Il potere del cinema contro il potere dei mass media. Torna nelle sale “Quarto potere”, il capolavoro di Orson Welles

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Di Sonia Milone per Comedonchisciotte

Un miliardario muore nella sua lussuosa villa pronunciando la parola “rosebud”. A darne la notizia è il cinegiornale che ripercorre la vita di Charles Foster Kane: l’infanzia povera in Colorado, l’inaspettata eredità milionaria, i primi investimenti nella stampa, la creazione di un colossale impero editoriale, la candidatura alle elezioni politiche, i due matrimoni falliti, fino alla morte in solitudine, abbandonato da tutti.
Tutta la trama viene raccontata nei primi 15 minuti del film. Tutta? Non proprio: chi o cosa è “rosebud”? La vera storia inizia ora e si dipana seguendo l’indagine di un giornalista deciso a scoprire il significato di quella misteriosa parola attraverso le testimonianze di coloro che hanno conosciuto il magnate americano.

Visionario, magnetico, assoluto in ogni fotogramma. Torna nelle sale cinematografiche “Quarto potere”(titolo originale “Citizen Kane”), il capolavoro scritto, diretto e interpretato da Orson Welles. E risulta, ancora oggi, di un’attualità stupefacente.

Era il 1939 quando la potente major hollywoodiana RKO (suo, fra gli altri, “King Kong”) si accaparra quel giovane pieno di talento firmando il contratto per il suo esordio nel mondo del cinema. Gli dà carta bianca, il controllo totale sul film fino al final cut, nonostante lui abbia solo 25 anni, una libertà che fino ad allora era stata riservata solo a Charlie Chaplin ma quando era già divenuto un artista affermato.
D’altronde Welles si era già fatto un nome in teatro, dove aveva messo in scena rivoluzionarie riletture di Shakespear diventando il più famoso regista di Broadway e in radio, dove aveva portato con successo una serie di sceneggiati ispirati ai classici della letteratura.

“Per quello che abbiamo fatto alla CBS sarei dovuto finire in galera, ma al contrario, sono finito a Hollywood”, commenterà lui riferendosi a quando aveva scatenato il panico trasformando il romanzo fantascientifico “La guerra dei mondi” in un radiogiornale che annuncia l’arrivo degli extraterrestri sulla terra. La gente crede che sia davvero in corso un attacco di marziani ostili fino a che, in un crescendo surreale, il direttore dell’emittente irrompe nello studio in accappatoio interrompendo la trasmissione, mentre Welles urla ridendo “Fatemi continuare! Devono avere paura!”. L’episodio finisce su tutti i giornali rendendo il regista una vera celebrità e viene studiato ancora oggi come illuminante esperimento sociologico sulla natura dei media di cui “Quarto potere” offre un’ulteriore, lucida, riflessione.

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Quando viene chiamato a Hollywood Welles è deciso a creare qualcosa di completamente nuovo rompendo con tutto ciò che era stato fatto fino ad allora. Il film segna, infatti, l’inizio del cinema moderno.
Scena dopo scena si susseguono, infatti, continue innovazioni estetiche e tecniche che si rinforzano vicendevolmente per espandere le potenzialità espressive del mezzo filmico oltre i limiti fino ad allora conosciuti.

Non è esagerato pensare a Orson Welles come al Picasso del cinema. Come nelle “Damoiselles d’Avignon” la prospettiva tradizionale viene frammentata in visioni parziali e simultanee perchè il mondo è andato in pezzi, non sta più insieme in una rappresentazione unitaria, così “Quarto potere” frammenta la struttura narrativa della trama tramite flashback che non ricostruiscono, però, un ritratto coerente del protagonista. La sua vita ci è offerta solo per frammenti: Welles spezza la linearità temporale del cinema classico (tradizionalmente suddiviso in tre atti) per creare un mosaico incompleto di flashback.

Anche la profondità di campo è un’innovazione linguistica in stile cubista poichè mette a fuoco con nitidezza ogni angolo dell’inquadratura abolendo la distinzione fra primo piano e sfondo: non c’è più una gerarchia visuale, tutto assume la medesima importanza. Ciò modifica completamente la fruizione dell’immagine filmica lasciando libero lo spettatore di focalizzarsi dove vuole. (1) Non è stato Welles a inventare questa tecnica essendo già stata usata in modo estemporaneo in qualche film precedente, tuttavia è lui a farne il pilastro della sua pellicola per portare intenzionalmente la settima arte all’interno delle sperimentazioni estetiche che avevano già iniziato a compiere le avanguardie del ‘900. “Quarto potere” è un glossario di grammatica cinematografica moderna grazie anche al tocco geniale di Gregg Toland, direttore della fotografia. (2)

La macchina da presa viene ora usata come il pennello di un pittore con movimenti e inclinazioni tesi a esplicitare l’occhio del regista anziché nasconderlo dietro l’illusione di una presunta oggettività mimetica del reale. La poetica, in questo caso, è quella della deformazione dell’Espressionismo per esprimere il sentire dell’autore. Le inquadrature sono spesso oblique per far giganteggiare o rimpicciolire la dimensione dei corpi attoriali in base alla posizione che occupano nelle dinamiche di potere in atto.

Anche lo spazio viene deformato con questa strategia: angolazioni dall’alto verso il basso (che includono spesso l’uso del grandangolo con la messa a fuoco dei soffitti) disegnano ambienti oppressivi che paiono schiacciare i personaggi, mentre le riprese dal basso verso l’alto li pongono in una posizione di superiorità inscrivendo nell’immagine stessa il senso di grandezza vissuto psicologicamente. I movimenti di camera tagliano la scena creando geometrie perennemente cangianti in cui non c’è più uno spazio fisso dentro il quale si muovono gli attori ma un ambiente elastico che vibra e si deforma in sintonia con i loro gesti e sentimenti.

La deformazione dello spazio serve a Welles per generare un effetto di straneamento come quando la seconda moglie abbandona Kane e apre la porta della camera da cui si vede una porta che dà su un’altra porta e un’altra porta ancora verso cui lei si incammina a simboleggiare una distanza che il marito non potrà più colmare per raggiungerla. Il potere isola ci dice Welles e la solitudine del protagonista viene simbolicamente evocata con una dilatazione spaziale per dilatare gli smarrimenti in cui i personaggi si disperdono fino, a volte, a sfociare in una vastità abissale in cui paiono dissolversi. L’algebra del doppio fuoco arde in ogni fotogramma ma la nitidezza di ogni dettaglio instaura una tensione che si fa incandescente per illuminare, in realtà, con uno sguardo tagliente, le incertezze e le inquietudini dell’uomo.

A ciò concorre anche l’uso poetico della luce che diventa un vero e proprio materiale linguistico del film: non cala più sulla scena in modo uniforme ma taglia il buio come una lama che sembra uscita dai quadri di Caravaggio. Più che con la luce Welles ha lavorato con l’ombra amplificando, per tutto il film, il senso di drammatica fatalità. Il film è un vortice di suggestioni, di fascinazioni, di evocazioni, di sottili rimandi e segreti simbolismi che non smette di incantare a distanza di più di ottant’anni.

Quarto potere (Film 1941): trama, cast, foto, news - Movieplayer.it

Il lungometraggio esce nel 1941 ed è un insuccesso. A pesare sono stati soprattutto i violenti attacchi sferrati da William Randolph Hearst, magnate della stampa americana, a cui il protagonista di “Quarto potere”, interpretato dallo stesso Welles, chiaramente si ispira nonostante le smentite dei produttori.
Orson pagherà a caro prezzo aver osato andare contro i cosiddetti poteri forti dell’epoca. Dopo il fallimento della sua seconda opera, “L’orgoglio degli Amberson”, girata l’anno successivo, la RKO lo licenzia e Hollywood lo ostracizza definitivamente. Per il resto della sua carriera l’autore sarà costretto ad autofinanziare le sue successive pellicole o a tenerle nel cassetto. Nessun altro regista subirà la macelleria dei “tagli” da parte della produzione quanto lui. (3) “Ho cominciato dalla cima e mi sono fatto strada verso il fondo”, ironizzerà Welles ripercorrendo la sua carriera.

In realtà, la scomodità di “Quarto potere” risiede nel fatto che, con disincantata lucidità, mette in rilievo la manipolazione dell’opinione pubblica operata dai massmedia e dai suoi intrinseci rapporti con la politica.
Infatti, il protagonista del film trascende ogni riferimento particolare divenendo il ritratto universale di ascesa e caduta di un uomo che, affamato di riscatto dalle sue umili origini, si fa sempre più divorare dall’avidità di potere. La figura di Kane resta ambigua, sempre sospesa fra luci e ombre, e anche questa è un’innovazione rispetto al cinema precedente che divideva i personaggi in buoni e cattivi.
Comunista e Nazista, paladino dei poveri e miliardario dedito a una vita di eccessi, propugnatore della libertà e subdolo manipolatore, rivoluzionario e reazionario, vittima e carnefice: nessuno riesce a farsi un’idea di Charles Foster Kane.

Non è un caso che proprio Jorge Luis Borges, raffinato sconfinatore nei labirinti della modernità, si sia interessato al gioco complesso di un film come questo definendolo un “giallo metafisico” in “un labirinto senza centro”. (4)

“Oppressivamente, infinitamente, Orson Welles esibisce frammenti della vita dell’uomo Charles Foster Kane e ci invita a combinarli e a ricostruirlo. […] Alla fine comprendiamo che i frammenti non sono retti da una segreta unità: l’aborrito Charles Foster Kane è un simulacro, un caos di apparenze”, scrive lo scrittore argentino.

You know, Mr. Bernstein, if I hadn’t been very rich, I might have been ...

La narrazione di Quarto Potere ha una struttura labirintica e il compito dello spettatore è proprio quello di rimettere in ordine i pezzi seguendo la sequenza dei flashback che, come il filo di Arianna, percorrono a ritroso la vita del protagonista. E tuttavia i flashback non permettono di comprendere in tutta la sua complessità la personalità di Kane se non a chi è a conoscenza dell’unico fatto che determinò il suo destino: l’allontanamento da casa, voluto dalla madre, allo scopo di affidarlo alla tutela di un uomo d’affari incaricato di amministrare la sua eredità.

L’ultima tessera del puzzle viene rivelata solo allo spettatore, nell’epilogo del film, quando il giornalista ha ormai rinunciato a scoprire il significato della parola “Rosebud”. Eppure la verità era lì nascosta in piena luce, nella reggia del magnate dove viene gettato nella fornace, insieme agli altri oggetti di poco valore da buttare, lo slittino di marchio “Rosebud” con cui il piccolo Kane stava giocando quando venne il suo tutore a strapparlo dalla famiglia.

La macchina da presa segue il fumo della fornace che esce dalla tenuta per fermarsi sulla scritta “vietato entrare” posta all’ingresso di Candalù, a simboleggiare che, nonostante la notorietà più sfrenata e l’esposizione pubblica di ogni aspetto della propria sfera privata, l’essenza di un uomo rimane un mistero.
Il film si conclude con un movimento di macchina contrario a quello dell’inizio quando, con un piano sequenza magistrale, entriamo nel mondo di Kane, nella sua villa dove ha riprodotto una copia in miniatura del mondo e dove il miliardario muore. L’inquadratura della neve che invade lo schermo sembra riportare la scena all’esterno ma un movimento di macchina all’indietro svela che non si tratta nient’altro che di una boccia di vetro con la neve dentro che Kane stringeva fra le mani appena prima di morire. È proprio in questo momento che viene posto l’enigma del film perchè un fiocco di neve può diventare una valanga capace di travolgere la vita di chiunque.

“Non fossi stato tanto ricco avrei potuto essere un grande uomo”, aveva detto il protagonista mentre percorre la scalata al successo che lo porterà sempre più in alto, sempre più in là, lasciandosi continuamente alle spalle un pò più di sé, di quel bambino che giocava felice sulla neve e che rimpiangerà per tutta la vita.
Welles costruisce un personaggio immenso, profondo, universale, spietato e fragile al contempo, ricco di contraddizioni e di sfaccettature che intepreta in modo sublime con quel suo viso potente e carismatico su cui scolpisce ogni espressione e sfumatura.

Nella figura di Kane Borghes legge la volontà di Welles di mettere in scacco la storia americana e l’ideologia del New Deal di cui il protagonista rappresenta il simulacro. La vita di Kane, così legata alla perdita dell’infanzia, diventa il simbolo della perdita dell’innocenza americana. Così come l’America ha sacrificato la sua purezza ai pionieri di Wall Street, la madre del protagonista affida il figlio al tutore-banchiere Tatcher. La ricerca spietata del potere da parte di Kane nasconde una fragilità intima e nascosta che deriva da quella ferita originaria.

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In controluce alla vicenda umana, “Citizen Kane” offre una riflessione sui mezzi di comunicazione davvero profetica per la sua capacità di lettura della società moderna, valida più che mai oggi che la realtà si è completamente smaterializzata passando tutta dalla parte dell’nformazione, dell’informatica e del digitale.
“Chi controlla i media controlla il mondo”, perchè lo ricostruisce a propria immagine e somiglianza. Un evento assume statuto di verità solo se viene legittimato dai massmedia: se non passa sulla stampa il fatto non esiste. Non a caso, fra le prime scene di “Quarto potere” compare subito il cinegiornale che annuncia la morte di Kane e ne ripercorre la vita.

“La gente pensa quello che io le dirò di pensare”, afferma senza mezzi termini il magnate americano, cinicamente consapevole del potere dei media di influenzare l’opinione pubblica. “Se il titolo è grande la notizia diventa importante” dice Kane ai suoi giornalisti, ordinando, poi, in un’altra occasione, di pubblicare la notizia di una probabile guerra nonostante gli facciano notare che “non esistono le prove delle armate al largo, nessuno le ha viste!”. Le informazioni vengono date, censurate, distorte in base a interessi e fini prestabiliti come far scoppiare una guerra, far eleggere o non eleggere un politico o semplicemente aumentare la tiratura di un giornale (infatti, Kane è un innovatore della stampa sensazionalistica).

Una parte centrale del film riguarda il conflitto di interessi tra stampa e politica che Welles evidenzia in tutta la sua rilevanza quando Kane decide di “scendere in campo” candidandosi a governatore di New York e non esita ad attaccare il suo avversario tramite il suo giornale dando vita ad un processo mediatico sommario. Anche il suo rivale risponde a colpi mediatici che non risparmiano la vita privata portando alla luce la sua  relazione extraconiugale che metterà fine alla sua carriera politica rovinandogli la reputazione.

Ma anche in occasione del debutto della seconda moglie nel mondo della lirica, i giornalisti di Kane pubblicano numerosi articoli che incensano le sue qualità canore, tranne uno che scrive un pezzo in cui la stronca. Kane lo pubblica lo stesso ma subito dopo licenzia il critico. In fondo il miliardario americano ammira il giornalismo di qualità, come quello della più autorevole testata rivale, tanto da andare, un giorno, a comprare in blocco i suoi redattori, una scena che Welles rende con un artificio di montaggio memorabile per cui la foto del gruppo diventa realtà mostrando Kane che presenta questi giornalisti come la nuova squadra del suo giornale. Le aspirazioni giovanili del magnate erano quelle di fare un giornalismo per il popolo…

Citizen Kane (1941) | Wertz of Wisdom

Che i mezzi di comunicazione, più che strumenti d’informazione atti a veicolare l’oggettività dei fatti, siano i più potenti strumenti per plasmare l’opinione pubblica alterando e mistificando le notizie, è noto da sempre agli studiosi e ai professionisti della comunicazione. Non alla gente, a cui una radio riesce persino far credere che siano sbarcati gli alieni sulla Terra. Così come oggi la stampa fa credere che un genocidio a cielo aperto, quale è quello del popolo palestinese, sia dovuto alla difesa del popolo ebraico o che la pace in Europa si ottenga inviando le armi all’Ucraina o che si debba entrare in guerra per difendere Zelenski o che gli attacchi della Nato degli ultimi 30 anni a Paesi sovrani siano stati fatti per “esportare la democrazia” e che Julian Assange, il giornalista che li ha denunciati rivelando documenti segreti, sia  agli arresti per una violazione del codice deontologico professionale.

Il politologo e filosofo americano Noam Chomsky, che si è occupato approfonditamente di media e comunicazione, ha scritto che “la propaganda è per la democrazia quello che il randello è per lo stato totalitario”. In altri termini, un’informazione intenzionalmente alterata svolge nelle società liberal-democratiche occidentali la stessa funzione che la coercizione svolgeva e svolge tuttora negli stati totalitari, solo in un modo più “morbido”, in quanto subdolo e difficilmente percepibile.

La volontà di manipolare l’opinione pubblica, attraverso una propaganda abilmente dissimulata dietro al velo dell’informazione seria e professionale, non è una tendenza recente ma è connaturata al sistema moderno di comunicazione di massa come mostra magistralmente Orson Welles in “Quarto potere”.
Ma già prima, Edward Bernays, nel suo libro “Propaganda” del 1928, con riferimento alle tecniche per condizionare le masse, scrisse: “Coloro che hanno in mano questo meccanismo […] costituiscono […] il vero potere esecutivo del Paese. Noi siamo dominati, la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, da gente di cui non abbiamo mai sentito parlare. […] Sono loro che manovrano i fili”.

I Potenti della Terra, oggi, non sono più i Capi di Stato delle democrazie occidentali ma coloro che gestiscono le risorse chiave del mondo globale: i giganti della Finanza, dei colossi tecno-economici, delle fonti energetiche, di Big Pharma e soprattutto i padroni della comunicazione che hanno i mezzi per condizionare il futuro dell’umanità.

I nuovi Charles Foster Kane sono Marc Zuckenberg, Jeffy Bezos, Elon Musk, Bill Gates, George Soros che manifestano apertamente ambizioni che vanno ben aldilà della ricerca del profitto aziendale. Detengono la concentrazione della ricchezza mondiale come non era mai avvenuto nella storia, dispongono di imperi transnazionali fuori dal controllo delle Nazioni, le quali non riescono nemmeno a fare loro pagare le tasse.

Nell’impero del falso dove lavora a ciclo continuo la fabbrica dei mezzi di comunicazione per la creazione del consenso, “lo schiavo di domani sarà chi non riesce più a distinguere la verità dalle menzogne”, come ha scritto Hanna Harendt.
Orson Welles è stato fra i primi ad intuire tutto ciò offrendone un’accurata descrizione nel suo primo film e pagandone personalmente le conseguenze. Nonostante il fallimento di pubblico, Citizen Kane verrà riscoperto dopo gli anni Cinquanta influenzando tutta la nuova generazione di cineasti, in particolare quelli della Nouvelle Vague, ma anche registi più maturi come Alfred Hitchcock. Ad oggi il film è considerato una pietra miliare della storia del cinema. Orson Welles riceverà l’Oscar alla carriera nel 1971.

Dostoevskij ha scritto che “la bellezza salverà il mondo”. Il cinema, la musica, la letteratura, la pittura rappresentano il genio dell’uomo nei suoi aspetti più nobili. Sono oasi di autenticità, di verità, di libertà, di resistenza rispetto allo strapotere dei mass media e al mondo artificiale fatto di bruttezza, brutalità e volgarità che stanno creando.

Di Sonia Milone per Comedonchisciotte

NOTE
(1) Il cinema precedente metteva a fuoco solo gli elementi in primo piano mentre lo sfondo veniva sfocato allo scopo di non distrarre lo spettatore e guidarlo nella lettura delle immagini così semplificate
(2) La pellicola è stata una vera fucina di talenti: oltre a Gregg Toland, uno dei più grandi innovatori della fotografia in ambito cinematografico, che lavorò con i più importanti registi del suo tempo (John Ford, Erich von Stroheim, William Wyler), ricordiamo Bernard Herrmann, autore delle colonne sonore di quasi tutti i film di Alfred Hitchcock, di Fahrenheit 451 (1966) di François Truffaut, di Obsession – Complesso di colpa (1976) di Brian De Palma e di Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese. Gli straordinari interpreti di “Quarto potere” sono tutti attori del Mercury theatre, la compagnia fondata da Orson Welles
(3) Ricordiamo, fra gli altri, “La Signora di Shangai” (1947), “L’infernale Quinlan”(1958), “Il Processo”(1962), “Don Quixote” (1957-1972)
(4) Jorge Luis Borges scrive la recensione del film sulla rivista “El Sur” nell’agosto del 1941

 

 

 

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