Cos’altro era venuto a mancare in quel pomeriggio del 22 novembre 1963? Cosa aveva perso l’America oltre a un Presidente? Estendendo il ragionamento in modo da comprendere tutto il decennio degli omicidi eccellenti, cosa avevano perso gli americani con gli omicidi di Malcolm X (febbraio 1965), Martin Luther King (aprile 1968) e Robert F. Kennedy (due mesi dopo)? Martin Luther King Jr., sia chiaro, non era l’unico di questi quattro ad avere un sogno, tutti ne avevano uno.

Molti scrittori e analisti hanno descritto il coinvolgimento di Dulles e della CIA nell’assassinio di John Kennedy con vari margini di attendibilità. Di recente pubblicazione possiamo citare: “La scacchiera del diavolo: Allen Dulles, la CIA e l’ascesa del governo segreto americano” (The Devil’s Chessboard: Allen Dulles, the CIA, and the Rise of America’s Secret Government – Harper Collins, 2015) di David Talbot e i due film di Oliver Stone, JFK (1991) e JFK Revisited (2021). Come aveva affermato Stone in un’intervista registrata due anni fa, Dulles era uno dei veri responsabili, probabilmente al servizio dei vari interessi finanziari degli ambienti newyorkesi, che consideravano Kennedy una minaccia all’ordine, globale e interno, di cui beneficiavano.

Riportiamo uno stralcio di quella dichiarazione:

Dulles, sì, ma penso che dovesse ottenere il permesso dai piani alti, qualcuno, credo, nella struttura finanziaria della East Coast, forse… sai, i Rockefeller hanno fatto così tanto male a questo Paese che, di certo, non mi stupirei se ne avessero preso parte, perché Kennedy era un pericolo per gli affari e loro lo sapevano e ciò che temevano di più era la sua rielezione nel ’64…. Io la vedo così. Sapevano che, se fosse stato rieletto, sarebbero finiti male perché avrebbe avuto più potere.

Mentre registravo queste osservazioni ne avevo subito tratto degli insegnamenti. Qui ne citerò due.

In primo luogo, il governo che nel ‘63 avrebbe dovuto fare gli interessi della popolazione era diventato incomprensibile agli americani. Eventi, contesti, soggetti responsabili, motivazioni e intenzioni: nulla di tutto ciò era più comprensibile. Come dice bene David Talbot, era giunta l’era del governo segreto. Se prendiamo in considerazione la disinvoltura con la quale la CIA era stata in grado di effettuare un colpo di stato in pieno giorno – e l’omicidio di un Presidente in carica non può essere definito altrimenti – dobbiamo concludere che, nel 1963, lo Stato Profondo considerava fuori discussione il suo potere e la sua autonomia. Insomma, poteva fare qualsiasi cosa, e farla franca.

Questo per dire che l’omicidio di JFK aveva segnato il momento in cui lo Stato della Sicurezza Nazionale aveva lanciato un avvertimento agli americani. È probabile che, all’epoca, poche persone se ne fossero rese conto, ma quel pomeriggio era stato mostrato al mondo ciò che oggi tutti dovrebbero riconoscere: che l’autorità suprema – l’egemonia nascosta, la preminenza antidemocratica – è quella che determina la direzione della società americana, dal dopoguerra in poi. Chiunque ne dubitasse può tornare con la mente agli anni del Russiagate, quando le varie manifestazioni dello Stato Profondo – le agenzie di intelligence, le forze dell’ordine, la magistratura, i media e così via – avevano cospirato per abbattere un altro Presidente, questa volta senza spargimento di sangue.

In secondo luogo, e ciò si può desumere dalla realtà appena descritta, il processo democratico in America era stato gravemente compromesso fin dall’inizio degli anni Sessanta, e voglio usare il linguaggio più attenuato per esprimere la situazione che sto delineando. Se esiste uno Stato Profondo che permette che vengano attuate procedure democratiche ma non permette cambiamenti per esso inaccettabili, possiamo davvero parlare di una nazione democratica, o è solo un pensiero consolatorio per evitare di affrontare ciò che è accaduto e che ci è stato fatto – un modo per tirarci indietro di fronte all’ardua impresa di recuperare la nostra vita democratica?

Sto forse dicendo che la democrazia americana era morta a Dallas il 22 novembre del 1963? Che quel giorno avevamo visto morire un autentico processo democratico il cui potere, secondo la Costituzione, è supremo? Certo, è proprio quello che intendo dire, una verità che ancora una volta si rivela amara. Guardate ai decenni successivi. Cos’altro abbiamo fatto se non girare sulla ruota, senza avvicinarci minimamente al tipo di società con il tipo di politiche interne ed estere che meritiamo? Per farla breve, questo è ciò che abbiamo ottenuto per non aver voluto affrontare la situazione.

Non sono tra coloro che glorificano indebitamente JFK, insomma non sono suo fratello. Il Kennedy che era arrivato alla Casa Bianca era un convinto fautore della Guerra Fredda e condivideva le idee più ortodosse dell’epoca. In ogni caso, a me sembra che la caratteristica più marcata degli anni della sua presidenza sia stata la sua crescita personale. Al momento della morte la sua visione dell’America e del mondo, se non eccedo in generalizzazioni, era molto diversa da quella all’inizio del mandato. Sembra che avesse raggiunto un certo grado di illuminazione.

Un po’ come FDR, Kennedy era diventato favorevole ad una coesistenza cooperativa con l’Unione Sovietica, in parte, forse, a causa dell’esperienza maturata con Krusciov durante la crisi missilistica cubana. Come è noto, poco prima di essere ucciso aveva ordinato l’inizio di quello che avrebbe dovuto essere un ritiro definitivo dal Vietnam. Più in generale, Kennedy voleva coltivare e proiettare all’esterno un’immagine diversa di chi fossero gli americani, mostrare un altro atteggiamento, dire al mondo, attraverso un’altra postura, che saremmo stati diversi da quello che eravamo stati e che, alla fine, avremmo avuto altri obiettivi. Saremmo andati dagli altri in pace e con rispetto, non con la guerra o con qualche altro tipo di abuso o coercizione.

Chas Freeman, in una recente intervista su Radio Open Source, ha affermato che Kennedy voleva costruire un mondo in cui tutte le persone fossero libere di vivere secondo la propria storia, tradizione e cultura, senza che nessuno fosse obbligato a conformarsi alle aspettative altrui. Possiamo considerare JFK un sostenitore ante litteram del multipolarismo? Credo di si. Il multipolarismo è stato l’inevitabile conseguenza del crollo del bipolarismo della Guerra Fredda. Kennedy, e questa è una domanda che dovremmo farci, potrebbe averlo visto molto prima. È stato il nostro primo Presidente post-eccezionalista? Gli studiosi possono affrontare il problema meglio di me, ma sono ben lieto di porre la questione.

C’è una fotografia di Jack e Bobby in piedi nello Studio Ovale che si fissano l’un l’altro in quello che sembra essere uno stato ansioso successivo ad un lieve shock, come stessero dicendo: “Cosaa???” Penso che fosse stata scattata all’epoca dell’episodio della Baia dei Porci, quando Dulles aveva cercato di intrappolare Kennedy fornendo una copertura aerea [ai rivoltosi appena sbarcati a Cuba] e JFK lo aveva bloccato. Ho sempre visto in quell’immagine, un bianco e nero molto nitido, il momento in cui i due Kennedy si erano resi conto di essere nei guai, perchè la CIA e lo Stato della Sicurezza Nazionale erano diventati un mostro, che loro avrebbero dovuto affrontare. È noto che Kennedy era giunto alla conclusione che l’agenzia avrebbe dovuto essere smantellata e che aveva licenziato Dulles nel novembre del 1961, sette mesi dopo il disastro della Baia dei Porci. Ed è ben noto cosa era accaduto due anni dopo.

Con la morte di Kennedy abbiamo perso la speranza per uno stile di vita migliore, più onesto, più giusto e dignitoso, uno stile di vita che potesse attingere dal pozzo dei sogni condivisi, non dalla divisione e dall’interesse personale…” Non chiedere”, ecc. Uno stile di vita migliore e un mondo migliore, che avrebbe avuto tratti di bellezza. L’America avrebbe rinnovato la propria immagine, o almeno questa è la mia impressione, visto come si erano evolute le aspirazioni di JFK durante i suoi anni alla Casa Bianca. Una promessa che era stata viva e vibrante per tutto quel decennio. Bobby e King e, a suo modo, Malcolm la pensavano allo stesso modo di JFK. Poi il decennio era degenerato in una serie di omicidi destinati a distruggerlo.

Sei una vittima solo nella misura in cui dimentichi, ma se ricordi sei vivo”, aveva detto Oliver Stone quando lo avevo intervistato, “e non sei più una vittima perché stai portando avanti una lotta, una crociata, non dimenticarlo.” Sessant’anni dopo il giorno buio di Dallas, come viene chiamato il 22 novembre 1963, dovremmo chiederci se ci accontentiamo di essere vittime o se vogliamo vivere senza dimenticare.

Patrick Lawrence

Fonte: scheerpost.com
Link: https://scheerpost.com/2023/11/22/patrick-lawrence-what-died-60-years-ago/
22.11.2023
Tradotto da Samuele per comedonchisciotte.org

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