La stella di Roberto Speranza

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Pare sul punto di eclissarsi la stella di Roberto Speranza, che ha rappresentato, più di ogni altro burattino, il volto fanatico, morboso e funereo della nota “emergenza”. Il successo politico di quello che sembrerebbe a prima vista un rampante politicante di provincia, è un po’ il Mistero Buffo di questa repubblica morente. Egli è stato infatti il trait d’union, mantenendo la carica di ministro della salute, fra la prima e la seconda fase del” piano”, fra il governo Conte II e l’esecutivo guidato dal Drago.

Esponente di un partito evanescente (“Articolo 1”, ennesima pseudoscissione dal corpaccione del PD) e di un gruppo parlamentare (“Liberi e Uguali”) che non rappresenta nulla se non una cricca di predatori dello scranno ed è del tutto irrilevante per raggiungere la maggioranza parlamentare (oltre ad essersi spappolato proprio in occasione della fiducia al Drago),, Speranza, non avrebbe dovuto mantenere nel governo un ruolo così delicato e politicamente “pesante”, visto e considerato che, negli equilibri del nuovo esecutivo, la Lega avrebbe dovuto mettere il veto sulla sua persona. Al riguardo, un’ipotesi “minimalista” dipinge Speranza come l’agnello sacrificabile di questa sceneggiata, il capro espiatorio da mandare al macello, mediatico e giudiziario, appena le cose si fossero messe male, il prestanome perfetto.

Come emerge dal recente saggio di Davide Rossi “La Fabian Society e la pandemia”, invece, la storia di questo personaggio e della sua iniziazione al servaggio d’alto bordo è più articolata. Egli non è un mero “pupillo di Bersani”, come viene descritto nelle biografie più accomodanti, ma un apprendista del sottopotere che frequenta, ventiseienne appena laureato in scienze politiche, ma già consigliere comunale nella sua Potenza, un corso estivo presso uno dei templi del pensiero globalista, quella London School of Economics che è stata negli anni una palestra di “leader” politici che si sono spesi per attuare le misure neoliberiste e si sono messi al servizio del Pensiero Unico Dominante. La LSE è la roccaforte della Fabian Society, un’organizzazione parapolitica che ha annoverato nelle sue file la crème dell’intellighenzia britannica e che ha condizionato tutta la storia del Partito Laburista propugnando un socialismo “elitista” che trova la sua massima espressione negli anni del premierato di Tony Blair. Referente italiano di questo pensatoio e del grumo di interessi dal quale scaturisce è Massimo D’Alema, nel cui entourage prese a gravitare lo stesso Speranza dopo la sua gita scolastica londinese, diventando a distanza di pochi mesi presidente della Sinistra Giovanile, l’organizzazione dei giovani degli allora Democratici di Sinistra di D’Alema e Bersani.

Un ruolo nella “promozione” di Speranza sarebbe stato giocato anche dal suo retaggio familiare, essendo sua madre di origine inglese (ma di lei, deceduta qualche anno fa, non si sa nulla) ed avendo avuto un cugino residente nel Regno Unito che, a detta sua, avrebbe fatto parte dello staff dell’allora premier laburista Gordon Brown. Come tutti quelli che entrano nel giro giusto, Speranza ha anche tessuto legami con lo Stato di Israele, dove è andato a sposarsi con la storica compagna Rosangela Cossidente, altra figura chiave, seppur al riparo dai riflettori, della sua vicenda umana e politica. In occasione del matrimonio, fiorirono le illazioni sul sacerdote che aveva unito Speranza e la moglie, padre Ibrahim Faltas, dipinto addirittura come agente del Mossad, quando è invece stato, seppur in modo controverso, vicino alle rivendicazioni palestinesi.

Il mistero Speranza, insomma, resta fitto, oltre che buffo: ultimamente, qualche scricchiolio sembra minare la stabilità della sua poltrona di paglia, fra schizzi di fanghiglia televisiva (“fuoco amico”) e procure che sembrano essersi destate dal torpore, seppur fuori tempo massimo. Speranza giunse pure a pubblicare, e subito ritirare dal commercio, un’autobiografia che avrebbe trovato il tempo di scrivere “nei giorni caldi dell’emergenza” (“Perché guariremo…”), volume prima inabissatosi nei magazzini ed alla fine riemerso con tutte le sue amenità. Una sua biografia potrebbe invece intitolarsi “Se questo è un uomo”.

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