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Nina Bergman dell’Associazione svedese dei professionisti della salute parla delle condizioni di lavoro degli operatori sanitari in Svezia e del sostegno del sindacato alle lotte per i diritti dei lavoratori nel Sud globale
In una recente riunione dei sindacati affiliati a Public Services International (PSI), gli operatori sanitari delle comunità hanno lanciato una campagna volta a garantire la parità di diritti nel settore sanitario. L’incontro, che ha visto la partecipazione di operatori sanitari provenienti da molti Paesi dell’Asia meridionale, ha accolto anche rappresentanti sindacali del Nord globale. Alcuni dei rappresentanti sindacali hanno colto l’occasione per condividere un appello ai governi dei Paesi ad alto reddito affinché sviluppino strategie alternative per il rafforzamento del personale sanitario, abbandonando la pratica del reclutamento internazionale.
Nina Bergman, un’organizzatrice sindacale dell’Associazione svedese dei professionisti della salute, ha condiviso ulteriori dettagli sulla questione durante una conversazione con il People’s Health Dispatch. Ha sottolineato la continua lotta della Svezia contro la grave carenza di personale sanitario. Nonostante la carenza abbia un impatto sulle routine di lavoro nel settore, il sindacato rimane convinto che il reclutamento internazionale non sia la soluzione alle sfide della Svezia. Bergman ha sottolineato che, anche se il numero di operatori sanitari nel sistema sanitario pubblico dovesse aumentare grazie al reclutamento internazionale, non sarebbe sufficiente a garantire il diritto universale alla salute in Svezia, in un contesto di deterioramento globale delle condizioni sanitarie.
“Nelle Assemblee Mondiali della Sanità, uno dei temi che viene regolarmente affrontato riguarda la responsabilità di ogni Paese di costruire la propria forza lavoro nel settore sanitario, e non di prendere gli operatori sanitari degli altri. Penso quindi che sia davvero importante preoccuparsi degli altri Paesi, perché in questo modo ci prendiamo cura anche di noi stessi e dei nostri pazienti”
– ha detto Bergman.
Oltre al coinvolgimento in iniziative a sostegno degli operatori sanitari nel Sud del mondo, l’organizzazione di Bergman è alle prese con questioni irrisolte a livello locale. Il sistema sanitario svedese, apparentemente stabile, deve molto alla sua struttura, finanziata prevalentemente da risorse pubbliche e progettata per rispondere efficacemente alle diverse esigenze sanitarie regionali. Sebbene il settore privato si stia gradualmente affermando in Svezia, la sua portata rimane limitata.
Tuttavia, sia il settore pubblico che quello privato in Svezia devono far fronte alla carenza di personale a tutti i livelli. I lavoratori esistenti sono sopraffatti dal carico di lavoro, un’esperienza che rende ancora più difficile trovare persone disposte a lavorare nel settore sanitario. Bergman ha commentato: “Quando ci confrontiamo con gli operatori sanitari, tra cui ostetriche, infermieri, scienziati biomedici e radiologi del mio sindacato, ascoltiamo il loro punto di vista. Parlano del carico di lavoro gravoso e, soprattutto, dell’insufficienza di organico”.
La portata del problema è diventata ancora più evidente durante la pandemia Covid-19, quando il carico di lavoro è diventato insostenibile. Bergman ha spiegato che se da un lato la pandemia ha rappresentato una sfida significativa per la Svezia, dall’altro ha fornito al sindacato ulteriori motivi per sostenere una strategia più forte per la formazione degli operatori sanitari, in particolare degli infermieri, all’interno del Paese. L’importanza di mantenere livelli adeguati di personale, grazie a una maggiore formazione e al miglioramento delle condizioni di lavoro, è evidente anche dai dati sulla sicurezza dei pazienti e sulla qualità dell’assistenza.
Attualmente, la situazione è tutt’altro che ottimale, con gli operatori sanitari che devono affrontare regolarmente straordinari eccessivi e orari di lavoro imprevedibili. Bergman ha raccontato l’esperienza di un operatore della clinica d’emergenza il cui orario presunto è dalle 8:00 del mattino alle 20:00 di sera, ma che praticamente “non sa mai quando andrà a casa”.
Gli operatori della clinica rimangono fino a quando l’ultimo paziente riceve le cure, il che significa che un giorno possono andarsene all’una di notte e quello successivo alle 20:00, come inizialmente previsto.
È improbabile che si riesca a risolvere il problema della mancanza di organico e degli straordinari eccessivi solo con un approccio basato sul rapporto personale-pazienti, ha dichiarato la Bergman al People’s Health Dispatch. Ha sottolineato che concentrarsi esclusivamente sul rapporto infermieri-pazienti potrebbe oscurare altri elementi critici essenziali per garantire un’assistenza di alta qualità. Secondo la dottoressa, è altrettanto cruciale garantire la presenza di team interdisciplinari che lavorino in modo collaborativo con i pazienti.
Bergman ha aggiunto:
“Abbiamo anche il timore che il rapporto operatori-pazienti possa configurarsi come tetto. Il nostro obiettivo è organizzare l’assistenza nel miglior modo possibile per i pazienti, il che potrebbe richiedere un numero di infermieri superiore a quello consentito dai rapporti stabiliti, da qui la nostra cautela nei confronti di questo indicatore“.
L’obiettivo principale rimane quello di costruire una forza lavoro adeguata alle esigenze locali, estendendo al contempo il sostegno e la solidarietà ad altre nazioni, in particolare a quelle del Sud globale. Bergman ha sottolineato che il riconoscimento delle cause comuni delle sfide per gli operatori sanitari, tra cui i tagli alla spesa pubblica e le politiche di austerità, dovrebbe motivare gli operatori a intraprendere azioni che vadano a beneficio di tutti.
“Dobbiamo lavorare insieme per la salute e fare in modo che la salute sia davvero trattata come un diritto umano fondamentale”, afferma Bergman. La sensazione che ci sia una consapevolezza diffusa dell’importanza della condizione comune degli operatori sanitari fa sperare che gli sforzi congiunti porteranno a questo risultato.
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23/09/2023
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare