Stelle e strisce, la propaganda bellica fra Israele, Gaza e Roma

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Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org

Nella società dello spettacolo dove tutto viene cannibalizzato, triturato e vomitato addosso ai telespettatori (una volta cittadini), i mestieranti dello show della politica italiana hanno attaccato la spina della propaganda: le guerre non si combattono solo con i proiettili ma anche, e soprattutto, con le immagini e i simboli.
E mentre nella striscia di Gaza le notti sono illuminate dai fuochi fosforescenti dei missili, in Occidente si è acceso il grande spettacolo pirotecnico che ha visto lanciare in aria persino la stella di Davide che ha fatto i suoi giri sui monumenti dei vari angoli del mondo. Un vero e proprio gioco di luci e proiezioni per ammaliare le masse che ricorda i fuochi d’artificio di fine anno gettando benzina sul fuoco in un’area già caldissima del pianeta.

Anziché aprire i canali diplomatici e favorire la ricerca di una negoziazione delle pluralità che facciano cessare il fuoco, l’Unione Europea ha inasprito i rapporti con il mondo arabo incenerendo qualsiasi possibilità di dialogo all’interno di una riflessione razionale sulle cause e selle conseguenze del conflitto.

La compagnia dei burattinai, dei mangiafuoco e dei buffoni sanguinari è arrivata anche a Roma dove sull’arco di Tito – capolavoro costruito nel 81 d.C. ai piedi del colle Palatino all’interno del Foro Romano – la stella di Davide ha coperto l’iscrizione “Senatus popolusque romanus divo Tito divi Vespasiani F Vispasiano Augusto” (Il senato e il popolo romano al Divo Tito Vespasiano Augusto, figlio del Divo Vespasiano).

L’arco commemora, infatti, le vittorie dell’imperatore durante la guerra giudaica quando in Palestina, nel 70 d.C., sedò la rivolta che quattro anni prima aveva sconfitto le milizie di Roma conquistando la città di Gerusalemme. Un rilievo in marmo rappresenta il corteo trionfale che, attraversando la Porta Triumphalis, porta il candelabro a sette rami (menorah) e le trombe d’argento, presi dal Tempio di Gerusalemme. Un altro rilievo rappresenta Tito sulla quadriga incoronato dalla Vittoria, mentre le figure a lato sono personificazioni del popolo di Roma (a torso nudo) e del Senato (con la toga). La tradizione ebraica ricorda tutt’oggi l’arrivo di Tito a Gerusalemme con la “Tisha BeAv”, giorno di lutto e di digiuno.

Si tratta del Secondo Tempio, ricostruito dopo la distruzione del Tempio di Salomone eretto, secondo la Bibbia, dal Re Salomone nel X secolo a.C., le cui dimensioni vennero dettate da Dio. Questo Tempio fu completamente distrutto nel 586 a.C. dal re babilonese Nabucodonosor II, come riportato nelle fonti bibliche.

Il Secondo Tempio fu eretto a partire dal 536 a.C. e ultimato nel 515 a.C. Durante il periodo del dominio seleucide, la sua profanazione ad opera di Antioco IV Epifane scatenò una rivolta guidata da Giuda Maccabeo che riuscì a riconsacrarlo nel 164 a.C. Erode diede poi inizio ad un importante ampliamento della struttura che terminò nel 64 d.C. e venne, infine, distrutto da Tito. Del complesso costruttivo oggi non rimane che il muro occidentale, il Muro del Pianto, ma le profezie del Tanakh, l’Antico Testamento ebraico, promettono la ricostruzione del Terzo Tempio di Gerusalemme prima dell’avvento dell’età messianica.

Proiettare la bandiera israeliana proprio nel sito in cui è immortalato il saccheggio del luogo più sacro dell’ebraismo appare una scelta irresponsabile che non fa altro che alimentare la tensione e l’isteria collettiva rendendo l’aria altamente infiammabile anche in Italia.

Sono strumentalizzazioni, decontestualizzazioni, distorsioni, falsificazioni di cui la guerra mediatica si arma per espugnare il territorio dei simboli e delle significazioni, ridotti a slogan da sbandierare nelle piazze per gli adoratori delle verità semplificate.

All’ombra del monumento romano, i nuovi fanatici innalzano i loro templi per sottomettere i popoli alla loro verità. Nessuno può stare aldilà delle loro convinzioni, pena l’invio di ispettori nelle scuole per zittire il dissenso degli studenti, la cacciata di Moni Ovadia dal teatro di Ferrara o l’esclusione della scrittrice palestinese Adania Shibli dalla Fiera del Libro di Francoforte dove si avrà cura, invece, di garantire ampi spazi alle voci israeliane.

I mercenari di una carneficina per procura scavano nelle profondità labirintiche del tempo, frugano nell’archeologia per riportarne alla luce frammenti lucenti, ripuliti dalla sabbia sporca che sempre lastrica le vie della storia, con cui abbagliare gli spiriti, costruire assoluti, operare oscurantismi, coltivare intolleranze e pretesti sanguinosi.

La stella di Davide perde i suoi raggi, non irradia più nulla di sacro, esplode sotto il loro fanatismo, incenerita da accostamenti oscuri, per affumicare le anime e infiammare gli esaltati, condotti verso preghiere alla rovescia esalanti odio e vendetta, in un’aurora di massacri sul precipizio di una guerra mondiale

Senza riflessione, però, quella stella diventa molto pericolosa, perennemente in orbita sul bordo del suo ultimo giro, l’istante prima dell’esplosione e della sua trasmutazione in buco nero.

Nella grande notte dell’umanità, quando tutte le bussole interiori sono rotte, i popoli seguono quella finta stella fatta volteggiare sull’arco della storia, nell’oblio della memoria, nel buio della ragione, per sollevare certi istinti nella volta astrale, aldisopra di ogni idea superiore di essere umano, e mantenere la vita in un’atmosfera costante di crimine soffuso e delirio cronico.

Gerusalemme, la città sacra alle tre religioni abramitiche, il luogo biblico dove si alternano cosmogonie e apocalissi, da sempre sospesa a mezz’aria tra mito e realtà, precipita, infine, in un bagno di sangue. Al suo posto una voragine in cui la ferocia spalanca i suoi abissi. Un altro mondo si è messo in moto, rozzo, oscuro, violento.

Un’orda di esiliati che non riconoscono più la propria patria, stranieri nella propria terra, balla ubriaca intorno al rogo di un’antica civiltà, sull’orlo dell’incoscienza, accanto all’abisso.

I “pacifisti” teleguidati scendono in piazza con la bandiera di Israele alzata, amano e odiano a comando, si esaltano e si appiattiscono a comando. Lo sdegno tele-guidato li rende completamente indifferenti ai massacri dei civili palestinesi, resi invisibili dalla propaganda.

È una società già addestrata e arruolata per gli scenari imminenti, in marcia fra le macerie del pensiero.

La guerra è già qua.

Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org

19.10.2023

 

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