DI NAFEEZ AHMED
medium.com
Il fiasco della Brexit e le rivolte francesi stanno accelerando i sintomi della crisi del sistema Terra in Europa
Pubblicato da INSURGE INTELLIGENCE, un progetto di giornalismo investigativo finanziato dal crowdfunding per le persone e il pianeta. Per favore sosteneteci per continuare a indagare dove gli altri temono di mettere piede.
Tutti parlano della Brexit. Alcuni dei disordini francesi. Ma nessuno sta parlando del perché stanno accadendo e quale sia il loro vero significato. Si potrebbe pensare che lo si stia facendo, ma di solito non si coglie il nocciolo della questione.
Il 6 maggio 2010, il Partito conservatore ha preso le redini del potere per la prima volta dal 1992, sostenuto dall’aiuto dei liberal democratici. Qualche ora prima del risultato delle elezioni avevo messo in guardia, in un post sul blog, che qualsiasi governo fosse stato eletto, sarebbe stato il primo passo in un cambiamento drastico verso l’estrema destra, che probabilmente avrebbe investito il mondo occidentale da lì a 10 anni.
“Il nuovo governo, in obbligo verso l’opinione comune, non sarà in grado o non vuole affrontare le cause strutturali all’origine dell’attuale convergenza delle crisi che affliggono questo Paese e il mondo”, ho scritto, descrivendo il fallimento di tutti e tre i partiti politici,per capire il motivo per cui era improbabile che tornassero gli anni d’oro della crescita economica.
“Questo suggerisce che tra 5-10 anni, l’intero sistema politico partitico tradizionale in questo Paese, e in molti Paesi occidentali, sarà completamente screditato in quanto le crisi continuano ad aumentare, mentre le principali soluzioni politiche servono in gran parte a favorirle, non a porvi rimedio. Il collasso del sistema politico partitico tradizionale, attraverso le aree democratiche liberali, potrebbe aprire la strada alla crescente legittimazione della politica di estrema destra entro la fine di questo decennio …”
La mia previsione si è rivelata sorprendentemente preveggente. Il passaggio globale all’estrema destra è iniziato esattamente nei cinque anni successivi alle mie previsioni e ha continuato ad accelerare prima che il decennio si concluda.
Nel 2014, i partiti di estrema destra hanno ottenuto 172 seggi nelle elezioni dell’Unione Europea – poco meno di un quarto di tutti i seggi nel Parlamento Europeo. Nel 2015, David Cameron è stato rieletto a Primo Ministro con maggioranza parlamentare, una vittoria attribuita in parte alla sua promessa di tenere un referendum sull’appartenenza della Gran Bretagna all’Unione Europea.
All’insaputa di molti, i Conservatori hanno tranquillamente stabilito legami di ampio respiro con molti degli stessi partiti di estrema destra, che in quel momento stavano conquistando seggi nell’UE.
L’anno seguente, a giugno, il referendum sulla “Brexit” ha scioccato il mondo con il suo risultato: un voto a maggioranza per lasciare l’UE.
Sei mesi dopo, il miliardario guru degli immobili Donald Trump ha scioccato di nuovo il mondo, quando è divenuto Presidente del Paese più potente al mondo. Come i Conservatori nel Regno Unito, anche i Repubblicani hanno forgiato connessioni transatlantiche con partiti e movimenti europei di estrema destra. Da allora, i partiti di estrema destra hanno continuato a ottenere risultati elettorali in tutta Europa in Italia, Svezia, Germania, Francia, Polonia e Ungheria.
Siamo sulla cuspide di un maremoto, che sembra essere in procinto di accelerare in uno tsunami. Esattamente come avevo previsto, la politica di estrema destra non rappresenta più la provincia al margine, ma si sta sempre più normalizzando. Questo non è un caso. È il risultato di un sistema che sta fallendo – e gli sforzi di una rete di gruppi di estrema destra per sfruttare le fratture emergono da questo fallimento sistemico–affinché si demolisca tutto e si erga un nuovo ordine secondo il proprio modello.
La mia previsione del risorgere dell’estrema destra si basava sull’analisi delle probabili conseguenze di un “fallimento sistemico” a lungo termine, in cui non siamo in grado di tornare ai livelli di crescita economica a cui eravamo abituati nel periodo di massimo splendore degli anni ’80 e ’90. Questo fallimento del sistema, ho spiegato, è radicato nell’economia della produzione di energia che consente la crescita economica:
“…. una ripresa completa e duratura … è probabile che sia impossibile nei limiti del sistema attuale, perché stiamo esaurendo le basi fisiche degli ultimi decenni di crescita esponenziale (e fluttuante) – e queste sono gli idrocarburi a buon prezzo, agevolmente disponibili, principalmente petrolio, gas e carbone.
Il punto di svolta è arrivato, e senza quella fonte economica di energia a basso costo e in abbondanza, non possiamo continuare a crescere, indipendentemente da ciò che facciamo. Qualcosa si deve dare. Le nostre economie devono essere,su base di principio, strutturalmente trasformate. Dobbiamo passare a un nuovo sistema di energia pulita, rinnovabile, su cui basare le nostre economie. Abbiamo bisogno di trasformare il modo in cui il denaro viene creato, perché non sia collegato alla generazione sistematica di debito. Dobbiamo trasformare il nostro sistema bancario per gli stessi motivi. Whitehall (1) e i tre partiti politici ravvisano solo [alcune] sfaccettature della situazione, ma non la considerano nel suo complesso.”
Punto di svolta
Il punto di svolta per l’energia è chiaro. Negli anni precedenti allo storico referendum sulla Brexit e alla marcata ripresa dei movimenti nazionalisti, populisti e di estrema destra in tutta Europa, l’intero continente ha affrontato una crisi energetica che montava poco a poco.
L’Europa è ora un continente del “post-picco del petrolio”. Attualmente, tutti i principali produttori di petrolio dell’Europa occidentale sono in declino. Secondo i dati della Statistical Review of Energy (2018) della BP, la produzione di petrolio dell’Europa occidentale ha raggiunto il picco tra il 1996 e il 2002. Da allora, la produzione è diminuita mentre le importazioni nette sono gradualmente aumentate.
In uno studio in due parti, pubblicato nel 2016 e 2017, nella rivista Bio Physical Economics and Resource Quality per Springer, Michael Dittmar, scienziato senior presso l’ETH – Institute for Particle Physics di Zurigo e il CERN, ha sviluppato un nuovo modello empirico per la produzione e consumo di petrolio.
Lo studio fornisce forse uno dei modelli più efficaci, a tutt’oggi, dal punto di vista empirico della produzione e consumo di petrolio, ma la sua previsione era preoccupante.
Osservando che le esportazioni di petrolio dalla Russia e dagli ex Paesi dell’Unione Sovietica sono destinate a diminuire, Dittmar ha scoperto che l’Europa occidentale avrà difficoltà a sostituire queste esportazioni perse. Di conseguenza, “il consumo totale in Europa occidentale dovrebbe essere, rispetto al 2015, inferiore di circa il 20% nel 2020”.
L’unico territorio al mondo, in cui la produzione sarà stabile per i prossimi 15 o 20 anni, è l’area OPEC in Medio Oriente. In altre parti, conclude Dittmar, la produzione diminuirà di circa il 3-5% all’anno dopo il 2020. E in alcune zone questo declino è già iniziato.
Non tutti sono d’accordo sul fatto che sia imminente un forte calo della produzione petrolifera russa. L’anno scorso, l’Oxford Institute for Energy Studies ha sostenuto che la produzione russa potrebbe probabilmente continuare a crescere almeno fino al 2020. Non era chiaro per quanto tempo ciò sarebbe durato in seguito.
D’altra parte, gli esperti di energia del governo russo sono preoccupati. Nel settembre 2018, il Ministro dell’Energia russo Alexander Novak ha avvertito che la produzione di petrolio della Russia potrebbe raggiungere il picco entro tre anni, a causa dei crescenti costi di produzione e delle tasse. Nei due decenni successivi, la Russia potrebbe perdere quasi la metà della sua attuale capacità. Questa valutazione preoccupante è ancora ampiamente coerente con lo studio di Oxford.
Il mese seguente, il dott. Kent Moor dell’Energy Capital Research Group, che ha prestato consulenza per 27 governi in tutto il mondo, compresi Stati Uniti e Russia, ha affermato che la Russia sta raschiando il fondo del barile nel suo bacino occidentale della Siberia.
Moor ha citato i rapporti interni del Ministero dell’Energia russo, a partire dal 2016,che mettono in guardia per una “rapida curva di declino della Siberia occidentale che equivale a una perdita di circa l’8,5% di volume entro il 2022. Ciò ha già avuto in parte avvio.” Anche se la Russia sta perseguendo strategie alternative, ha scritto Moor, queste sono tutte “eccessivamente costose” e potrebbero produrre solo risultati temporanei.
Non è che il petrolio si stia esaurendo. Il petrolio permane in abbondanza – più che sufficiente per friggere il pianeta più volte. La sfida è che stiamo facendo meno affidamento sul petrolio greggio a buon mercato e più su combustibili fossili costosi, più sporchi e non convenzionali. Dal punto di vista dell’energia, questo sistema è più impegnativo per trarre risultato e, rispetto al greggio, meno efficace dopo l’estrazione.
La morale della favola è che, mentre le forniture di petrolio a livello nazionale in Europa diminuiscono lentamente, non esiste una strategia significativa per affrancarci da una assoluta dipendenza dalla Russia; la transizione post-carbone è costantemente troppo scarsa, troppo in ritardo; e l’impatto sulle economie europee – se si protrarranno gli affari come al solito – continuerà a sfilacciare la politica dell’Unione [Europea].Mentre pochissimi parlano della crisi energetica a lenta combustione dell’Europa, la realtà è che mentre le risorse europee di combustibili fossili sono inesorabilmente in declino e che i produttori continuano ad affrontare la volatilità dei prezzi del petrolio, a fronte di costi di produzione sempre più elevati, l’economia europea ne soffrirà.
A settembre, ho riferito in esclusiva sui risultati di un rapporto di esperti, commissionato dal gruppo scientifico che lavorava all’imminente Sustainability Report dell’ONU.
Il rapporto ha sottolineato che i flussi di energia a basso costo sono la linfa vitale della crescita economica e che mentre ci spostiamo in un’era della qualità in declino delle risorse, è probabile che continueremo a vedere una crescita economica lenta, debole o addirittura in declino.
Questo sta accadendo su scala globale. [Il parametro] EROI sta già iniziando ad avvicinarsi ai livelli visti nel diciannovesimo secolo, il che dimostra quanto la crescita economica globale limitata possa essere dovuta al calo dei rendimenti energetici netti verso la società.
Gran Bretagna: la fine della crescita dell’energia netta
La Gran Bretagna, che lascerà l’Unione Europea il 29 marzo 2019, è un modello per questa crisi montante energetico-economica.
Nel gennaio 2017, il Centre for Climate Change Economics and Policy, gestito dall’Università di Leeds e dalla London School of Economics, ha prodotto un’analisi sconvolgente del problema del declino dell’energia netta della Gran Bretagna. Lo studio ha tentato di sviluppare una metodologia per esaminare le cifre a livello nazionale, per il ritorno energetico sull’investimento [energetico] (EROI) – la quantità di energia che si utilizza per estrarre una particolare quantità di energia.
L’obiettivo dello studio era la determinazione del valore EROI, il più possibile usando la Gran Bretagna come casistica principale. Il concetto di EROI sottolinea il riconoscimento che è necessario un notevole surplus di energia per alimentare l’attività economica, separata dall’energia che viene consumata,in primo luogo, precisamente per estrarre energia.
Minore è l’energia che utilizziamo per ottenere nuove energie, maggiore è l’energia che ci rimane per investire in beni e servizi di attività economica più ampi. Ma se continuiamo a usare più energia solo per ottenere energia, la quantità di energia netta che ci rimane per alimentare le nostre economie diminuisce.
Secondo gli autori dello studio, Lina Brand-Correa, Paul Brockway, Claire Carter, Tim Foxon, Anne Owen e Peter Taylor:
“Più alto è l’EROI di una tecnologia di approvvigionamento energetico, più è ‘prezioso’ in termini di produzione energetica utile (dal punto di vista economico). In altre parole, un EROI più elevato consente di disporre di più energia netta per l’economia, il che è prezioso nel senso che tutta l’attività economica si basa sull’uso di energia in misura maggiore o minore.”
Il verdetto sulla situazione nel Regno Unito è netto. Si scopre che “il Regno Unito nel suo complesso ha avuto un EROI in declino nel primo decennio del 21° secolo, passando da 9,6 nel 2000 a 6,2 nel 2012 … Questi primi risultati mostrano che è necessario utilizzare sempre più energia nell’estrazione dell’energia stessa, piuttosto che dall’economia o dalla società del Regno Unito”.
Citando il lavoro degli economisti francesi Florian Fizaine e Vincent Court, che stima un EROI sociale minimo di 11 per una crescita economica continua, il documento conclude:
“… il Regno Unito è al di sotto di tale parametro di riferimento”.
In altre parole, all’inizio dello scorso anno, un importante studio scientifico ha rilevato che negli ultimi due decenni e oltre, la crescita economica della Gran Bretagna è fondamentalmente condizionata dal declino dell’energia netta nazionale. Ma questa notizia innovativa non ha avuto“risonanza”.
Rottura
Alla fine del 2010, nel mio libro A User’s Guide to the Crisis of Civilization avevo previsto che le grandi strutture statali transnazionali come l’Unione Europea avrebbero probabilmente affrontato sfide alla loro integrità territoriale, come effetto collaterale di questi processi. L’incapacità di affrontare le cause sistemiche, alla base del crollo finanziario del 2008, l’incapacità di riconoscerlo come sintomo di un sistema in declino, porterebbe a una politica sempre più autoritaria.
L’integrità di grandi strutture transnazionali dipende dall’abbondanza di flussi di energia a basso costo per sostenerle. Se tali flussi hanno un costo maggiore e una qualità inferiore, allora quelle strutture diventeranno sempre più logore e potenzialmente potrebbero anche cominciare a indebolirsi. I costi per mantenere il sistema aumentano mentre i profitti vengono ridotti, il che significa che l’eccedenza da investire in beni sociali di base, per mantenere tali strutture, diminuisce.
Questo è il motivo per cui nonostante la cosiddetta “ripresa” – tiepida com’è e basata sull’accelerazione dei livelli del debito (in termini biofisici quanto preso in prestito dalla Terra oggi, con la promessa di ripagarlo domani con quello che è già stato consumato oggi) – in termini reali, il potere d’acquisto delle persone continua a diminuire.
L’incapacità di comprendere e impegnarsi per le cause sistemiche e fondamentali della crisi significa anche che i responsabili delle politiche si pongono in una posizione in cui poter solo affrontare i sintomi evidenti.
Troppo spesso, questo significa risposte reazionarie a breve termine. E così in Francia, invece di affrontare la questione di come spronare una terza rivoluzione industriale per accelerare una transizione post-carbone e il rilancio delle infrastrutture, la risposta di Macron alla crisi climatica è stata proteggere i combustibili fossili e i produttori nucleari, mentre aumentava le tasse sul carburante. Non voleva affrontare le spaventose catene di distribuzione delle grandi società francesi. Non voleva penalizzare le potenti lobby del petrolio, del gas e del nucleare che sperava potessero aiutarlo a essere rieletto, e non ha fatto quasi nulla per accelerare una praticabile transizione post-carbone, che potesse trasformare la prosperità economica su basi più sostenibili.
E così, ponendo il gravame quasi esclusivamente sui lavoratori e i consumatori francesi, Macron ha innescato la spirale della rabbia e delle rivolte. I manifestanti hanno incendiato le banche, distrutto e saccheggiato i negozi e persino preso di mira l’Arc de Triomphe. Chiedono la fine del parassitismo delle imprese, assieme a richieste nazionaliste come la “Frexit”, l’allontanamento della Francia dall’UE e il contrasto alla migrazione. Dicono che mentre alcune richieste sono convincenti, non c’è parvenza di comprensione della vera crisi planetaria, oltre i banali tropi riferiti alle grandi banche. Lo Stato francese ha reagito con la propria violenza, sparando cannoni ad acqua e gas lacrimogeni sui manifestanti, arrestando oltre un migliaio di persone e minacciando di coinvolgere l’esercito francese.
Questo è un microcosmo di ciò che può accadere quando gli Stati e i popoli non riescono a comprendere le dinamiche più profonde di un sistema che non funziona: tutti reagiscono a ciò che è davanti ai loro occhi. I manifestanti danno la colpa a Macron. Lo Stato francese colpisce duramente la violenza. La politica diventa militarizzata, mentre trova conferma lo scetticismo sul mandato liberale in tutto lo spettro politico.
Le rivolte francesi non hanno quindi avuto origine dal nulla. Sono parte integrante di un più ampio processo di declino a lenta combustione dell’EROI, in cui i ritorni dall’attività economica alla società sono sempre più limitati dai maggiori costi energetici di tale attività e da declini di produttività per l’invecchiamento dell’infrastruttura e della tecnologia dell’era industriale centralistica. Era solo una questione di tempo, prima che la persona comune cominciasse a percepire l’impatto di quella stretta nella propria vita quotidiana. Gli aumenti delle tasse di Macron non erano la causa, ma l’innesco. Essi hanno acceso il fiammifero, ma la polveriera era già fumante.
La Brexit
Ma a questo punto ci siamo stati in precedenza, in Siria e oltre.
La Brexit è stata innescata nel contesto di dinamiche di sistema globali che rimangono poco conosciute. Nel decennio precedente la crisi finanziaria del 2008, la crescita economica della Gran Bretagna si stava indebolendo non solo per una bolla del debito nei mercati immobiliari, ma anche per un sistema energetico dipendente da combustibili fossili.
Quel sistema in sofferenza era indelebilmente legato alla crisi migratoria europea, che ha visto oltre un milione di rifugiati dal Medio Oriente e dal Nord Africa in cerca di rifugio in tutta Europa, inclusi Regno Unito e Francia, e che ha alimentato l’ondata di populismo nazionalista che ha investito tutto il continente.
Anche la crisi migratoria non ha avuto origine dal nulla, ma ha fatto seguito subito dopo la turbolenza della Primavera Araba. La destabilizzazione della Siria, dell’Egitto, dello Yemen era cosa che ci si aspettava da tempo, ma è stata scatenata da una perfetta tempesta di crisi. La produzione nazionale di petrolio diminuisce, tagliando le entrate statali dipendenti dalle esportazioni petrolifere, ha cospirato per i picchi dei prezzi del petrolio globali, grazie alla stasi nella produzione mondiale di petrolio convenzionale a buon mercato. Una serie di crisi climatiche, in tutte le principali regioni del paniere alimentare del mondo, ha portato a fallimenti colturali e siccità che hanno favorito i picchi dei prezzi alimentari.
La crisi sistemica globale ha interagito con la rottura dei sistemi nazionali locali. Come avevo riferito nel 2013, un ciclo di siccità naturale in Siria è stato aggravato in modo massiccio, a causa dei cambiamenti climatici, che ha devastato l’agricoltura e spinto centinaia di migliaia di agricoltori Sunniti nelle città costiere dominate dagli Alauiti. Con il crollo delle entrate petrolifere siriane, la produzione nazionale di petrolio convenzionale ha raggiunto il picco a metà degli anni ’90, il taglio di sussidi fondamentali di carburante e cibo da parte del governo, proprio mentre i prezzi stavano aumentando a livello mondiale, è stato l’ultima goccia [che ha fatto traboccare il vaso]. Le persone non potevano nemmeno permettersi il pane, quindi si sono incamminate.
Bashar al-Assad ha reagito con un’escalation di brutalità, tra cui sparatorie sui civili per le strade. Quando i manifestanti hanno impugnato le armi in reazione, il ciclo di violenza ha preso il sopravvento. Le potenze esterne sono intervenute per cooptare i loro favoriti, Russia e Iran in appoggio ad Assad, l’Occidente a sostegno di vari gruppi ribelli, non particolarmente interessati ad avallare la società civile siriana. Il conflitto si è intensificato, devastando il Paese e alimentando una crisi di rifugiati senza precedenti.
Quando la NATO è intervenuta in Libia, quando gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno sostenuto l’indiscriminato bombardamento aereo dello Stato, l’Arabia Saudita ha solo destabilizzato ulteriormente la regione. Il corso del declino in Medio Oriente e Nord Africa è il risultato di una combinazione fatale: una crisi del sistema Terra, aggravata da risposte miopi ed egoistiche da parte dei sistemi umani.
Quando famiglie e bambini hanno iniziato a comparire a torme sulle coste europee, la crisi del sistema Terra “là fuori” è arrivata in casa. L’Occidente non poteva proteggersi dalle conseguenze a lungo termine dell’insostenibilità dello stesso sistema postbellico, che aveva alimentato dalla Seconda Guerra Mondiale: dipendenza strutturale dai combustibili fossili, un mosaico di alleanze con regimi dispotici regionali, che hanno posto le basi per la convergenza del cambiamento climatico, l’esaurimento del petrolio greggio e il conseguente effetto domino delle crisi per il cibo e l’economia.
La crisi del sistema Terra, scoppiata in Siria, ha innescato un’ondata di destabilizzazione del sistema umano di cui la Brexit è stata solo la prima eruzione.
E così la crisi siriana è davvero un assaggio delle cose a venire. L’Europa è già un continente post-picco petrolifero, le cui risorse fossili interne sono in declino. Gli studi più attendibili sul potenziale dello shalegas in Europa mostrano che è estremamente debole e non simile alla situazione americana. Se siamo decisi a mantenere la dipendenza dai combustibili fossili, saremo costretti a importare.
Ma come ho mostrato nella mia monografia scientifica per Springer Energy Briefs, Failing States, Collapsing Systems: Bio Physical Triggers of Political Violence (2017), se la crescita della domanda aumentasse ai tassi attuali, è improbabile che i fornitori dell’Asia centrale e della Russia siano in grado di soddisfare, nei prossimi decenni, quella domanda a costi gestibili
Nel frattempo, alcuni impatti climatici sono già avviati. Tra il 2030 e il 2045, vaste aree del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA – Middle East and North Africa) diventeranno sempre più inabitabili a causa dei cambiamenti climatici. Questo è lo stesso periodo in cui si prevede che la produzione di petrolio nella regione MENA inizierà la stabilizzazione e il declino. Poiché i costi energetici della produzione e delle importazioni di combustibili fossili aumentano e l’UE rischia di essere nuovamente colpita dalla sfida della migrazione su larga scala dal Medio Oriente, a causa della devastazione del clima, le sfide all’integrità territoriale dell’UE non spariranno.
La Brexit è semplicemente un’increspatura,in superficie, di correnti più profonde. È un sintomo dello straordinario passaggio di civiltà, alla vita dopo i combustibili fossili.
In questo senso, il fiasco della Brexit è un esempio di quanto siamo lontani come specie dalle conversazioni che dobbiamo intrattenere. Parlare di essere dentro o fuori dall’Europa e in che modo non è irrilevante, ma è anche una grande distrazione dalla più profonda crisi sistemica che si sta svolgendo, al di sotto delle stesse questioni che determinano le nostre preoccupazioni immediate sulla Brexit.
Lo sconvolgimento del sistema Terra non porta inevitabilmente alla destabilizzazione dei sistemi umani. Ma se i sistemi umani rifiutano di impegnarsi ad adattarsi a questi sconvolgimenti, allora saranno destabilizzati. Finché la Gran Bretagna, l’Europa ei loro cittadini continueranno nella propria fissazione, in maniera miope, sui sintomi piuttosto che sulle cause, saremo incapaci di rispondere in modo significativo a tali cause. Invece, lotteremo l’uno contro l’altro in modo maniacale sui sintomi, mentre ci viene tolto il tappeto da sotto i piedi.
La crisi della Brexit e l’esplosione delle rivolte in Francia sono sintomi di una grande transizione di civiltà in evoluzione, in cui un vecchio paradigma riduzionista dell’autolimitazione materialista si sta estinguendo. Cittadini e responsabili politici, attivisti e dirigenti d’azienda, hanno bisogno di prendere coscienza di ciò che sta realmente accadendo, in modo da intrattenere le conversazioni che possono dare il via ad approcci significativi alla trasformazione sistemica.
Questa non è una crisi remota che accadrà negli anni futuri. Questo accade ora. Questo sta accadendo e sta influenzando voi, i vostri figli e coloro che amate di più. E interesserà i loro figli e i [figli dei] loro figli.
Questo è il vostro lascito. Questa è la vostra scelta. Questa è la vostra occasione per impegnarvi a diventare un agente di un nuovo paradigma, che parlerà per tutti gli esseri umani, tutte le specie e la Terra stessa. Forse non sappiamo esattamente come saranno i paradigmi che si profilano. Ma sappiamo che è ora di chiederci: da che parte stiamo? Con il vecchio o con il nuovo?
Per INSURGE, presento notizie sui sistemi che ci aiutano a capire i percorsi per un vero cambiamento.
Il Dr. Nafeez Ahmed è l’editore fondatore di INSURGE intelligence. Nafeez è un giornalista investigativo da 17 anni, originariamente per The Guardian, in cui ha riferito sulla geopolitica delle crisi sociali, economiche e ambientali. Nafeez riferisce sul “cambiamento di sistema globale” per Motherboard di VICE. Scrive su The Independent on Sunday, The Independent, The Scotsman, Sydney Morning Herald, The Age, Foreign Policy, The Atlantic, Quartz, New York Observer, The New Statesman, Prospect, Le Monde diplomatique, tra gli altri. Ha vinto due volte il Project Censored Award per il suo report investigativo; due volte è stato inserito nell’elenco dell’Evening Standard dei 1.000 più influenti londinesi e ha vinto il Premio Napoli, il più prestigioso premio letterario italiano istituito dal Presidente della Repubblica. Nafeez è anche un accademico interdisciplinare ampiamente pubblicato e citato, che applica alla violenza ecologica e politica l’analisi dei sistemi complessi. È ricercatore presso il Schumacher Institute.
Fonte: https://medium.com/
11/12/2018
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da NICKAL88
Nota a cura del traduttore
- Whitehall è una strada di Westminster, a Londra. È la principale arteria che porta a nord da Parliament Square, sede del governo, verso Charing Cross. Nella piazza sorge la statua di Carlo I d’Inghilterra, e spesso viene indicata come il centro di Londra. La strada è sede di numerosi ministeri, e di conseguenza in Inghilterra l’espressione Whitehall viene usata anche per indicare l’amministrazione di governo.
A darle il nome è il grande Palazzo di Whitehall che vi sorgeva fino al 1698, quando fu distrutto da un incendio: originariamente, la strada portava all’ingresso del palazzo.
Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Whitehall