Le molecole che compongono i farmaci o che derivano dalla produzione dei farmaci stessi finiscono nell’ambiente.
Possono essere riversate direttamente dalle aziende farmaceutiche durante la fase di produzione, ma anche dai consumatori quando non smaltiscono correttamente le medicine. Una certa parte finisce nelle acque anche attraverso le feci e le urine delle persone che ne fanno uso.
Un significativo studio ha monitorato 1.052 siti di campionamento lungo 258 fiumi in 104 paesi di tutti i continenti e ha dimostrato che la presenza di residui farmaceutici nelle acque superficiali rappresenta una minaccia per la salute ambientale e/o umana.
L’esposizione ambientale agli ingredienti farmaceutici attivi (API), infatti, ha effetti negativi sulla salute degli ecosistemi e degli esseri umani ed è difficile quantificare la portata del problema da una prospettiva globale perché il confronto dei dati esistenti, generati per diversi studi/regioni/continenti, è impegnativo a causa delle grandi differenze tra le metodologie analitiche impiegate, inoltre al momento non disponiamo di dati per la maggior parte dei paesi del mondo.
È necessario scoprire un approccio diverso alla malattia cercando, innanzitutto, di prevenire le condizioni patologiche con stili di vita salutari e poi, in secondo luogo, quando si verifica un problema di salute, provando a risolvere in prima battuta con rimedi naturali (propri, ad esempio, della medicina antroposofica, della medicina omeopatica e delle medicine tradizionali che si basano principalmente sull’utilizzo di piante ed erbe) e solo alla fine, in caso non si sia riusciti a risolvere diversamente, ricorrere ai farmaci di sintesi.
In questo modo si avrebbero livelli di tossicità indubbiamente più bassi, per non dire nulli, sull’ambiente e anche sui nostri organismi.
Ma per questo è necessario un cambio totale di mentalità. E ne siamo ancora ben lontani, purtroppo.
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VB