LO “SPOPOLAMENTO” DI HAITI: DISLOCAZIONE ECONOMICA, POVERTA’ E DISPERAZIONE, UN PIANO GLOBALISTA?

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DI DADY CHERY

globalresearch.ca

Quasi due terzi delle vittime del terremoto che colpì Haiti il 12 Gennaio del 2010 furono diretta conseguenza delle politiche economiche che l’Inter-American Developement Bank (IDB), World Bank, e United States Agency for International Developement (USAID) misero in atto per creare un surplus di lavoro per l’industria dolciaria del paese.

La ben nota riduzione delle tariffe sulle produzioni agricole, l’invasione del mercato haitiano con le produzioni delle risaie sovvenzionate dell’Arkansas, e l’eliminazione della razza autoctona di maiale creolo, furono tutti passi di un piano ben organizzato al fine di impoverire gli allevatori haitiani e indurli ad un esodo forzato dai loro villaggi alla capitale Port-au-Prince. Così facendo in circa trent’anni, qualcosa come 1,6 milioni di haitiani andarono ad aggiungersi agli 800,000 già presenti nell’area che divenne poi l’epicentro del sisma.

Fino a quel disastro ci fu una quasi completa scomparsa dell’agricoltura haitiana e una dissipazione della popolazione al fine di prevenire la carestia ed una conseguente rivolta. Questo processo richiedette la partecipazione dei paesi latino americani facenti parte delle Nazioni Unite in “missione di pace” (MINUSTAH), e delle famiglie più ricche di Haiti.

UN’ECONOMIA A ZERO-OCCUPAZIONE RETRIBUITA

La maggior parte delle nazioni non lascerebbe andare in rovina la propria classe media se non in caso di distruzione sistematica dovuta ad una guerra, come appena successo in Siria. Il governo haitiano però non fa testo, esso è infatti nemico della popolazione. Nel caso delle migrazioni, gli industriali haitiani fecero partito comune e contribuirono al progetto globalista per lo spopolamento del paese e la diseredazione degli abitanti.

Questa élite di persone credeva fosse possibile basare l’economia del paese interamente sul money transfer dall’estero. Osservarono, con bramosia, come quasi 2 miliardi di dollari provenienti dagli haitiani residenti all’estero rappresentassero circa il 20% del prodotto interno lordo. Per di più queste entrate superavano gli aiuti dall’estero o comunque gli investimenti di capitali esteri, essendo quest’ultimi meno affidabili perché dipendenti da decisioni politiche e variazioni di mercato. Tradizionalmente la maggior parte delle entrate provengono dagli emigrati residenti in Repubblica Dominicana, Stati Uniti, Canada, Bahamas e Francia; paesi che sono diventati la meta principale della diaspora, dove risiedono in tutto 2 milioni di haitiani. Tutto ciò cambiò quando il Governo decise di lasciare senza lavoro il 90% della cittadinanza, e creare deliberatamente un esodo in tutta l’America latina per trarne guadagno.

L’EQUADOR APRE LE PORTE

L’inizio dei peregrinaggi degli haitiani per l’America latina precedette il terremoto di un paio di anni, e il fenomeno dei senza tetto non è imputabile ad esso. Nel Luglio del 2008 il Governo equadoriano fece cadere tutte le restrizioni riguardanti visti e documentazioni di genere ed aprì le frontiere agli immigrati e richiedenti asilo. All’inizio ciò coinvolse i trafficanti di uomini di entrambi i paesi che erano chiaramente in combutta con i rispettivi governi.

I primi haitiani che caddero nella presa dei trafficanti furono i giovani, appena maggiorenni che aspiravano a continuare gli studi all’estero. In un caso ben documentato, quattro giovani fra i 17 e i 28 anni attratti da allettanti promesse di borse di studio, si trasferirono in Equador dove vennero praticamente sequestrati nel loro alloggio per circa un anno e costretti a pagare 150$ al mese di affitto. Un requisito per ottenere una borsa di studio era la necessità di avere parenti in America o Canada così da poter pagare il costo dell’iscrizione di circa300$. Il denaro per pagare l’affitto veniva successivamente estorto alle famiglie. Il Governo dell’Equador non si comportò meglio dei coyote. In seguito al terremoto del 2010 mise in regola circa 390 haitiani ma ne lasciò altri 1000 nelle mani dei trafficanti e del lavoro nero. Dal 2015 il numero degli immigrati irregolari provenienti da Haiti ha raggiunto quota 20,000. Nel Maggio dello stesso anno l’Equador ha annunciato che avrebbe concesso un visto di cittadinanza valido 6 mesi a tutti gli haitiani immigrati irregolari; decorso tale periodo sarebbe valso come permesso di soggiorno. Non è chiaro quanti abbiamo approfittato di tale manovra per legalizzare il loro status.

DILMA CONCEDE I VISTI

Grazie allo stato di salute di cui gode il sistema giudiziario brasiliano, molte delle ditte di costruzioni e dei politici che caldeggiarono il sordido traffico di esseri umani da Haiti verso il Brasile, non sono stati estromessi dal mercato o imprigionati per i loro crimini. Come per l’Equador le loro frontiere si sono spalancate all’arrivo degli insospettabili migranti haitiani, ma la subitanea generosità riguardo ai visti non comprendeva alcun interesse umanitario. Al massiccio reclutamento di manodopera da Haiti da parte di Dilma Roussef fece immediatamente seguito una rivolta dei lavoratori brasiliani nella primavera2011, più di un anno dopo il terremoto di Haiti. Uno degli obbiettivi della concessione dei visti fu l’arruolamento di crumiri per i lavori pericolosi che riguardavano la costruzione di stadi, miniere, ponti e dighe per centrali idroelettriche. Per manodopera del genere si poteva facilmente attingere al pozzo costituito da lavoratori non specializzati, come quelli haitiani e dominicani, ma c’era anche un altro scopo, ossia quello di liberare Haiti da un gran numero di cittadini facinorosi e potenzialmente pericolosi. Il 77% di coloro che migrarono in Brasile erano uomini e il 90% di essi era scolarizzato di età compresa fra i 19 e i 45 anni.

 

Quando i flussi migratori verso il Brasile cominciarono a rallentare, nell’estate del 2015, dopo che un haitiano morì ed altri cinque rimasero feriti, il Governo rinnovò l’offerta dei visti. “Tutti gli haitiani che arriveranno in Brasile saranno i benvenuti: quelli che entreranno legalmente verranno trattati alla stregua di coloro che lo faranno senza documenti”, annunciò l’ambasciatore brasiliano ad Haiti, Fernando Vidal, il 6 Ottobre 2015. Quando un giornalista gli chiese “anche se ne arrivassero 10 milioni?” Vidal spiegò “Non ci sono tetti, né requisiti né restrizioni”. Un mese dopo il Brasile diede spettacolo garantendo al 58% dei 76,000 haitiani residenza permanente. Successivamente si permise alla popolazione dei provenienti da Haiti di crescere fino a 100,000. Dopo che la massiccia corruzione all’interno del partito della Roussef cominciò a mostrarsi sotto forma di recessione nel 2016, il mercato del lavoro in Brasile subì un brusco rallentamento, e con esso sparirono anche i visti.

PROSSIMA FERMATA: CILE

In Cile la migrazione di haitiani iniziò all’incirca nel 2011, ma tra il 2011 e il 2016 il fenomeno non raggiunse mai i livelli di Equador e Brasile, fermandosi a quota 9,000. Riguardò soprattutto studenti, l’80% di essi in età compresa tra i 15 e i 30 anni, di cui circa il 65% di sesso femminile. Fino a che non fu necessario il visto, bastava possedere passaporto e biglietto aereo. Generalmente partivano da Port-au-Prince in aereo fino a Santiago, facendo tappa a Panama City. Sebbene non vi fossero molti traffici come negli altri casi, il problema dello sfruttamento si verificò ugualmente; sotto forma di prezzi eccessivi per i biglietti (più di 2,300$) e centinaia di dollari di tasse davvero poco ortodosse.

Al loro arrivo in Cile molti scoprirono che i diplomi conseguiti in patria non avevano alcun valore. Ad altri andò peggio ancora; dopo cinque anni di studi, gli istituti formazione non garantirono alcun diploma. Nell’Agosto del 2016 improvvisamente la popolazione haitiana in Cile raggiunse i 40,000 abitanti, quando gli immigrati cominciarono a lasciare il Brasile a causa della mancanza di posti di lavoro. Altri 70,000 immigrati dal Brasile sono previsti arrivare nel 2017.

IL VIAGGIO INUMANO VERSO IL MESSICO

Un’altra parte di haitiani decise invece di affrontare un viaggio su gomma verso gli Stati Uniti. Secondo un report di Christiane Ndedi cica 5,000 si sono diretti a san Ysidro, appena un po’ a sud di San Diego. Altri aspettano Tijuana e Mexicali per attraversare il confine. In ogni caso vivendo in condizioni abominevoli, spesso anche gli enti caritatevoli e le chiese non hanno posti letto e servizi a sufficienza per accoglierli tutti. Molti dei migranti sono persone istruite che hanno abbandonato l’idea di poter trarre utilità dalla propria formazione scolastica. Per esempio un ingegnere civile ha trovato impiego come semplice idraulico in Brasile. Tramite una serie di interviste Ndedi ha scoperto che ogni immigrato spende dai 3,000 ai 5,000 dollari e ha viaggia per mesi attraverso foreste, deserti e fiumi, sballottato da un trafficante al successivo. Dal Brasile, carichi umani attraversano, Perù, Equador, Colombia, Panama, CostaRica, Nicaragua, Honduras, e Guatemala, per arrivare in Messico a Tapachula e proseguire verso nord. Generalmente sono tutti concordi nell’affermare che la frontiera tra Colombia e Panama è la più ostica da attraversare. Alcuni sostengo di aver assistito alla morte di uomini, donne, e bambini in quel tratto.

“El Poli” alias di Luis Ramirez, domenicano; “El Pastor” ossia Cedanus Dorvil, e “El Guardaespaldas” Jean Blendy Mahotiere, entrambi da Haiti. I loro canali di traffici umani portano gli haitiani a Santiago, Cile, dove li scaricano direttamente in strada (FONTE: Gustavo Villarruba e Juan Pablo Figueroa/CIPES ).

….E DOVE FINISCONO POI?

Il Governo di Haiti è riluttante ad accettare indietro i migranti, ne accetta solamente 50 al mese, sostenendo che per la maggior parte la cittadinanza originaria non può essere accertata. Nel frattempo migliaia di poveri haitiani, e anche domenicani, vengono scarrozzati ogni settimana dalla Repubblica Domenicana ad Haiti, a causa della decisione della UN nel 2013. Infatti si stima che circa 126,000 persone sono rientrate ad Haiti dalla Repubblica Domenicana tra Giugno 2015 e il Luglio 2016, la maggior parte con nient’altro che i vestiti che indossavano. In effetti gli haitiani ricchi doppiogiochisti hanno organizzato un affare faustiano ingannando i loro compatrioti poveri lasciandoli nella miseria, per poi arricchirsi.

Se Haiti ha abbandonato i suoi cittadini costringendoli alla migrazione, poi la loro seconda espulsione forzata dal paese è stato, se possibile, ancora più drastica. Nonostante le traumatizzanti traversate, nessuno di coloro arrivati da Brasile e Messico aveva preso un ritorno in patria come un’eventualità possibile. Nonostante i torti subiti dalla popolazione siano dovuti alla mancanza di lavoro, ciò si può facilmente ricondurre al totale collasso degli apparati statali, all’assenza di leggi, alla inefficiente amministrazione beni terrieri, all’inflazione fuori controllo, ai prezzi folli dei beni primari e al sabotaggio degli acquedotti che hanno reso l’acqua imbevibile e la vita insostenibile.

“Se tutti lasciassero Haiti, che ne sarebbe del paese?” Christiane Ndedi chiede ad alcuni espatriati.

J: “Non so, per quanto mi riguarda, se ognuno può avere la possibilità di andarsene sarà meglio”

N: “Ma se continuiamo così le cose non cambieranno mai. Il Governo continuerà a fare ciò che vuole”

J: “Lo capisco, ma io che ho dei figli non posso restare. Se rimango non avrò nulla da dargli. Che opportunità ho qui? Ho frequentato 14 anni di scuola per niente. Per niente….”

Questi migranti che hanno deciso di affrontare un viaggio inumano per prendere in mano il loro destino, non possono immaginarsi abbandonati al loro destino, fino a scomparire: un esperimento di asportazione di cittadini e con loro di identità nazionale, così che entità “superiori” ( vedi UN, IDB, e World Bank) possano agevolmente manovrare l’economia di Haiti.

 

Dady Chery

Fonte: www.globalresearch.ca

Link: http://www.dadychery.org/2017/01/12/haitis-depopulation-a-globalist-project/

12.01.2017

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALE.OLIVI

 

Fonti: Dady Chery autore di We have Dare To Be Free, per Haiti Chery.

Foto: uno e due ad opera di Mundi of Sao Paulo; quattro, cinque, sei e otto di Folha de Sao Paulo; sette di Investigacion Periodista (CIPER).

 

 

 

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