Di Nestor Halak per ComeDonChisciotte.org
Dopo tre estati passate a cercare il modo di aggirare le demenziali regole pandemiche in cui peraltro tutti quelli che mi stavano attorno sembravano credere fermamente, è finalmente tornata un’estate in cui l’unico argomento di conversazione non è il terribile raffreddore di bassettiana memoria.
Questa volta ho potuto programmare le vacanze senza tenere conto di mascherine e certificati medicali. Un bel progresso.
A dire il vero pensavo che non ne uscissimo più, ma invece l’atmosfera è cambiata: l’impressione è come passare dalla Mosca degli anni trenta alla San Francisco degli anni sessanta. Mi pare perfino strano e mi chiedo se i miei compatrioti siano davvero pronti a ricominciare non appena gli verrà dato il segnale dai padroni delle loro menti.
Naturalmente la televisione continua a blaterare sciocchezze sulla guerra in Ucraina ribaltando quasi completamente la realtà, ma questo, almeno per il momento, non incide più di tanto sulla nostra vita reale: il coglione medio può pure sventolare per un poco bandierine giallo azzurre, ma poi, per quanto coglione sia, se ne va giustamente al mare. E comunque la “grande offensiva” del secondo esercito Nato dopo (almeno sulla carta) quello statunitense, non è proprio questo travolgente successo, per cui i media tendono a sfumare l’argomento.
Ciò che veramente tiene banco in televisione è qualcosa di molto più banale: il caldo. Ma non il caldo normale, quello delle estati di un tempo quando alla fine del telegiornale, dopo il nulla pneumatico delle interviste ai politici, mandavano in onda un servizietto del giornalista più sfigato della compagnia con i turisti che bagnavano i piedi in qualche fontana di Roma e la successiva smorfia del mezzobusto importante che ammiccava in studio tra il serio e l’ironico. No, si tratta del caldo assassino, quello procurato dal Cambiamento Climatico prodotto dai peccati dell’umanità contro il pianeta, che è cosa ben diversa permeato com’è dal Male stesso.
Sarebbe come confondere un temporale, per quanto abbondante, con il diluvio universale. O un raffreddore, con la Grande Pandemia. Certo avrete notato le chiare analogie sul trattamento riservato alle due questioni dalla propaganda mediatica: come per il virus letale, si fa tutto il possibile per impaurire il pubblico, non importa quanto assurde e ridicole possano sembrare le “notizie”, anzi, più sono assurde, più la gente ci crede, come peraltro aveva sottolineato parecchio tempo fa quel furbacchione di Tertulliano: credo quia absurdum. Novanta gradi a Roma! La temperatura percepita (da chi?), balza a sessantadue all’ombra! Ragazzo muore di caldo mentre si lava i denti (il rubinetto era chiuso).
Certo, però, che è più difficile impaurire la gente con il caldo che non con la Grande Morte Nera ed i risultati non sono paragonabili: infatti si vede ancora qualche allocco boccheggiare dentro una mascherina, ma difficilmente l’italico medio rinuncia ad andare al mare, dove tuttalpiù, per non sembrare ignorante, sviscera dottamente l’argomento clima (cioè ripete a pappagallo le istruzioni ricevute dalla televisione), mentre se ne sta tutto tatuato e un tempo palestrato sotto l’ombrellone mostrando una certa doverosa e responsabile preoccupazione: quando ero ragazzo io, la sera si usciva col golfino!
Tempo fa gli spin doctor hanno provveduto a correggere il primo slogan che recitava “riscaldamento globale”, chiaramente poco astuto, perché si prestava ad essere preso per i fondelli da quegli zucconi di popolani ogni volta che faceva freddo, sostituendolo con il più astratto e meno ridicolizzabile “cambiamento climatico”, dove ci sta dentro tutto. Se poi aggiungete che il clima non è stabile, non lo è mai stato, né, presumibilmente, mai lo sarà, il gioco è fatto.
Lo so, lo so, a questo punto entra di colpo in onda la “scienza”, che ci ricorda che sì il clima è sempre cambiato durante tutta la storia geologica, ma lo ha sempre fatto in tempi lentissimi, appunto geologici, “dando modo alla vita di adattarsi”, mentre adesso, il cambiamento rapido indotto dai Peccati Umani (il concetto di peccato può sembrare poco scientifico, ma pian piano lo sta diventando), è “talmente veloce che non c’è tempo per adattarsi, per cui catastrofe seguirà ineluttabile”.
Sembra una buona risposta, ne convengo, dopo tutto le ere glaciali durano decine di migliaia di anni, peccato però che non è vero. Anche così, di primo acchito, senza andare a consultare la letteratura, è facile ricordare, che so, l’optimum climatico medioevale, quando i vichinghi colonizzarono le coste della Groenlandia e sbarcarono a Terranova, o la Piccola era Glaciale del diciassettesimo secolo quando gli olandesi pattinavano sui canali. Tutte cose che si sono svolte nell’ambito di poche generazioni, per nulla geologiche.
La gran furbata è stata quella di far rientrare qualsiasi manifestazione atmosferica nell’ambito del “cambiamento climatico” e farla diventare un “evento estremo”. Naturalmente per poter classificare come estremo un evento, occorrerebbe mettersi d’accordo prima sul significato di estremo, definendone la misura e la ripetitività nel tempo, cosa che presuppone la conoscenza delle statistiche relative ai vari siti, tutta roba noiosa che il grande pubblico non conosce e spesso manco vuole conoscere, per cui tutto dipende dall’enfasi che i “giornalisti” o i politici o gli “scienziati”, insomma l’Autorità, mettono su un determinato avvenimento: se non piove è allarme siccità, se piove, è allarme alluvione, se fa freddo siamo“stretti nella morsa del gelo”, se fa caldo, le strade sono ingombre dei cadaveri dei vecchietti che disobbedendo alla televisione si sono avventurati all’esterno nelle “ore più calde”. Se tutto è normale, è un normale troppo normale per essere normale e induce il sospetto che sia un normale estremo, procurato, ovviamente, dal Cambiamento Climatico”.
Per esempio due anni fa nella mia città chiusero le scuole per neve: non si vide un fiocco per tutto l’inverno, ma i più giudicarono la cosa “normale”. A me invece parve un evento “estremo”.
Adesso si dice che i lavoratori all’aperto siano minacciati dalle temperature infernali (mai accaduto prima?) ed anche il governo corre ai ripari con appositi provvedimenti, senza contare che in questo modo, se qualche muratore cade dall’impalcatura, si potrà sempre dire che benché tutte le norme di sicurezza fossero scrupolosamente rispettate, il Caldo Assassino ha indotto il malore.
E pensare che un tempo aspettavamo l’estate con trepidazione ed eravamo felici quando arrivava “la bella stagione”. Come eravamo incoscienti! Per fortuna i nuovi profeti, proprio quando sembrava che le ideologie fossero morte, ci hanno indicato la via ecologica richiamandoci alla correttezza, alla responsabilità ed al sacrificio di sé: questa volta sarà dolce morire non per il re, non per dio, non per la patria, ma per il benessere del pianeta! Per quanto incredibile, c’è sempre un sacco di gente smaniosa di espiazione.
Comunque sia, dato che posso affermare con un certo orgoglio che né i media né i medici sono mai riusciti a terrorizzarmi con il covid (se mai con i provvedimenti contro il covid), certamente non avrò paura del caldo anche perché per il momento le regole che ci proteggono dal flagello non sono così staliniane come quelle pandemiche, ma chissà in futuro. Conseguentemente direi che quest’estate, confronto alle tre precedenti, più che afa ha portato una boccata d’aria fresca, checché ne dicano i catastrofisti esperti del “bollino rosso”. Per inciso avrei un suggerimento su dove possono appiccicarselo il bollino, ma non lo esplicito per rispetto al blog.
Di sicuro mi sento più Nerone che Bruno Vespa e mentre Rodi brucia e migliaia di turisti accaldati sciamano via, preferisco suonare la lira che le trombe del Giudizio! Non soffro il caldo? Al contrario, al momento, proprio mentre scrivo, sono tutto sudato: in questa veranda si soffoca! Per cui vado fuori, ma non prima di aver posto un’ultima domanda: secondo voi, ne ammazza più il caldo o il freddo? In realtà la risposta è facile, basta buttare un occhio sulle statistiche della mortalità per tutto le cause e vedrete che invariabilmente, tutti gli anni da che esiste statistica, ma più generalmente da sempre, il mese con la mortalità più elevata è gennaio.
Non per nulla siamo animali africani. Ovviamente potete star certi che a nessun mezzobusto televisivo verrà in mente una considerazione del genere: sono spiacenti, ma non fa parte della loro linea editoriale.