FONTE: Greek Crisis
Quando il vecchio e il nuovo si mischiano violentemente, affondando per giunta il morso nel collo della teatralità umana, ebbene, è evidente, i tempi cambiano, persino lì, sull’altra sponda del mar Egeo, sotto il segno della Primavera.
Mi trovo sull’isola di Rodi, beneficiando dell’ospitalità offerta dal Centro Internazionale degli Scrittori e dei Traduttori, che dipende dalla città di Rodi.
Qui ho terminato due libri, il primo, una monografia storica come ancora qualche volta si usa dire, un libro inchiesta sulle pratiche culturali dei soldati e degli ufficiali dell’armata greca tra il 1916 ed il 1923, poi, l’ultima volta, nel maggio del 2011, ho terminato un romanzo di fiction politica (in greco) e al momento quest’ultimo, non ha trovato ancora nessun editore.
Quanto al libro storico, era il risultato di una ricerca finanziata dal CNRS greco. Questo contratto annuale, scaduto nel dicembre del 2010, non è stato rinnovato a causa del Memorandum. Io mi ricordo d’aver presentato i risultati della mia inchiesta nei locali del Centro di Ricerche nel Luglio 2010, con un caldo asfissiante.
Il direttore ha allora acceso un ventilatore portando una caraffa d’acqua e dei bicchieri, “Scusateci, è la prima volta che ci troviamo in una simile situazione, l’uso del climatizzatore ci è stato ormai vietato, il finanziamento non segue più dal Memorandum.”
Fino al 2010 l’organismo ha comunque potuto onorare il nostro contratto, tranne che su un punto: “Lei ha consegnato il suo libro-inchiesta in tempo, io ho immediatamente firmato l’ordine di pagamento, non esiti, a partire dalla prossima settimana telefoni al servizio contabilità, anche tutti i giorni, fino all’edizione della sua inchiesta. Quindi venga a recuperarlo velocemente e lo incassi subito. Per contro devo annunciarle con rammarico che il suo testo, esattamente come gli altri testi nati dalle inchieste di quest’anno, non sarà pubblicato dalle nostre edizioni […] noi non faremo edizioni per qualche tempo, il momento è difficile.”
Così, le “mie” fantasie ormai sparite, dovevano ancora aspettare, prima di risorgere, spero, un giorno dagli abissi dell’oblio. Io o altri colleghi abbiamo finito per aiutarli a scavalcare il muro della storia più tardi, ma, per il momento, è nella situazione d’urgenza che dobbiamo mettere tutto in atto per scavalcare, questo colossal sembrava di bankster, speriamo almeno di non inaugurare una nuova Guerra dei Cent’anni!
Lavorando in questo momento ad un nuovo progetto editoriale, constato con piacere, che questo Centro Internazionale di Scrittori e Traduttori esiste ancora… vivente.
Gli scrittori, i traduttori e gli artisti che vi lavorano non sono necessariamente fra i più conosciuti, non dispongono di residenze su isole, nostre o altrui, per isolarsi e scrivere in una cornice così appagante. Io penso, in fin dei conti che la sola grande avventura comune, o quantomeno parallela, e in ogni caso, iniziata da noi, popoli della vecchia Europa, è proprio questa. La C.C.E. (Comunità Culturale Europea), potenzialmente istituzionalizzata perché no immediatamente, e nel corso di cinquant’anni, senza rapporto alcun con i lavori economici dei paesi rimasti allora sovrani e autonomi, che finanziano, alla fine con il proprio budget, questa Repubblica delle lettere. E bene, alla fine di un mezzo secolo di navigazione difficile attraverso il nostro arcipelago paneuropeo del pensiero e della creatività, un progetto politico europeo sarebbe allora possibile, escludendo il settore bancario e la finanza, da ogni implicazione, e questo sin dal Trattato originario.
Sì, a Rodi si può ancora sognare, credo, ciò che a Atene non è più possibile giacché il sillogismo collettivo è troppo mutilato a causa della sofferenza, e nella sua chiarezza, allo stato attuale perlomeno… ma a Rodi, sogno a parte, c’è allo stesso modo la collera del popolo. Ho voluto esserci questo 7 Marzo, in cui si commemora, a Rodi e in tutte le isole del Dodecaneso, la riannessione alla Grecia dopo l’occupazione italiana del 1912-1945 – fondamentalmente fascista a causa della storia italiana – e in seguito l’occupazione tedesca alla fine della guerra, e dopo il 1945, una breve fase di governo britannico che ha preceduto la nuova era dal 7 marzo del 1948.
Questa commemorazione si organizza seguendo i simboli più stereotipati delle feste nazionali greche, ma ciò non significa che questo processo sia privo di senso. All’inizio c’è stata una sfilata dei giovani delle scuole, poi una militare di fronte alla tribuna degli ufficiali, dei politici, dei militari e della Chiesa, la gente si trova di fronte e tutto attorno, giusto per avere un quadro. Gli storici hanno già sottolineato che le sfilate di questo tipo, anche per dire “globali”, rappresentano una pratica introdotta dalla dittatura del generale Ioannis Metaxas (1936-1941), che ha determinato una certa militarizzazione della società. La qual cosa non è piaciuta in modo unanime, ed è vero, una parte della sinistra greca e ovviamente il movimento anarchico del paese hanno spesso reclamato la loro soppressione.
Soltanto, dalla bancocrazia nazionale e sovranazionale, ecco che queste commemorazioni hanno assunto un carattere d’indignazione e di rivolta popolare, spontaneamente all’inizio, poi seguendo una sequenzialità più organizzata in seguito, soprattutto dopo gli avvenimenti della festa nazionale del 28 ottobre scorso. Oggi, nella maggioranza delle nostre città, le parate e le altre festività nazionali si sono trasformate in violente manifestazioni popolari. In numerosi casi le tribune per le personalità sono state trasformate in poltroncine lanciabili, soprattutto quelle dei deputati socialisti e dei ministri che pensavano ancora di essere voluti dalla nazione. Invisibile dall’occupazione (del 1940), Karolos Papoulias, il nostro Presidente della “Repubblica” è stato fischiato dalla folla degli Indignati a Salonicco, è stato fatto evacuare d’urgenza e la sfilata militare è stata annullata.
Dunque, io ho voluto misurare su una scala locale, così lontana geograficamente dal luogo della Costituzione ad Atene, quanto e come, l’antico e il nuovo si mischino allora violentemente o ancora armoniosamente, affondando il dente nel collo della teatralità umana, e all’occorrenza in quello della commemorazione. Poi Rodi, faceva parte della Grecia generalmente più agiata della media nazionale, va sottolineato.
Nel maggio del 2011 avevo già assistito a una prima manifestazione del movimento degli Indignati, come si diceva allora, secondo gli abitanti la più grande manifestazione di protesta politica sull’isola da molti decenni. La gente era molto arrabbiata e ha manifestato lungo la città, poi tutti quanti si sono radunati davanti il municipio, prima di disperdersi, senza incidenti. Molta determinazione nella gioia, ma le speranze, certamente vaghe. In seguito, gli amici di Rodi hanno cercato di fare di più e aiutare la “rivoluzione”… nei bar vicino al mare, perché no?
Questo 7 Marzo ho visto altre cose. Prima alla fermata dell’autobus di servizio lungo la linea fra l’aeroporto e la città di Rodi, una locandina ci dice che anche qui ci si riscalda con la legna, soprattutto quest’inverno abbastanza duro. “Non si vedeva un freddo simile dagli anni ’70”, ha spiegato un pensionato. Poi alcuni negozi e boutique hanno dichiarato fallimento, anche nel centro città perché, come mi diceva un abitante, “la crisi da noi ha cominciato ad essere avvertita dopo l’estate, non prima, non ha nulla a che vedere col turismo che si è mantenuto a buon livello nel 2011, ma le sue risorse arricchiscono ormai soltanto una parte della popolazione, sempre più esigua, e tutto il resto diventa come ogni cosa in Grecia, ma in modo meno drammatico per il momento. Io so che a Salonicco, la gente ha già fame.”
Un altro manifesto, incollato un po’ ovunque in città, riassumeva così l’appello del giorno: “Appello patriottico del 7 Marzo in piazza del Municipio. Greci del Dodecaneso, il 7 Marzo ricorrono 65 anni dalla nostra liberazione. Oggi la nostra nazione è schiava dei banchieri e dei politici traditori e corrotti. I nostri diritti scritti nella Costituzione vengono palesemente violati, così il popolo si vede deprivato delle sue libertà legate al lavoro, alla salute e alla previdenza. Il nostro popolo tanto orgoglioso è umiliato da una manica di traditori e dal ricatto. Gente del Dodecaneso, appuntamento il 7 Marzo alla piazza del Municipio. Ribellatevi, il popolo greco non abbasserà la testa davanti a nessun occupante!!! Abbasso i banchieri!! I Tedeschi fuori dal nostro paese!!!”
Io ho rimarcato che quest’appello non era firmato, interessante! Un ultimo manifesto, posto all’interno di una vettura, mostrava una foto della camera dei deputati e diceva così: “Voi avete rubato il mio denaro, il sorriso dei miei bambini, il sogno e la speranza dei miei nipoti”. E la parata è iniziata con gli scolari. Davanti al Municipio, un grande drappo riprende il testo dell’ultimo manifesto, aggiungendovi: “Voi avete rubato a noi Greci, la nostra patria”, così che una segnaletica ben conosciuta dell’U.E. che fu accompagnata dal testo seguente: “Unione Europea Tedesca”. Questo drappo è stato al contrario firmato dall’Unione delle Associazioni Culturali di Rodi.
Su uno sfondo architettonico di epoca mussoliniana, uno striscione, ben sottolineato da tutti, attraverso l’immaginario popolare esplicita il legame tra la commemorazione e il presente: “All’epoca era il fascismo degli italiani, adesso è il fascismo delle banche”, questo striscione è stato acclamato da applausi frequenti. Davanti la pedana degli ufficiali, i manifestanti si confondono con gli spettatori. Essi gridano la propria indignazione, il personale politico, deputati, e eletti regionali, sono insultati per un momento assai lungo. Improvvisamente le barriere cadono e la folla si lancia contro gli ufficiali, interrompendo così la parata. La polizia interviene ma all’inizio senza violenza, vis à vis dei manifestanti, appena per lasciare il tempo necessario ai politici. Ovviamente, questi ultimi vogliono dirigersi rapidamente verso l’edificio situato dietro, salendo le scale dietro gli insulti e le bottiglie d’acqua lanciate da alcuni manifestanti. Un grande e breve momento espiatorio, praticamente preparato in quanto prevedibile, quasi un rituale. Un eletto ha fatto un inchino d’onore, incontrando la folla, rinforzando i tratti della nostra drammaturgia del giorno. Poche persone hanno espresso il proprio malcontento, fra cui un uomo, anziano: “Io sono qui per veder sfilare i miei nipotini, voi mi insozzate, specie di comunisti”, ma immediatamente molte persone l’hanno fatto tacere: “Quali comunisti? Tu non stai bene, essi vogliono dividerci, qui noi siamo tutti uniti contro i ladri” e l’uomo non ha insistito. Ma se effettivamente tutto ciò si rivela essere ormai un rituale espiatorio, bisognerà allora inventare dell’altro, poiché d’abitudine non è attraverso il rituale che si arriva alla prassi politicamente efficace, al di là di ogni valenza simbolicamente forte e per nulla reale.
In ogni caso, solo i militari, gli eletti locali e i dignitari della Chiesa sono rimasti al loro posto poiché i manifestanti non hanno mostrato ulteriore ostilità. Questi ultimi, hanno perfino fatto largo, per consentire alla fanfara militare di prendere posto. In seguito, la parata si è incamminata con i militari, molto applauditi da tutti, bisogna dirlo. Due o tre persone hanno allora gridato: “Vogliamo l’esercito adesso” ma la più parte dei manifestanti non ha ripreso lo slogan. Verso la fine, un manifestante così ha commentato: “è un po’ di cinema, tutto qui, è alle urne che bisogna mostrarsi efficaci, votando a sinistra” ma nessuno ha prestato attenzione, forse, perché nello stesso momento davanti al Municipio, alcuni giovani si facevano interrogare dalla polizia, e tutta la folla è accorsa dietro.
“Essi non hanno proferito nessun insulto, non hanno fatto nulla – ha gridato una giovane donna – io ero lì accanto. Ho visto tutto, i poliziotti li hanno bloccati per l’aspetto, questi ragazzi hanno il cappuccio degli Irochesi, il potere mostra i denti, bastardi… la mamma di uno di questi ragazzi ha preteso che i poliziotti lasciassero suo figlio, poi qualcuno, un poliziotto in borghese, forse, gli ha risposto: “Signora, noi apriremo le isole per i deportati politici come una volta e vi riserveremo un posto d’onore- per ogni evenienza”! Una parte della folla si è diretta verso la postazione della polizia, per far liberare i manifestanti interrogati. Sono stati rilasciati tranne due, che saranno portati in tribunale giovedì, perché secondo il comunicato della polizia “hanno spinto violentemente le barriere, un agente è stato ferito; hanno disturbato l’ordine pubblico e inoltre, è stato trovato un coltello addosso a uno dei due”.
La giornata è stata molto bella e soleggiata, le terrazze dei caffè si sono velocemente riempite dopo la parata, anche i gatti di Rodi, tutti originari di Cipro, sono usciti a prendere il sole, e le navi al largo, imperturbabili, proseguivano sul loro cammino.
“All’anno prossimo ma liberi”, ha augurato un uomo alla sua compagna, lasciando la piazza del
Municipio. L’anno prossimo, è lontano…
Fonte: Rhodes contre le Colosse ?
08.03.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MANUELA ALLETTO